martedì 23 aprile 2013

Tecniche della Via Cardiaca - Gastone Ventura

Parliamo della preghiera del cuore e delle tecniche che le sono associate. L’utilità di quanto andiamo a esporre è nella sua messa in pratica; la preghiera è vecchia come il mondo e la sua efficacia è indiscutibile.
“Gli egiziani raffigurano il cielo, che non può invecchiare poiché è eterno, con un cuore posato su un braciere la cui fiamma alimenta il suo ardore....” Plutarco: Iside e Osiride.
L’oriente cristiano, come l’induismo, possiede il proprio yoga, una tecnica mistica di unione al Verbo Divino attraverso la preghiera, preghiera perpetuamente ininterrotta, come il respiro o il ritmo cardiaco — Viene chiamata la Preghiera del cuore” ed è la vera “Via Cardiaca”. Non è una semplice e banale sensibilità ma, al contrario, esige una padronanza speciale, una tecnica della preghiera, una scienza spirituale alla quale i monaci si consacrano completamente. Il metodo della preghiera interiore o spirituale conosciuta sotto il nome di “Esicasmo” (dal nome di San Esichio del Sinai del VIII secolo) appartiene alla tradizione ascetica della Chiesa d’Oriente e risale all’antichità. Si trasmette oralmente da maestro a discepolo, con l’esempio e la direzione spirituale, come in india o in Tibet. Questa disciplina fu messa per iscritto all’inizio del secolo XI ma si trovano tracce di essa presso i grandi mistici del III secolo e in alcuni testi dove certi attributi del Cristo sono legati alla teoria dei Nomi Divini o Nomi di Potere/Potenza della Cabala. Già San Giovanni Crisostomo ci dice che:
“Perché il Nome del nostro Signore Gesù Cristo discenda nel profondo del tuo cuore, e perché vi vinca il dragone che vi devasta i pascoli, e inoltre salvi l’anima e la vivifichi, aggrappati senza cessa al Nome del Signore Gesù affinché il tuo cuore beva il Signore e il Signore il tuo cuore, e che così i due divengano una cosa sola....”
Come possiamo osservare, nell’Esicasmo, per realizzare l’unione divina luminosa, collaborano indissolubilmente la Grazia essenziale di Dio e la tecnica psicologica umana. Vediamo le regole generali di questa tecnica.
L’Esicasta pratica questo tipo di operazione all’ora del tramonto (ora canonica dei Vespri) dalle ore 18 alle ore 21 solari, nella sua cella silenziosa e oscura. Alcuni testi dicono di pregare seduti. E la tradizione cristiana orientale indica invariabilmente l’orante rivolto a Est dove deve essere tracciata, sul muro una croce Non si fa cenno a fumigazioni effettuate nella cella, ma si ritiene che queste possano aiutare lo sviluppo del misticismo, a condizione che l’incenso sia stato sacralizzato.
Nella tradizione dell’Oriente cristiano, le Icone riflettono il principio dell’Incarnazione delle “Sante Immagini” dall’alto nel nostro mondo imperfetto. Sono insomma gli Archetipi Divini che vengono materializzate seguendo un metodo estremamente occulto oltre che elevato.
Innanzitutto, l’Icona deve riflettere solo immagini di pace e di luce: la Madonna e il Bambino, la Natività, l’Ascensione, i Grandi Arcangeli (Michael, Gabriele, Raffaele) o i Santi. L’Icona non deve mai materializzare (ho usato di proposito il verbo materializzare e non rappresentare) immagini di sofferenza, di dolore o di punizione.
I monaci ai quali è affidato il compito di realizzarle, devono lavorare a digiuno, in stato di grazia, in ginocchio e a certe ore canoniche. Le dipingono su pannelli di legno ponendo successivamente degli strati di pittura speciale, le cui formulazioni risalgono ai primi secoli, contenente elementi minerali, vegetali e animali. Il monaco associa dunque i tre regni a questa incarnazione salvatrice, del divino. Associa a questa ascesa purificatrice la natura intera, decaduta per colpa del primo uomo.
Una volta stesi gli strati di pittura, dipinge il soggetto dell’icona, inserendovi quanto più oro possibile. L’icona deve essere di forma scavata affinché “la terra rifletta l’impronta del Cielo” secondo la tradizione. L’icona viene poi benedetta con una formula speciale, con fumigazioni abbondanti e frequenti di incenso, ponendo attorno ad essa o davanti a essa, delle piccole luci: lumini a olio (rossi) o ceri di cera di api.
La “Preghiera del cuore” deve, in effetti, essere una “adorazione” e non una domanda, secondo la regola secolare. Viene poi la recita del mantra. Per l’esicasta consiste nel pronunciare interiormente la seguente immutabile formula:
“KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON IMAS AMARTANON”
cioè
“SIGNORE GESÙ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETÀ DI ME PECCATORE”
Le liturgie orientali e latine fanno uso frequente della formula: “Kyrie eleison ... Christe Eleison” e le vibrazioni sonore sono vicinissime le une alle altre nella formula cristiana. Prima di cominciare, l’esicasta dovrà meditare sulla morte, l’umiliazione di sé, la visione (naturalmente esoterica) del Giudizio finale con il quale ha termine la creazione presente e alla quale seguirà l’Eone futuro. Mediterà sulla “ricompensa”, che è la fissazione delle anime attraverso il Fuoco- Principio, Fuoco che in qualche modo le immerge.
Fissazione che può essere buona o malvagia, che deriva dal giudizio di tutte le creature, uomini o Angeli. Dovrà prendere coscienza di essere il più corrotto di tutti gli uomini, più malvagio degli stessi spiriti malvagi e, di conseguenza, di meritare il rigetto finale. Da questo stato d’animo interiore devono nascere la contrizione, la tristezza e le lacrime. Se questo stato di “trasmutazione” dell’essere interiore, analogo alla “putrefazione” alchemica, è raggiunto, l’esicasta deve rimanervi fino a quando questo stato scompare naturalmente.
