venerdì 31 maggio 2013

Abate Julio e il Pentagrammaton - Elenandro

Colui che passerà alla storia dell'esoterismo come l'Abate Julio, al secolo Julien Ernest Houssay, nacque nel 1844 a Cosse'-le-Vivien in Bretagna.
Di umili origini, il padre era operaio, entra nel seminario cattolico dove dimostra immediatamente una naturale inclinazione allo studio del latino e delle sacre scritture. Le origini modeste gli avrebbero riservato un percorso di curato di campagna, ed infatti  e' nominato vicario ad Juvigne', ed in seguito a Javron, ma il fato aveva disposto diversamente. Allo scoppio della guerra nel 1870 è cappellano militare al seguito del generale Cathelineau. A fine della guerra, e dopo un periodo passato in ospedale a causa di una grave malattia, viene viene avanzato a vicario della chiesa di Saint Joseph in Parigi. Frequentanto la capitale inizia a maturare un profondo dissenso e travaglio personale nei confronti della decadenza della Chiesa, e dei suoi superiori molto più intenti a gestire questioni politiche ed economiche piuttosto che a tutelare i deboli. Questa sua visione lo porta nel 1885 a rompere con la Chiesa di Roma ed entrare nella Chiesa Gallicana (La Chiesa Gallicana è una chiesa francese che è stata fondata da un ex prete cattolico romano, Hyacinthe Loyson. Essa riconosce al Papa un primato Onorifico, ma la sua organizzazione è strettamente territoriale ed autonoma. Non riconoscendo al Papa un potere assoluto in veste giurisdizionale per le questioni religiose). Nell'ambito della Chiesa Gallicana  l'Abate Julio conosce Jean Sempe', grande veggente, mistico e guaritore, che alla morte, 1892, gli trasmette i suoi poteri. Da questo momento diviene l'Abate Julio i suoi contemporanei ci narrano come avesse la facoltà di alleviare gli animi, curare, e consolare i malati. Utilizzasse la prghiera e i talismani, e la liturgia, per ottenere l’assistenza degli Spiriti Buoni, degli Angeli e della Trinità per liberare dal male fisico e spirituale.
Nel 1904 viene consacrato vescovo, continuando ad esercitare il magistero religiose e terapeutico, trovando pace su questa terrna  nel 1912 a Ginevra.

Operatività

Come abbiamo accennato l'Abate Julio operava tramite il messale liturgico, la lettura dei salmi, e l'utilizzo di talismani personali i quali racchiudevano elementi della tradizione teurgica salomonica e cabalistica.Attraverso queste operazioni ricercava l'influsso delle potenze celesti, quando non della trinità divina, per operare guarigioni, protezioni, e bandi di potenze malvagie. I talismani, come detto in precedenza, racchiudono un complesso simbolico le cui origini sono sicuramente da ricercare nella teurgia salomonica e cabalistica, scontando anche elementi che rimandano alla cultura personale dell'Abate. Quest'ultimi potrebbero lasciare perplessi, ma sono a mio avviso indicativi di una grande verità. Un talismano per operare correttamente, e dispiegare i propri effetti, deve essere comunque personale. Significa che l'operatore deve avvalersi della scienza tradizionale in guisa del proprio genio ed arte, e non lasciarsi sottometere dalla stessa. 

Pentagrammaton 




Per quanto concerne la nostra scienza, alla perenne ricerca di indizi attorno alla radice cristiana gnostica del martinismo riporto due talismani dell'Abate Julio. Talismani la cui centralità è rappresentata dal Pentagrammaton, l'elemento distintivo attorno a cui è costruita tutta l'operatività martinista.