Ma se l’anima è rimasta insensibile a questa preparazione, la tradizione dell’esicasmo consiglia di pregare per ottenerlo, come una grazia. Faccio notare che non si tratta affatto di fare dell’esicasta un pessimista, un disperato. Al contrario, la regola afferma che deve vivere allegro, di buonumore e felice di sentirsi sulla buona via.
Ma questa “putrefazione” deve essere raggiunta fin dal momento in cui si comincia gli esercizi. Il rosario serve a ritmare, a verificare il numero e lo svolgimento delle litanie del mantra. È consigliato un rosario composto da otto serie di otto grani (in ricordo delle otto beatitudini) separate ognuna da un grano più grosso, per un totale quindi di 72 grani (in ricordo dei 72 nomi divini della Shemamphorash). Per ognuno dei 64 grani ordinari si potrà usare la formula breve:
“KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON”
e pronunciare per gli otto grani che separano le serie, la formula lunga:
“KYRIE ISSU CHRISTE IE THEU ELEISON IMAS AMARTANON”.
La respirazione deve essere regolare, ritmata dalla formula che deve essere pronunciata durante l’aspirazione, aspirazione effettuata unicamente attraverso il naso, e la recitazione è puramente interiore, mai verbale. L’esicasta respinge ogni desiderio di prodigio, fugge i poteri psichici, come mezzi usati dalle entità inferiori per distoglierlo dal suo cammino spirituale.
Riporto quanto diceva un esicasta dei primi secoli:
«Volendo contemplare la faccia del Padre Celeste, non sforzarti di vedere durante la tua preghiera qualche immagine o figura ... Fuggi il desiderio di vedere sotto una forma sensibile gli Angeli, le Potenze o il Cristo. Altrimenti rischi di sprofondare nella follia, di prendere il lupo per il pastore e di adorare i demoni al posto di Dio ... L’inizio dell’errore è nel desiderio dello spirito di percepire la Divinità in un’immagine o in una figura”.
Questa tecnica è spesso concomitante con grandi tentazioni, infestazioni, ossessioni e apparizioni demoniache. Colui che nel corso dell’evocazione magiche sarà riuscito a vedere il mondo demoniaco e, senza esserne posseduto, sarà rimasto padrone di se stesso, avrà la propria fede confermata per sempre. Abbiamo visto che la litania, il mantra, comporta otto parole in greco (formula completa) e sei parole solo nella formula abbreviata. La formula è pronunciata, lo ripeto, interiormente, durante l’aspirazione visualizzando la formula, come veicolata con l’aria ispirata, discendere nel nostro cuore con l’immagine del Cristo.
Se facciamo il raffronto con lo yoga tantrico, dove si parla di un “Loto del cuore”, vediamo quanto esicasmo e yoga siano vicini. I rari documenti dell’esicasmo non fanno cenno alcuno alle fumigazioni: queste fanno parte delle istruzioni orali passate da maestro a novizio.
È infatti evidente che l’aria elementare, quella che noi respiriamo, è molto impura. Sappiamo dalla tradizione cristiana (San Paolo, Lettera agli Efesini) che l’atmosfera è l’habitat del mondo demoniaco. Ecco quindi la necessità di purificarla con una fumigazione, la cui formula di sacralizzazione sia un corto ma efficace esorcismo.
Sul risveglio di quello che il tantrismo chiama la Kundalini, una specie di energia psichica di natura ignea e che tutti i trattati affermano essere pericolosa da maneggiare, anzi addirittura mortale se non si è guidati da un vero maestro, le scritture giudeo-cristiane affermano:
“L‘eterno tuo Dio è un fuoco divorante”
Deuteronomio IV, 24
“La mia parola è come un fuoco”
Geremia XXIII, 29
“Farò uscire dalle tue viscere un fuoco che ti divorerà ... Tutti voi avete, acceso in voi, un fuoco che vi brucia, voi siete avvolti da fiamme. Camminate nella luce di questo fuoco che avete preparato, nelle fiamme che avete acceso... “. Isaia L, 2
“Il fuoco che esce dall‘uomo che contempla, lo divora”.
Hekhalot Rabbati III, 4
Vi è in effetti un duplice aspetto di questo Fuoco. Sappiamo che il Tempio di Salomone, replica del Tabernacolo, fu realizzato da Salomone secondo i disegni ricevuti attraverso David, suo padre, dalle mani del profeta Nathan, depositano dell’esoterismo di Israele. Sappiamo che il Tempio fu costruito a immagine di Dio, dell’uomo e dell’universo e che studiano significa studiare l’uno e l’altro. Vi erano due Altari sui quali bruciavano due fuochi differenti: uno era l’Altare dei Profumi, sul quale, all’alba, a mezzogiorno e alla sera, veniva offerto a Dio dell’incenso di adorazione e di lodi.
L’altro Altare, era l’Altare dei Sacrifici, sul quale i sacrificanti offrivano le vittime consacrate. L’Altare dei Profumi è l’immagine del nostro cuore, delle nostre buone azioni. L’Altare dei Sacrifici è l’immagine del nostro cervello e del sacrificio che dobbiamo fare delle nostre passioni, rappresentate dagli animali. Ognuno dei cinque oggetti consacrati: l’Arca dell’Alleanza, il Candeliere a sette braccia, l’Altare dei Profumi, l’Altare dei Sacrifici e il Mare di Rame, corrisponde a uno dei nostri centri psichici essenziali nel tempio interiore che portiamo in noi.
Da qui le parole del rosacrociano Robert Fludd:“Quando il Tempio sarà consacrato, le sue pietre morte ritorneranno viventi, il metallo impuro sarà trasmutato in oro e l’uomo riscoprirà il suo stato primitivo”.