Il primo (Le Strade) rappresenta una montagna dominata dal Pentagrammaton (da notare la centralità e sovranità della Scin sulle altre 4 lettere).
 Notam fac mihi viam in qua ambulem: Signore, indicatemi la via che devo seguire. (epigrafe) E' chiaramente da utilizzare nei momenti di profonda indecisione, in cui è necessario ricorrere all'intercessione divina, tramite un'illuminazione superiore che ci giunga in aiuto. Le tre vie (postivia, negativa, neutra) ricordano da un lato le tre forze alchemiche, ma dall'altro la stessa scin, con solamente una di esse che giunge al cielo.


Interessante è il secondo talismano dell'Abate Julio dove abbiamo un triangolo posto al centro di un cerchio. All'interno del triangolo troviamo la formula tetragrammatica sormontata dalla Scin. Il triangolo ovviamente rappresenta la trinità divina, il cerchio la completezza e l'unione del tutto. Nell'epigrafe Dominus Custodit Te. Che indica la funzione di protezione che questo talismane riveste.


Afferire che l'Abate Julio era martinista è sicuramente una forzatura, considerare che l'operatività promossa e professata dall'Abate Julio avesse molto in comune con gli strumenti martinisti è invece appropriato. 

www.martinismo.net

giovedì 30 maggio 2013

Quatre de Chiffre ed Eletti Cohen - Elenandro



Vi sicuramente una forte corrispondenza grafica, fra un simbolo di riconoscimento spirituale ed iniziatico del Martinez de Pasqually, il primo Grande Maestro degli Eletti Cohen e il complesso simbolico, su cui anche Guenon ha scritto, e conosciuto come Quatre de Chiffre.

Di seguito i simboli:

(Quatre de Chiffre)


(chiave di passo del Martinez)

Nell'operatività teurgica degli Eletti Cohen lo ritroviamo presente nella consacrazione del Reau-Croix, che ricordiamo essere il più alto grado di questo complesso sistema iniziatico, che opera attraverso influenze angeliche, e per esperienza diretta posso assicurare che la valenza operativa di tale simbolo è decisamente marcata.

Il Quatre de Chiffre, di cui a breve affronteremo in modo più sistematico la genesi e le sue valenze in vari ambiti dello scibile iniziatico, appare in contesti quali la teurgia, l'alchimia, le antiche coorporazioni dei mestieri e delle arti, fino alla mistica cristiana. Pare affondare le radici fino alla croce di Costantino




Attorno all'importanza della chiave simbolica in oggetto è possibile consultare anche l'articolo:
Quatre de Chiffre - Rene Guénon




domenica 26 maggio 2013

Forumula Pentagrammatica - Pico della Mirandola - Elenandro


Quanto sopra riportato sono estratti da testi di Cabala Cristiana ad opera di Pico della Mirandola e Francesco Giorgi .

La Cabala Cristiana, arte mistica e filosofica che nacqua all'interno dei circoli neoplatonici rinascimentali, si pose come obiettivo quello di svelare i segreti del Nuovo e dell'Antico Testaento attraverso lo studio, in chiave cristiana, della Cabala Ebraica. Per i neoplatonici i cabalisti ebrei altro non erano che dei cristiani "inconsapevoli" in quanto tutta la loro scienza e ricerca si muoveva attraverso la rivelazione del dio fattosi uomo.

Ai fini delle nostre ricerche filosofiche ed operatve è senza ombra di dubbio fondamentale conoscere l'origine della formula pentagrammatica
e di come il cuore dell'operatività martinista non può che risiedere all'interno di un paradigma cristiano esoterico.

Piano Operativo del Rituale dei Nomi degli Eletti Cohen - Elenandro

Quanto vediamo nell'immagine è la disposizione del piano operativo in relazione al rituale dei nomi divini degli Eletti Cohen. Il rituale tradizionalmente viene compiuto nella notte di luna nuova, in un luogo debitamente purificato e consacrato, preferibilmente deputo all'arte teurgica.

Ogni strumento, così come gli indumenti del teurgo, devono essere stati in precedenza consacrati, e la purificazione dell'ambiente deve avvenire tramite appositi rituali di bando, oltre mediante l'utilizzo del suono e delle fumigazioni.

E' consigliabile operare nel momento in cui la potenza sovrano dall'ora coincide con la potenza sovrana giornaliera, sempre ovviamente all'interno della fase di Luna Nuova.


venerdì 24 maggio 2013

Note Storiche sul Martinismo 9 - Aldebaran

D O C U M E N T I
SULL’ORDINE MARTINISTA ANTICO TRADIZIONALE ED ALTRI

Veniamo, ora, al “Martinismo” di Lione, attraverso il grado più elevato, quello di Reau-Croix. Ci rifacciamo sempre alle documentazioni provenienti da Robert Ambelain. Esiste una lettera di Ambelain, datata Parigi, domenica 21 febbraio 1960, diretta a colui che lo stesso Ambelain indicò anni dopo come: “l’inénarable Vitali”, dalla quale si possono trarre, con quel che segue, inaspettati insegnamenti. La lettera inizia con questo preambolo: “Questa lettera, importantissima per la storia vera del Martinismo, ti è inviata sia quale Segretario generale dell’Ordine Martinista detto di Papus (francese, NdR), sia come Ispettore generale dei Cerchi Cohen Associati, provenienti dall’Ordine Martinista degli Eletti Cohen”.
Essa tratta di varie questioni e comincia con la Chiesa Gnostica. Pare che qualcuno avesse criticato Ambelain di “ribellione” agli gnostici di Lione che rivendicavano la supremazia e la direzione della Chiesa. “A queste accuse sbalorditive – scrive Ambelain – io rispondo così: 1° non avendo ricevuto la Successione apostolica nel quadro della loro Chiesa cattolica neo gnostica, detta Chiesa di Lione, non essendo mai stato suo membro, non sono obbligato ad alcuna disciplina e sono libero di fare ciò che mi piace, a fortiori, di costituirne una, ciò che ho fatto nel 1953”.
Si potrebbe polemizzare senza fine ma la dichiarazione si commenta da sé. Ma, se quel capoverso al nr. 1 non bastasse, a quello nr. 3 scriveva: “Designato dal Patriarca della loro Chiesa (Notiamo la contraddizione con quanto detto al nr. 1 – NdR), S.B. Monsignore Charles-Henry Dupont a succedergli, io non potrei essere un ribelle né in avvenire, né in mezzo ad essi. Credo, piuttosto, che nelle circostanze, la loro accusa di “ribellione” si potrebbe applicare piuttosto a loro, dato che essi contestano una decisione del loro Patriarca”.
E passiamo all’Ordine kabbalistico della Rosa-Croce, fondato da Péladan, Stanislas De Guaita e poi passato a Papus. E qui, uscito dalla porta – come abbiamo visto nella precedente puntata – Lagrèze (Mikaël) rientra dalla finestra. Scrive Ambelain: 1° Ricordiamo prima di tutto che Lagrèze fu per Teder 117 ciò che io fui per Lagrèze, l’erede e legato della maggior parte delle iniziazioni ch’egli aveva ricevuto. Fu Teder l’iniziatore di Lagrèze al Martinismo, a Londra. Successivamente egli divenne Ispettore principale dell’Ordine Martinista, membro del Supremo Consiglio nominato da Papus e noi abbiamo nel nostro archivio la foto della sua patente firmata dallo stesso Teder 118. Nell’Ordine della Rosa Croce egli fu, vivendo Papus e, poi, vivente Teder, membro dell’Ordine e della sua Camera di direzione”. Dopo aver affermato che i documenti furono consegnati a Lagrèze e non a Bricaud, al nr. 2°, Ambelain proseguiva: “d’altronde, quali erano i rapporti fra Teder e Bricaud? Non abbiamo visto che qualche rara lettera di Lagrèze che parla di Bricaud. Teder stimava in Bricaud la sua devozione e il suo zelo e la sua sincerità. Per contrapposto, massone e occultista prima di tutto, Teder si beffava (se moquait, nel testo francese – NdR) di Bricaud, “discepolo di Vintres” 119, gli rimproverava d’aver creato la Chiesa del Carmelo d’Elia, poi la Chiesa Joannita (assai prima la Chiesa cattolica neo-gnostica, e di “giocare al curato” (sic)”.