venerdì 19 aprile 2013

Abraxas 16 - rivista digitale di gnosticismo

Al link http://www.paxpleroma.it/archivio%20abraxas/abraxas16.html

è possibile scaricare il numero 16 della rivista digitale Abraxas

Stele

Gnosticismo e Psicopatologia

La Conoscenza del Bene

Gnosticismo e Gnosi

Gesù e la Reincarnazione

Alchimia e Gnosticismo

La Dottrina dei Bogomili

Fisica e Metafisica nella Sophia

Battesimo ed Iniziazione

Payre Sant

www.paxpleroma.it

mercoledì 17 aprile 2013

Identità

Una riflessione che intendo sviluppare attraverso queste pagine, e spero con il dialogo con altri fratelli e sorelle martinismi, è inerente l'identità dell'essere martinista. La peculiarità di questa iniziazione, e del campo operativo martinista, rispetto ad altre forme iniziatiche. L'identità non è un vestito che indossiamo per differenziarci e per riconoscerci, ma è ciò che sotto la diversa veste ci rende fratelli.

L’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo - Ovidio La Pera

Il Martinismo è un sistema iniziatico che si richiama agli insegnamenti ed alle dottrine di Martinès de Pasqually (1727-1774), Jean- Baptiste Willermoz (1730-1824) e Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803), tutti e tre operanti in Francia, in ambito massonico. In effetti il vero fondatore fu Martinès de Pasqually, uno tra i personaggi che maggiormente hanno incuriosito l’Europa alla fine del XVIII° secolo, ma allo stesso tempo dei meno conosciuti e dei più misteriosi. Coinvolto nei diversi sistemi degli «alti gradi» della massoneria
settecentesca, egli, in possesso di una bolla o patente massonica ereditaria che suo padre aveva avuto da Carlo Eduardo Stuart, nel 1738, che gli consentiva di iniziare “a vista” massoni e fondare Logge e Capitoli, e in seguito riconosciuta valida anche in Francia, creò nel 1754 circa, l’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen [1] dell’Universo; cioè un sistema in cui dopo i tre classici gradi di apprendista, compagno e maestro, si inseriscono una classe del “Portico”, una del “Tempio” ed una “Segreta”, corrispondente al grado di Rosa-croce.
Ma già fin dalla classe del Portico vengono introdotti i primi fondamenti della dottrina di Martinès, e cioè della “Reintegrazione” di ogni essere in senso universale. Questa dottrina è derivante forse dalla religiosità marrana, da cui egli probabilmente discende, o da quella degli ebrei sefarditi, nonché da reminiscenze di certi gruppi gnostici o da lontani echi della tradizione esoterica islamica; ma anche, da insegnamenti di impronta cabalistica.
La sua rigenerazione dopo la caduta di Adamo passa attraverso la faticosa ascesi che permette di raggiungere un “Sacerdozio Cohen“, durante il quale egli impara ad avere il dominio di se stesso e, preparato nel silenzio, con la preghiera, il digiuno, ed altre particolari pratiche, ottiene in determinati giorni la rivelazione soprannaturale di ciò che Martinès indicava con il termine “Chose“, ossia la Cosa. E ciò era possibile in quanto, secondo uno dei principi di Martinès, ogni uomo è nato profeta e, per conseguenza, egli è obbligato a coltivare in lui il dono della visione e perciò della conoscenza, cultura questa alla quale doveva servire la sua scuola.
Quest’Ordine degli Eletti Cohen ebbe il suo massimo sviluppo dopo il 1770; molte furono le Logge all’obbedienza della Gran Loggia di Francia che vi aderirono; Bordeaux ne fu uno dei maggiori centri, ma altre se ne ebbero a Montpellier, ad Avignone, a Foix, a Libourne, a La
Rochelle, a Eu, a Parigi ed in altre località ancora. A Parigi aveva pure la sua sede il Tribunale Sovrano e cioè il supremo organo amministrativo, formato da vari Rosa-Croce con l’appellativo di Sovrani giudici, tra cui Bacon de La Chevalerie e J.-B. Willermoz ed altri.
Nel 1772 Martinès, per una complessa questione ereditaria, parte per San Domingo, dove per i due anni successivi cerca di completare le istruzioni per l’Ordine. Qui però muore nel 1774. E dopo varie successioni, verificatosi l’attenuarsi delle “manifestazioni” nell’operatività delle Logge a seguito della scomparsa dal piano fisico del Maestro, viene presa la decisione di chiudere lavori e Templi, consegnando gli archivi all’Ordine dei Filaleti. [2].
Dal Martinismo di Pasqually, o meglio dal Martinezzismo , si distingue il sistema di Willermoz che, allievo di Martinès come Louis- Claude de Saint-Martin, riconduce le idee del maestro in un ambito più rigorosamente massonico, seppure con una forte accentuazione cristianeggiante, dando luogo all’Ordine dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa o Rito Scozzese Rettificato. Per quanto riguarda Louis-Claude de Saint-Martin, dopo aver avuto i primi gradi massonici a partire dal 1765, nell’autunno del 1768 è ricevuto da Martinès tra gli Eletti Cohen col grado di Commendatore d’Oriente e nel 1772 è ordinato Rosa-Croce. [3]
Presto diviene il segretario di Martinès e collaborerà alla stesura del Trattato sulla Reintegrazione degli Esseri, opera fondamentale e primaria della tradizione martinista del suo maestro, che poco e male conosceva la lingua francese. Dopo la morte di Martinès, Saint-Martin
seguirà a Lione l’amico Willermoz partecipando all’educazione e formazione dei componenti le logge di Willermoz, e scrivendo in questo periodo, oltre alla sua famosa opera Degli Errori e della Verità varie opere contenenti istruzioni di carattere massonico.
Saint-Martin però, avendo maturato, ancora vivente Martinès, l’intenzione di abbandonare i cerimoniali teurgici, si distaccherà, fermo restando il concetto di Reintegrazione, dagli insegnamenti ricevuti dal maestro e al di là di ogni iter iniziatico che prevede la manifestazione esteriore delle forze angeliche ultraterrene, prevista dalla ritualità degli Eletti Cohen, si dedicherà alla solitaria ricerca di una via interiore che possa permettere al divino di manifestarsi nell’uomo come scintilla all’interno del sé che anela a trasformarsi in fuoco.
Lasciata Lione e l’amico Willermoz, Saint-Martin comincia il suo percorso personale ed individuale viaggiando a lungo in Italia, in Inghilterra, in Germania dove conoscerà, grazie all’amica Carlotta de Boecklin gli scritti di colui che sarà il suo secondo grande maestro:
Jacob Böhme, scritti che gli rivelarono quanto, nei documenti di Martinès, aveva soltanto intravisto.
Molte sono le opere che Saint-Martin scriverà durante la sua vita e da esse emerge che lo spiritualismo, di cui la via gli era stata prima aperta da Martinès de Pasqually e poi appianata da Jacob Böhme non è più la “scienza degli spiriti”, ma quella di Dio; e a differenza dei mistici che si uniscono attraverso la contemplazione al loro Principio, non è, per Saint-Martin, solamente la facoltà affettiva che conosce in sé il proprio principio divino, ma la facoltà intellettuale, attraverso un’operazione attiva che è il germe della conoscenza.
Sempre dalle sue opere si evidenzia come le tre facoltà animiche dell’uomo, Pensare, Sentire e Volere siano lo strumento attraverso il quale l’Uomo di desiderio (così lo chiama Saint-Martin) può penetrare nei suoi più intimi recessi per conoscere se stesso, ovvero il suo io, così come con i suoi sensi egli perviene alla conoscenza della sua corporeità.
Queste tre facoltà devono però necessariamente essere educate affinché possano riacquistare, come dice Saint-Martin, i “diritti della loro destinazione originale”, e pertanto essere poste nella condizione di riacquistare quella verginità necessaria perché la concezione e la nascita del “nuovo uomo” possa avvenire in noi sostituendo così l’uomo antico.
Vi è perché ciò possa avvenire una grande difficoltà, a causa della perenne contraddizione in cui l’uomo vive: egli infatti evita di essere l’io che sostanzialmente è, pur facendo uso delle forze del proprio io per le sue necessità esistenziali. Ma se guardando ciò che esiste, egli non sa darsi una spiegazione; se osservando le proprie idee, i propri pensieri che produce muovendosi incontro alle cose per conoscerle, sente che essi giungono da una zona ignota; egli deve sapere che questa zona ignota può essere scoperta.
Essa è nell’uomo e sta a lui giungervi indagando in se stesso, compiendo cioè la vera opera al nero della tradizione ermetica, senza paura di superare con la forza del volere e la bellezza del pensare, i limiti del pensiero stesso, per aprirsi, una volta pervenuto al sentire del cuore a ciò che è oltre i limiti, bruciando al fuoco ridestato nell’Atanor le scorie della sua personalità, del sé
individuato, volendo donarsi oltre esso per amore del proprio essere, che è essere il mondo, le cose, gli altri, il proprio io, la Saggezza fluente, la Luce, la Vita, il Logos solare, l’Amore, per adempiere così il suo ministero.
Saint-Martin esponendo nelle sue opere le necessità dell’uomo di desiderio ci espone in più occasioni le sue perplessità, oltre che per la via teurgia, anche per tutte le altre vie tradizionali quali l’ermetismo, la cabala, l’alchimia, ed altre ancora, che vari circoli nel suo tempo praticavano, al fine di stabilire un rapporto tra l’uomo, Dio e l’universo.
Da quanto finora detto vediamo che la via che Saint-Martin indica è in alternativa alle antiche vie; in una lettera all’amico Kirchberger del 19 giugno 1797, egli afferma di avere da molto tempo abbandonato: «quelle iniziazioni attraverso cui era passato nella sua prima scuola… per darsi alla sola che sia secondo il suo cuore».
Nel suo romanzo “Il Coccodrillo“, scritto tra il 1791 e l’agosto del 1792, Saint-Martin ci dà una perfetta immagine della nuova via e del modo di operare. Nel Canto 81 l’autore ci narra come ad Eleazar, personaggio principale di tutta la storia e che simbolicamente raffigura il suo primo maestro Martinès de Pasqually, venga sottratta dai cattivi geni del Coccodrillo la sua polvere magica ottenuta dalla radice, dal fusto e dalle foglie della “viola doppia”, ossia dalla pansée o viola del pensiero, e con la quale era sempre riuscito a sconfiggere il male, per cui, privatone, viene a perdere la sua “forza elementale”; ma gli rimane il “desiderio” intorno al quale ruota tutta l’azione.
Privato perciò dei poteri che gli conferiva la polvere della “viola doppia”, il desiderio denudato da ogni egoismo lo eleva al grado di un’altissima “concentrazione” da cui domina i suoi nemici, essendo così rientrato in possesso delle forze delle sue tre facoltà dell’anima, ossia del pensare, del sentire e del volere. In questo modo ci viene rivelato che queste tre facoltà sono il vero modello delle tre sostanze che compongono la polvere; ma che,  come Saint-Martin afferma, «l’effluvio dei suoi desideri, fortificato dalla “concentrazione” è più attivo ancora della polvere salina racchiusa nella scatola». Ecco allora il nuovo prodigio, all’uomo antico, Eleazar, subentra l’uomo nuovo, l’uomo del pensiero, ovvero, simbolicamente, L. C. de Saint-Martin stesso, cioè l’uomo che aveva abbandonato le antiche iniziazioni per quella secondo il suo cuore…; e che pertanto sostituiva le vie antiche, ormai prive di poteri, con la via nuova, la via dei tempi moderni, ovvero la via del pensiero puro, del pensiero vivente.
Quest’ultima affermazione “secondo il suo cuore” ha indotto molti a considerare la sua via, in quanto cardiaca, una via umida; niente di più sbagliato, poiché dalla descrizione fatta risulta che si tratta di una via cardiaca secca, giacché essa mediante la “concentrazione”, “passa per la testa” dovendo, con le forze delle facoltà dell’anima pervenire all’elevazione del pensiero.
In tutte le sue opere L.C. de Saint-Martin ha sempre insistito sulla necessità dell’elevazione del pensiero per conquistare lo spirito, ed infatti ha sempre provato una forte ripugnanza a conquistarlo con delle “operazioni fisiche” e ciò è provato dal fatto che ancor prima della morte del suo primo maestro, per il quale conserverà sempre una grande venerazione avendogli egli aperto “la carriera“, ossia l’accesso alle verità sovrannaturali, egli riprenderà la sua libertà per darsi “alla sola via che sia veramente secondo il suo cuore“.
Parlando del pensiero nella sua opera “Degli Errori e della Verità“, cap. “Delle affinità degli esseri pensanti”, l’autore afferma quanto segue:
«Quando l’uomo al contrario, cessando di fissare gli occhi sugli esseri sensibili e corporei, li riconduce sul suo proprio essere, e nell’intento di conoscerlo fa uso con cura della sua facoltà intellettuale, la sua vista acquista un’estensione immensa, concepisce e tocca, per così dire, dei raggi di luce che sente essere fuori di lui, ma di cui sente pure tutta l’analogia con se stesso; delle idee nuove discendono in lui, ma è sorpreso, ammirandole, di non trovarle estranee. Ora, vi vedrebbe egli tanti rapporti con se stesso, se la loro sorgente e la sua non fossero simili? Si troverebbe così bene e così soddisfatto alla vista dei barlumi di verità che gli si trasmettono, se il loro principio ed il suo non avessero la stessa essenza? È questo che ci fa riconoscere che, essendo il pensiero dell’uomo simile a quello dell’Essere Primo e a quello della causa attiva ed intelligente, deve esservi stato tra essi una corrispondenza perfetta fin dal
momento dell’esistenza dell’uomo».
Ma come operare per pervenire a questo pensiero che ci accomuna all’essere primo? la chiave sta nell’uso che si fa del ternario pensiero, volontà e azione a cui spesso fa riferimento il nostro filosofo; con la “concentrazione”, in effetti, si sviluppa l’azione generata dalla volontà e dal pensiero che si muovono incontro all’oggetto del sentire nella zona cardiaca, determinando la possibilità da parte nostra di varcare quella soglia del mentale che ci separa dal mondo dell’intuizione, del pensiero puro, del pensiero vivente. (Incidentalmente faccio notare che la parola intuizione viene da intuire, che a sua volta deriva dal latino inter ire cioè andare dentro, ovvero essere nella cosa e pertanto essere nella verità.
Da ciò la differenza che vi è tra l’iniziato e lo scienziato, il primo, varcando la soglia del mentale entra direttamente nel mondo della conoscenza, il secondo invece, giunto sul limite della soglia coglie qualche bagliore del mondo dell’intuizione, ma come se ne fosse spaventato si ritrae al di qua della soglia stessa e cerca di verificare mediante il pensiero razionale la giustezza dell’intuizione colta).
Come vediamo si ripete l’eterno conflitto tra pensiero razionale e pensiero vivente come se i due tipi di pensiero si annullassero a vicenda. Non dimentichiamo la battaglia condotta da L.C. de Saint-Martin contro la scienza del suo tempo che già allora minacciava con il materialismo che portava con sé, ogni forma di rapporto con il mondo divino. Oggi noi che viviamo totalmente in un mondo reso artificiale dal pensiero razionale e in un tempo scandito da congegni elettronici, avvertiamo in modo particolare la necessità di ristabilire quell’equilibrio dato dal mondo dello spirito a queste due forme di pensiero. Non a caso nell’albero sefirotico della tradizione Cabalistica, le forze che agiscono sulla testa, Chokmah, ovvero la saggezza o piano dell’intuizione e Binah cioè intelligenza o piano della razionalità, nate nell’universo ed ivi diffuse, si equilibrano in essa, una proveniente da destra ed una da sinistra, creando la base del triangolo che ha per vertice Keter ovvero ciò che per gli antichi era l’incarnazione di tutto ciò che doveva discendere negli uomini dal mondo spirituale.
Per concludere, una volta rigenerato il pensiero attraverso la concentrazione e la meditazione, l’uomo di desiderio potrà operare su di sé quel risveglio che gli farà ritrovare il più sublime dei suoi diritti che consiste, come dice il nostro filosofo, nel far uscire Dio dalla sua propria contemplazione, realizzando così quanto egli stesso afferma nel cantico 202 della sua opera “L’Uomo di desiderio“:
«Non è affatto all’uomo debole che la gloria del Signore è promessa; prima di goderne bisogna che il pensiero dell’uomo abbia riacquistato la sua elevazione. Perché è nel pensiero dell’uomo che si trova la gloria del Signore. I cieli l’annunciano pure questa gloria, e Davide ce l’ha detto nei suoi cantici; ma essi non fanno che annunciarla, mentre il pensiero dell’uomo la giustifica, la prova e la dimostra. Un giorno i cieli, la terra e l’universo cesseranno di essere e non potranno più annunciare la gloria di Dio. Quando questo giorno sarà giunto il pensiero dell’uomo potrà ancora giustificarla, provarla, dimostrarla, e ciò per la durata di tutte le eternità.
Pensate che, se voi non abbandonaste un pensiero puro e vero che fosse stato condotto ad un fine vivo ed efficace, vi ristabilireste, in modo impercettibile ai sensi, nella vostra legge e diverreste fin da quaggiù i rappresentanti del vostro Dio».
Vorrei far notare qui, a voi tutti, l’estrema importanza di quest’ultimo passo, in quanto esso ci dice chiaramente quanto sia rilevante operare mediante il pensiero vivente nel vivere di tutti i giorni, perché solo così si diverrebbe capaci di far vivere nel cuore di ogni uomo quella forza che ci renderebbe artefici del regno di Dio in Terra, compiendo in questo modo il proprio Ministero.
Per completare il quadro relativo al Martinismo, ricordiamo che dopo la chiusura dei lavori e dei templi avvenuta nel 1780 ad opera di Sebastiano de Las Casas, ultimo successore di Martinès, continuò a circolare in Europa per tutto il XIX° secolo, ma particolarmente in Francia, Germania e Russia il termine Martinista, col quale venivano indicati gli amici e i seguaci del pensiero di L. C. de Saint-Martin.
Soltanto alla fine del secolo e precisamente nel 1891, Gérard Encausse detto Papus ed Augustin Chaboseau in virtù di una pretesa catena iniziatica (non provata) che li legava a Saint-Martin fondano il cosiddetto “Ordine Martinista”. Dopo la morte di Papus avvenuta nel 1916, si succedono vari Gran Maestri tra cui Jean Bricaud (1881-1934) che stabilì la non ammissione all’Ordine per i non massoni e per le donne.
Questa norma è poi decaduta. Attualmente L’Ordine Martinista è diffuso in tutto il mondo, ed ogni Ordine è sovrano ed indipendente; in genere quasi tutti hanno un indirizzo che segue tendenzialmente la linea di Saint-Martin, qualcun altro ha forse una maggiore propensione
per il Martinezismo.
Note
[1] Dal vocabolo ebraico cohanim che significa sacerdoti.
[2] L’Ordine dei Filateti, presieduto da Savalette de Lange costituiva un gruppo massonico dedicato alla storia ed alla archiviazione di tutto ciò che riguardava l’esoterismo della sua epoca.
[3] Per distinguere il Martinismo moderno dovuto all’insegnamento di Louis-Claude de Saint-Martin da quello di Martinès, quest’ultimo è stato chiamato Martinezzismo.