E qui viene il resto del conto: “Per questi motivi – scriveva l’Ambelain – per tutte le diversità di rapporti fra Teder e Lagrèze, e fra Teder e Bricaud, noi crediamo ch’egli confidò effettivamente a Lagrèze la cura di restaurare 120 l’Ordine kabbalistico della Rosa-Croce al momento opportuno” e ciò perché mai vivente Teder, Bricaud fece parte dell’Ordine della Rosa Croce (…). Noi possediamo un documento che prova come Bricaud ricevette, dopo la morte di Teder, undici anni dopo, da un membro della Rosa-Croce kabbalistica che non si è mai potuto identificare, la filiazione di quest’Ordine. Questo anonimo iniziatore l’avrebbe ricevuta da un greco di nome Semelas, agente segreto tedesco durante la guerra del 14-18. Questo Semelas pretendeva essere la reincarnazione dell’apostolo Giovanni” (e sorvoliamo sul resto perché veramente dimostrativo di quale pazzia si tratti).
Ma c’è qualcosa che, sul piano reale e non su quello delle fantasmagorie, ci interessa: ”Se Teder avesse realmente designato Bricaud quale suo successore alla testa dell’Ordine Martinista, si potrebbe avere ancora qualche speranza ch’egli lo avesse egualmente designato per la Rosa-Croce. Ma ciò non è vero (il n’est rien, nel testo francese – NdR), e l’allegato a questa lettera lo prova senza alcuna contestazione possibile. Dunque, che rimane? Nulla…”.
E passiamo al Martinismo di Lione, col grado di Reau-Croix di cui alle dichiarazioni del cosiddetto Gran Maestro dell’ancor più cosiddetto Ordine Martinista Antico e Tradizionale, Ordine, quello di Lione, del quale Bricaud fu Gran Maestro fino alla sua morte.
Scrive Ambelain nella citata lettera:
“Quanto ai diritti che Bricaud ha allegato sulla Gran Maestranza dell’Ordine Martinista alla morte di Teder, ecco diverse testimonianze che ho potuto raccogliere. Uno dei testimoni è ancora vivente, qui, a Parigi… Il fratello Nicola Choumitsky, di antica famiglia martinista russa, Cavaliere beneficente della Città Santa, allievo e discepolo di Carlo Barlet, mi ha detto questo: “Sono tornato in Francia nel 1910. Teder era morto. Ho chiesto a Chacornac padre chi era allora il Gran Maestro dell’Ordine Martinista. Chacornac mi rispose: Blanchard…. Presi allora contatti con Blanchard. Un incontro fra Bricaud e Blanchard fu allora organizzato, ed ebbe luogo in un caffè. Bricaud giunse solo, portando in un quadro di vetro un testo affermante che Teder lo designava per suo successore. Blanchard, che era giunto con alcuni membri del suo Supremo Consiglio, fu preso da una violenta
collera. Dopo un attento esame, l’avviso unanime fu che il documento non era autentico. Bricaud lasciò l’impressione di un uomo superficiale, senza alcuna spiritualità. Io mi rivolsi allora a Barlet e gli chiesi chi era il vero successore di Teder. Egli sorrise e mi disse che il Martinismo era “un cerchio la cui circonferenza si trovava dappertutto e il centro in nessun luogo…”. Egli voleva dire
che non c’era alcun Gran Maestro. Successivamente la signora Detré (Teder si chiamava Detré) mi disse che suo marito non aveva potuto designare un successore, perché egli non credeva affatto di morire! A suo avviso, egli era morto in seguito a un’operazione magica”.
E continua: “Aggiungerò un ultimo argomento. Un altro vecchio martinista, il fratello Marcoutone che fu, anche lui Gran Maestro di un Ordine Martinista alla morte di Papus, mi ha espresso quanto sapeva e pensava sulla questione di Bricaud “successore” di Teder. Per rispetto alla memoria del nostro fratello Bricaud, non lo riporterò in questa lettera”.
Noi, dopo quanto scritto in quella lettera, riteniamo di poter esclamare: “Un bel rispetto!”. Ma ognuno è il padre delle sue opere.
A conclusione, vero o non vero quanto affermato da Ambelain, risulta chiaro che il suo allievo (cioè il Gran Maestro dell’Ordine Martinista Antico e Tradizionale) fregiandosi di tante “filiazioni” ha raccolto un bel numero di “arcani”. Ci riferiamo a quanto avrebbe affermato, a proposito di certi documenti che se l’Ordine Martinista – il Nostro – possiede i documenti, egli, il Gran Maestro Antico e Tradizionale, possiede gli “arcani”. Questi, secondo la testimonianza di Ambelain, di cui egli fu sempre sostenitore fino a provocare quanto ha provocato, sono i suoi “arcani”.

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Note
117 - Teder sarebbe stato il successore di Papus, eletto da sé medesimo, da Victor Blanchard e da un’altra persona. Ma, subito dopo Blanchard avrebbe ritirato il suo voto creando, per suo conto, l’Ordine Martinista e Sinarchico.
118 -Circa la successione di Teder alla direzione della R+C kabbalistica non esiste alcun documento anche perché tale organizzazione, fin dal tempo dell’affermarsi dell’Ordine Martinista era passata in secondo piano.
119 - Circa Vintres è assai istruttivo quanto ne scrive S. De Guaita nel suo “Il Tempio di Satana” (Atanor, Roma).
120 - Si trattava, dunque, di “restaurare” ovvero di risvegliare l’Ordine della Rosa Croce, al momento opportuno. Va poi notato che Ambelain “credeva” e niente più.

Note Storiche sul Martinismo 8 - Aldebaran

IL CONVENTO DI ANCONA

Fu qualche settimana dopo il ritiro delle deleghe a Philalettes che Artephius ritenne di chiamare a sé un amico di sempre che, fin’allora, aveva rifiutato di accettare cariche di qualsiasi genere. Accennandogli vagamente all’accaduto lo pregò di voler procedere a una revisione e anche a una sommaria catalogazione dell’Archivio. Dopo una riunione, presenti la sorella Myriam e il fratello Ornitius, sentiti in separata sede i fratelli Carolus, Espero, Delphus, Alcione e Marius, fu deciso di soprassedere ad ogni iniziativa tenendosi a contatto con un gruppo che agiva a Rovigo e con Capj Neth Schin (Shabecon), che avevano contatti con Philalettes, seguendo quest’ultimo anche a mezzo dei suoi rapporti col “Droit humain” nel quale ricopriva il diciottesimo grado del Rito Scozzese Antico Accettato.
Sorvoliamo su quanto si verificò da quel momento fino all’aprile 1961 quando il Superiore Incognito Mercurius (del quale non si avevano più notizie dal settembre 1958, e che era stato iniziato da Philalettes) si rivolse al Gran Maestro chiedendogli se fosse vero che il Capo del Martinismo era lui e non il Philalettes. Uno scambio di lettere provocò l’invio , da parte di Mercurius del seguente documento che – a quanto scriveva lo stesso Mercurius – era stato inviato in Francia dove il Philalettes aveva ottenuto riconoscimenti e la nomina a Gran Maestro italiano del Martinismo facente capo al figlio di Papus nonché l’incarico di presidente in Italia dei Centri Cohen Associati. Diceva il documento: “Nello stesso periodo (1958) anche il conte Zasio limitava i poteri del Philalettes nel seno del Collegio dei SS.II. dell’Ordine Martinista e degli Eletti Cohen d’Italia, che deteneva la regolare e legittima filiazione martinista italiana secondo la linea Papus-Banti-Sacchi-Allegri 109. Tali insegnamenti di vita, evidentemente non erano sufficienti per cui, incontratosi col fratello Hermete si dichiarava autorevole esponente del Martinismo italiano capace di reinserire nella corrente tradizionale ben 300 (trecento) martinisti italiani. Nello stesso tempo gettava discredito sul conte Zasio con quell’arte che lo distingue in imprese del genere, sì che il fratello Hermete stimava opportuno prendere dei contatti più precisi. Per vincere gli ulteriori scrupoli del fratello Hermete, il Philalettes gli faceva inoltre intravedere la possibilità che la successione di Marco Egidio Allegri (il Gran Maestro del Martinismo italiano) spettava al Superiore Incognito Orthrus (…). In tal modo egli veniva nominato Commissario in Italia della Camera di direzione degli Ordini Martinisti e incaricato di organizzare un Convento Martinista in Italia (…). Al Convento parteciparono: Hermete ed Anassimandro per l’Ordine Martinista degli Eletti Cohen;