Lettera del Sovrano Gran Maestro Aldeberan S. I. I. a Tutti i Martinisti - Gastone Ventura


In occasione del prossimo convento della 1ª e della 2ª provincia e dell’organizzazione del convento generale annuale che si svolgerà sul tema: “Il materialismo e la sua essenza; sua posizione nell’arengo iniziatico; doveri del martinista”, riteniamo opportuno richiamare tutti gli appartenenti all’Ordine all’osservanza di quelle norme che promanano dai simboli fondamentali dell’Ordine stesso: tritume, maschera, mantello, nonché dagli statuti e fondamenti sui quali si basa la disciplina di tutti i martinisti.
Abbiamo purtroppo constatato in questi ultimi tempi, e particolarmente fra coloro che pur avendo liberamente, senza pressione alcuna, richiesto di esser ricevuti tra noi provengono da altre fratellanze (che regolarmente frequentano come, del resto, è loro dovere) una irrequietezza che ci fa dubitare della iniziazione tradizionale, e della loro capacità, pur avendo visto il tritume; di trarne quegli insegnamenti che sono indispensabili per raggiungere prima la maschera e poi il mantello.
Ciò anche se più di qualcuno, per errore – sia esso in buona fede o meno – di qualche iniziatore, maschera e mantello ritengono di averlo raggiunto con la trasmissione del grado che al simbolo si riferisce.
A costoro – se costoro ci sono, come dubitiamo – dobbiamo dire che sono in errore.
L’acquisizione, prima della maschera, poi del mantello, non dipende dalla trasmissione di un grado, ma dalla certezza interiore di averli raggiunti lungo la pesante strada dello studio, della rinuncia, della capacità di trarre dal proprio Io la semente del Sé. Ciò che, in parole povere, vuol dire che chi ha trovato tal seme ed è in grado di farlo germogliare non adduce più alcuna importanza alla vanità
dei gradi, alle piccole e vane camarille per la supremazia di un gruppo sull’altro, e tutte le altre quisquilie che promanano dalla vita profana, e che nulla hanno a che vedere con l’iniziazione, anzi, portano immancabilmente alla contro-iniziazione. Per essere ancora più chiari, spiegheremo a coloro che non lo avessero ancora capito che l’acquisizione di un grado d’iniziazione non può essere concessa da nessuno, ma si conquista da se stessi: consegue a ciò che i gradi concessi dagli iniziatori non possono assolutamente rappresentare l’acquisizione di una maggior conoscenza e, quel che più conta, di un avvicinamento alla realizzazione, ma sono soltanto un incarico gerarchico necessario per costruire la piramide di un Ordine iniziatico che possiede i poteri di trasmissione della via iniziatica tradizionale e che tale trasmissione deve effettuare per mantenere la tradizione (in altre parole “perché la fiaccola non sia mai spenta”) indicando la via della realizzazione, ma che la realizzazione non può trasmettere (ed è ovvio sia così altrimenti l’Ordine non sarebbe – come lo è – una organizzazione umana ma qualcosa di soprannaturale) perché la realizzazione è una cosa assolutamente personale. E chi dice il contrario afferma il falso.
Ovvio il dire che in una organizzazione come la nostra e cioè un Ordine iniziatico – i gradi che costituiscono gli incarichi sono affidati – o almeno lo dovrebbero essere - a chi ha dato dimostrazione di aver studiato e appreso le dottrine e la materia adatte ad aprire la via della realizzazione, e di aver dimostrato di aver ben compreso i tre fondamentali simboli dell’Ordine. Che quanto abbiamo detto risponda al vero è provato da un fatto certo: chi ha raggiunto la realizzazione non ha più bisogno di insegnamenti o di guida, né di appartenere a cariche gerarchiche perché è al di sopra di tutto ciò. In altre parole si è immedesimato nel simbolo del mantello, ciò che rappresenta la finalità dell’Ordine e provoca – come è naturale essendo la finalità – l’immediata “uscita” dall’Ordine stesso rafforzando – e non rompendo come agli ignari potrebbe sembrare – la catena martinista con la sua “presenza”. Ogni “uscita” di questo tipo è una vittoria dell’Ordine e un suo sicuro rafforzamento: si tratta di coloro che noi sentiamo intorno a noi, pur non essendo presenti, quando “invochiamo” i maestri presenti e passati.
Chi non ha capito questa semplicissima e ovvia identificazione del simbolo, non è un martinista né lo potrebbe essere, e continuerà a interessarsi di questioni che ritiene esoteriche e che sono soltanto occultistiche, ma che, nella realtà, rientrano nel campo profano. Oppure a crogiolarsi nella vanità di un bel discorso o nello sciocco orgoglio di gradi conseguiti (e nella brama di quelli da conseguire), e quel che è peggio, nelle beghe delle camarille tendenti ad acquistare “potere” asservendo gruppi ai loro fini, od a fini che non sono neppure i loro ma di quelli che li manovrano, e ciò talvolta per spirito settario quando non, forse, per loffa di qualche sciarpa multicolore. Fatto questo distinguo fra l’iniziazione e la gerarchia di un Ordine – distinguo che spiega come un semplice associato possa anche essere capace di far germogliare il seme del Sé, mentre Noi stessi, al vertice della piramide dell’Ordine, e fors’anche proprio per questo, non ci siamo ancora riusciti pur tentando in continuazione di ottenerlo – dobbiamo ricordare ai martinisti anche l’esistenza di statuti e regolamenti, e di fondamenti che vanno rispettati.
L’Ordine martinista, contrariamente a quanto era stato imposto erroneamente in Francia, non richiede giuramenti. Quando si dice che una persona è onesta, non c’è bisogno di farla giurare altrimenti non si ha fiducia in lei e le si fa un continuo ricatto. D’altronde, se è disonesta non terrà in alcun conto i giuramenti fatti. Ma, invece, le promesse fatte da uomo d’onore vanno rispettate pena l’immediata uscita dalla catena che, automaticamente si rinsalda.
Ora, noi abbiamo nel nostro Ordine queste forze estranee, questi uomini che non rispettano le loro promesse. Si tratta di pseudo martinisti ed anche di martinisti in buona fede che hanno scambiato il martinismo per un’associazione massonica o paramassonica, o che il martinismo vogliono asservire ad una potenza estranea, con ciò svuotandolo della sua essenza iniziatica e tradizionale per servirsene a scopi di potenza profana.
A quelli in mala fede, affinché quelli in buona fede possano rientrare nell’alveo martinista, noi ricordiamo che agire in questo modo significa tradimento.
E affinché gli uni e gli altri si rendano conto che, se massoni sono, si son resi indegni di essere tali, e se non lo sono non sono neppur più martinisti anche se continuano a frequentare i nostri gruppi, Noi ricordiamo, rifacendosi a Papus, le seguenti dichiarazioni di principio:”L’Ordine è essenzialmente spiritualista, combatte con tutte le sue forze l’ateismo e il materialismo, e in collegamento con tutte le altre fratellanze iniziatiche, combatte l’ignoranza e dà al simbolismo la grandissima importanza che gli compete in tutte le serie iniziazioni”. Tali dichiarazioni furono confermate in Italia, nel 1923 quando il Gran consiglio italico, sette anni dopo la morte di Papus, si staccò dal tronco francese che aveva fatto del martinismo un’appendice paramassonica della chiesa gnostica, con rituali pressoché massonici, e pretendeva, escludendo le donne dai gradi di probazione, che tutti i martinisti dovessero possedere il terzo grado muratorio. Diceva la comunicazione ufficiale del 5 maggio 1923:
L’Ordine martinista non è una massoneria, non richiede alcun giuramento, non impone vincoli di specie alcuna. Le sue logge non hanno il significato che intende la massoneria; i liberi muratori di ogni rito, possono iscriversi all’Ordine martinista sicuri di rinforzare nello studio e nella meditazione dei simboli la fede massonica”.
Tali dichiarazioni, sempre rispettate in Italia, furono riconfermate nel 1945, alla ripresa dell’Ordine, e nel 1962 (11 dicembre) nel protocollo di unificazione degli Ordini martinisti italiani, nel quale si riconosceva come unica e autentica filiazione martinista in Italia quella della Grande Montagna.
Inoltre noi abbiamo, come ogni Ordine, uno statuto il cui primo articolo recita:
L’Ordine martinista è una libera associazione di Uomini di desiderio i quali si propongono lo studio dei rapporti tra Dio, l’uomo e la natura, e si impegnano ad usare a fine di bene il frutto della loro conoscenza”.
L’Ordine martinista non è dunque una massoneria anche se, per vari motivi, ha adottato nella sua organizzazione forme esteriori che i massoni possono credere somiglianti a quelle massoniche senza rendersi conto che tali forme sono state prese dalle organizzazioni cavalleresche e dalle religioni militari che, a loro volta, le presero dalle organizzazioni iniziatiche.
Ragion per cui si può dire che il martinismo, in quanto Ordine iniziatico, si è richiamato alle antiche organizzazioni del suo tipo, come del resto è vero, e non a quelle massoniche come qualcuno vorrebbe far credere.
Che i martinisti, poi, non siano massoni in quel senso che oggi molte famiglie massoniche ostentano, è provato da quanto Noi, capo dell’Ordine, depositario della sua tradizione, guardiano dei suoi principi dottrinali, conservatore dei suoi archivi essenziali e di probazione, unico autorizzato a parlare e trattare in suo nome - come stabilito dall’articolo 7 degli statuti – Noi che abbiamo fatto solenne promissione di difendere a qualunque costo e con tutti i mezzi a Nostra disposizione le dottrine e le tradizioni dell’Ordine stesso, ebbimo a dire, nel 1969, a San Leo, in occasione di quel convento sugli eggregori e le catene occulte, affermando che i martinisti non possono e non debbono interessarsi di questioni, nobilissime fin che si vuole ma profane se non come materia di studio a fini esoterici. Il martinismo – dicemmo allora, ed oggi lo confermiamo e lo affermeremo sempre - non è palestra di proposte o risoluzioni umanitarie, non deve risolvere problemi di progresso o di benessere economico o sociale; il martinismo è un ordine iniziatico che, attraverso l’iniziazione per gradi annulla le differenze sociali, economiche, razziali e crea un’aristocrazia di Uomini di desiderio che vogliono e devono raggiungere la tranquillità interiore, e tramandare la fiaccola della Tradizione. E spiegavamo, sperando di essere capiti, che negli Ordini iniziatici le differenze di razza o di stirpe sono annullate dalla iniziazione. Chi appartiene ad un Ordine iniziatico – se non ha prevaricato e prevarica – appartiene ad un’unica razza, anzi e meglio, ad una sola ed unica stirpe; l’ammissione all’Ordine attraverso il rito iniziatico è una nuova nascita in una nuova stirpe; la conquista di un grado – se veramente è conquista come abbiamo spiegato, e non usurpazione o prevaricazione, o sfruttamento di conventicole che nulla hanno a che fare con l’iniziazione – è l’affidamento della stirpe e il ricongiungimento ai Mani della stirpe stessa.
Questo dicevamo. Ma ci pare di non essere stati compresi, oppure che la prevaricazione abbia avuto il sopravvento con la costituzione di gruppi cosiddetti omogenei, con la scusa suggestiva, ma falsa, che il ritrovarsi in un gruppo martinista tra fratelli tutti provenienti – ed appartenenti – ad altra associazione, rappresenta un più facile scambio di idee, comunità di intenti, facilità di amalgama, maggior desiderio di aprirsi a nuovi e più ampi orizzonti.
Questa è una menzogna perché, per logica umana, in tal gruppo non si può creare l’omogeneità che, anzi, se ci fosse, ne sarebbe distrutta. Il filosofo incognito di quel gruppo non avrà mai la forza di opporsi ai suggerimenti (o ai voleri?) di un suo adepto che nell’obbedienza dalla quale provengono, e dove si ritrovano, occupa un seggio più alto del suo. Le dottrine martiniste saranno trascurate o travisate e, alla fine, in quel gruppo si parlerà e si tratteranno questioni estranee al martinismo ricadendo nella dialettica profana. Quando non accadrà di peggio.
L’omogeneità non deve essere massonica, teosofica, spiritica, mistica o di altro genere; dev’essere omogeneità martinista, ed è per questo che i veri gruppi omogenei sono quelli dove sciarpe, gradi, cariche di altre organizzazioni sono dimenticate in funzione di quella comunione di intenti spirituali che promana dal sentirsi tutti fratres in unum, alieni da pressioni o sollecitazioni profane, senza giri di tronchi o di borse, senza tasse da pagare, senza giuramenti restrittivi e ricattatori; uomini liberi in quella libertà interiore che proviene dal sentirsi vicini al proprio Creatore, e perciò non legati a imposizioni o a restrizioni contrarie ai dettami della propria coscienza.
Dicevamo, sempre a San Leo, che il significato di omogeneo non è quello di uguale e neppure, come si potrebbe pensare, di simile. In via figurativa – soggiungevamo – si può dire che per produrre una buona bevanda di caffè sono necessari vari chicchi di caffè, diversi per forma, grossezza, profumo e qualità. La bevanda, ovviamente, si ottiene anche con un solo tipo di caffè, ma è certo che la miscela di qualità, tipo, forma, grossezza e profumo diversi, produce la migliore bevanda, Questa è l’omogeneità.
Per questo motivo abbiamo sempre consigliato di non creare gruppi martinisti con persone della stessa estrazione. Ma non siamo stati obbediti. E usiamo il verbo obbedire perché un nostro consiglio dovrebbe essere considerato un ordine.
Concludendo Noi diciamo a coloro che ben sanno che ad essi ci rivolgiamo che hanno sbagliato tutto. Che nessuno li ha pregati di venire tra noi. Che possono far ritorno di dove sono venuti perché essi sono fuori ella nostra catena anche se credono di esserci, sbagliando ancora nel considerarla con mentalità profana. Che qualunque loro tentativo sarà stroncato dalla Nostra legittimità. Che si son lasciati vincere dal dèmone dell’ambizione ma che, se lo vogliono sono ancora in tempo per ritornare a quella virtù martinista che è l’umanità.
A tutti, una volta in più, ripetiamo l’invito a riflettere, a studiare, a leggersi e meditare gli statuti, le dichiarazioni di principio, i quaderni iniziatici; a convincersi che il martinista non cerca potenza terrena, non ha ambizioni profane, non vuol giungere a posti di comando nell’arengo politico o sociale, ma è un uomo di desiderio che cerca conoscenza, che vuol trovare il seme del Sé facendolo germogliare – se ne è capace – per raggiungere la realizzazione. Ma se anche non riuscirà a far germogliare quel seme, l’averlo trovato o anche soltanto l’ansia della sua ricerca, gli darà quella tranquillità interiore che già di per sé, rappresenta una realizzazione che lo farà “vivere” in un mondo che la gran parte dell’umanità ha completamente dimenticato.