Mercurius quale rappresentante personale del defunto barone Giuliani; Philalettes e Orthrus.
Hermete, Anassimandro e Mercurius erano completamente ignari delle manovre poste in atto da Philalettes per allontanare i Martinisti da quel Convento organizzato proprio per riunirli. Al Convento Philalettes sostenne la tesi che il legittimo successore di M.E. Allegri alla testa del Martinismo Italiano non era Zasio, ma Orthrus stesso 110 (…). La Camera di direzione degli Ordini Martinisti riconosceva l’Ordine del Philalettes come il legale e legittimo Ordine Martinista e lo accettava nel ramo di Papus mentre restava valido il riconoscimento dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen in Italia 111 con Gran Maestro Krishna Frater. In un secondo momento Orthrus dava le dimissioni da Gran Maestro lasciando come suo successore Philalettes. Lo scopo sembrava raggiunto se alcuni membri dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen, colpiti da alcuni atteggiamenti non corretti, scarsamente fraterni, tanto meno iniziatici non avessero maggiormente indagato sulla reale successione interpellando direttamente il conte Zasio. In tal modo veniva posto in evidenza che, effettivamente, Gran Maestro dell’Ordine Martinista allo Zenith di Venezia era ed è tutt’ora l’Ill.mo e Pot.mo fratello Artephius…” 112.
Ma dagli atti del Convento del dicembre 1958 di Perugia 113 al quale parteciparono – come si è visto – cinque persone, Orthrus dichiarò: “Quando siamo entrati nel 1945, mi pare abbastanza numerosi sotto la direzione del Gran Maestro dell’Ordine M.E. Allegri di Venezia, noi sapevamo che già in diverse parti d’Italia esistevano degli elementi che appartenevano all’Ordine; l’Allegri era considerato e riconosciuto da tutti come Gran Maestro e lo Zenith di Venezia aveva cominciato a funzionare con certa regolarità, dignità e ordine, quando per l’ingresso di elementi nuovi, eterogenei, non preparati e ambiziosi e con scopi più o meno reconditi si sentì che era venuta a mancare la coesione. Un po’ Allegri si era cominciato ad ammalare e si era un po’ ritirato per curarsi e ci fu subito una specie di ribellione. Intanto Allegri peggiorava ed era entrato in ospedale per curarsi. Uno dei fratelli maggiori, e cioè Artephius, il conte Ottavio Zasio, ed io ci recavamo spesso a trovarlo prima della sua morte, si può dire che abbiamo raccolto le ultime parole di Allegri. Io non l’ho visto morire; ma è come se l’avessi visto, poche ore prima e in quella occasione io, in compagnia di Zasio, ho ricevuto il mandato di tenere la segreteria dell’Ordine.
Hermete: Senta, il conte Zasio è stato il successore di Allegri; in che modo?
Orthrus: Io non posso sapere con precisione perché non ho assistito agli ultimi colloqui avuti con Allegri perché pare da quello che han detto Zasio e la vedova di Allegri che in quei giorni fosse presente e abbia raccolto qualche eredità non so se verbalmente o in altra maniera.
Hermete: Avete dei documenti?
Orthrus: No, io non ho nessun documento.
Hermete: Zasio ha qualche documento?
Orthrus: No; potrebbe anche averlo, ma io non lo so”.

Da quanto sopra risulta che Orthrus, per sua stessa ammissione, non possedeva alcun documento comprovante ch’egli era il successore di Allegri, mentre ammetteva di non aver assistito agli ultimi colloqui fra Allegri e Artephius e che questi poteva aver avuto la successione come, del resto, aveva detto la vedova di Allegri. In realtà, Artephius – come sappiamo – aveva la successione autografa di Allegri e sia Orthrus che Philalettes lo sapevano per averla vista più volte.
Come risulta dalla registrazione 114 si trattò di una autentica estromissione di Artephius, a sua insaputa, e della sua sostituzione con Orthrus, effettuata proditoriamente.
Ai documenti inviati da Mercurius e di cui si è detto fece poi seguito durante le “trattative” per il rientro dei martinisti sbandati o riunitisi in gruppi spurii alla loro origine, il “breve” del Gran Tribunale (sic) dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen, del 18 ottobre 1961, col quale, dopo una precisa e particolareggiata motivazione, si concludeva con la condanna del: ”frère….. alias Philalettes à la colonne de l’infamie à vie, l’exclu en outre à vie également de l’Ordre Martiniste des Elus-Cohen; le déclare dégradé de tous ses titres et qualités initiatiques, et restitué au Monde profane inférieur » 115.
Il « breve » porta la firma di Aurifer e di Hermete.
Fra l’aprile del 1961 e il dicembre del 1962 si svolsero fra chi scrive e Mercurius, il quale ultimo aveva preso un altro nome iniziatico, le trattative per l’unificazione martinista che ebbe luogo nel corso di un Convento organizzato in Ancona nei giorni dal 9 al 12 dicembre. Il Convento si concluse la sera del 12 dicembre 1962 con la firma, da parte dei partecipanti, del seguente protocollo:
“A conclusione di un intenso lavoro preparatorio svoltosi fra i garanti di amicizia dell’Ordine Martinista o degli Eletti Cohen e dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen rispettivamente Aldebaran S.I. e Nebo S.I., si è svolto sulla Collina di Ancona – nei giorni 9, 10, 11, 12 dicembre 1962 – un Convento Martinista italiano al quale hanno partecipato i delegati qualificati dei due Ordini, investiti dei poteri necessari, per addivenire all’unificazione del Martinismo italiano.
“Alla conclusione dei particolareggiati e approfonditi lavori svoltisi alla Gloria di Iod Hé Schin Vau Hé e sotto gli auspici del Filosofo Incognito Nostro Venerato Maestro, il Convento, in perfetta intesa ed unità di spirito e di sentimenti, ha preso atto delle documentazioni presentate e ampiamente illustrate; ha deciso di realizzare l’auspicata unificazione del Martinismo italiano rifacendosi alle fonti tradizionali della linea di Papus trasmesse e mantenute in Italia senza interruzione attraverso Sinesius, Flamelicus, Artephius, secondo la dichiarazione di principio così enunciata: “L’Ordine Martinista ha per scopo il perfezionamento e l’elevazione spirituale, per mezzo dello studio, della conoscenza e della realizzazione della tradizione iniziatica; combatte con tutte le sue forze l’ateismo e il materialismo e, in collegamento con le altre fratellanze iniziatiche, combatte l’ignoranza e dà al simbolismo la grandissima importanza che gli compete in tutte le serie iniziazioni. Non si occupa di politica e tanto meno di questioni di ordine religioso. Si informa alla tolleranza sui metodi di studio.
“I martinisti dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen, riconosciuto che in Italia l’unica e autentica filiazione Martinista è quella rappresentata dalla Grande Montagna sedente allo Zenith di Venezia decidono di reinserirsi nella catena tradizionale del Martinismo italiano che assume il titolo di Ordine Martinista.
“Si formula il voto che, raggiunta felicemente l’auspicata unità in campo nazionale, si possa realizzare del pari la riunificazione degli Ordini Martinisti di tutto il mondo.
“Per l’applicazione pratica del presente protocollo, si rimanda agli annessi protocolli aggiuntivi.
   