martedì 16 aprile 2013

Chi si dedica alle opere della scienza deve giornalmente muoversi con moderazione

"Chi si dedica alle opere della scienza deve giornalmente muoversi con moderazione, astenersi dalle veglie troppo prolungate e seguire un regime sano e regolare...deve soprattutto distrarsi tutti i giorni dalle preoccupazioni magiche con occupazioni materiali o lavorando sia in arte sia nell'industria, sia anche ad un mestiere. Mezzo per ben vedere è quello di non guardare sempre, e chi passasse tutta la sua vita a mirare sempre allo stesso scopo finirebbe per non mai raggiungerlo." (E.Levi)

Quanti ricercano nell'iniziazione la compensazione per le miserie ineluttabili della vita profana ? Quanti bussano portandosi dietro un carico eccessivo di nodi insoluti che attanagliano la mente e l'anima ? Ansia per il futuro. Angoscia per il presente. Rimpianto per il passato. Un fardello pesante che andrebbe risolta in una sintesi personale, prima ancora di giungere di chiedere istruzione filosofica e magica, onde impedire che a frammentazione si aggiunga altra frammentazione. 

Anticamente erano accolte persone la cui formazione era già solida. Le quali erano in grado di separare gli accidenti della vita quotidiana, dalle istanze spirituali. Rivolgendosi alle prime, così come l'albero con il vento. Dedicandosi alle seconde così come l'alunno diligente all'apprendimento. 

Spesso oggi prevale il desiderio di accogliere senza valutare le qualità di chi bussa, e di bussare senza interrogarsi sulle qualità che offriamo.

Elenandro

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