Aldebaran S.I.
Nebo S.I.
Altair S.I.
Nitya      S.I.
Vega S.I
Sirius     S.I.
Manas S.I
Felix     S.I.
Aloysius S.I
Emmanuel S.I.
Ambros S.I.
Melkior      S.I.
Hermete S.I.

In pleno vidimus
Artephius S.I.”116
    
               
                        
                                                  .                            .
                                     
                         
                                                                         
                

Note
109 - L’indicazione è errata: Banti fu iniziato da Allegri nel 1922. La filiazione esatta è Papus, Sacchi, Allegri e successivi.
110 - Dagli atti del Convento si evincono dichiarazioni diverse.
111 - Tale Ordine era rappresentato dall’ex gruppo Silentium di Roma.
112 - Il documento è rappresentato da una “Nota sul Martinismo in Italia, inviata da Mercurius ad Artephius (A.O.M. Fondo Philalettes e Fondo Convento Ancona).
113 - Registrazione a magnetofono, trascritto a macchina, delle dichiarazioni e conversazioni svoltesi al cosiddetto Convento di Perugia del dicembre 1958, inviata da Mercurius a Zasio.
114 - Archivio e Fondo citato – A pag. 10 e seguenti della registrazione risulta la estromissione di Zasio, effettuata a Udine a sua insaputa da tre persone arbitrariamente riunitesi in Supremo Consiglio.
115 - Archivio citato – Fondo Philalettes: Decisioni del Tribunale dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen.
116 - Archivio O.M. Fondo Ancona: Di fianco ai nomi iniziatici figurano i nomi profani dei firmatari. Artephius firmò “in pleno vidimus” come Gran Maestro, per approvazione.

giovedì 23 maggio 2013

Note Storiche sul Martinismo 7 - Aldebaran

IL GRAN MAGISTERO DI ARTEPHIUS

Durante la sua ricaduta nella malattia che lo minava, nel gennaio del 1949 Marco Egidio Allegri, preoccupandosi degli Ordini dei quali aveva la responsabilità, aveva stilato l’atto di successione generale (esistente nell’Archivio dell’Ordine) col quale dava al suo sostituto Artephius “tutti i poteri dell’Ordine 83 e del Rito 84 per il tempo di degenza in luogo di cura, e nel caso di un passaggio all’Oriente eterno, i poteri della Successione” 85.
All’osservatore del documento appare evidente la gravità delle condizioni in cui si trovava Allegri: quel testamento è stato scritto con mano tremante, su un letto di dolore, ma la calligrafia e la firma presentano le precise inimitabili caratteristiche non solo grafiche e quindi evidenti, ma anche grafologiche.
Artephius fu molto cauto. Alla “comprensione”, alla “gratitudine” e alla “lealtà”, virtù che Egli aveva sempre professato, si univa quella della prudenza. La situazione italiana, nel settore degli ordini inziatici, particolarmente per quanto riguardava la Massoneria, era ancora caotica e la maggior parte dei Martinisti, rimasti in disparte dopo quanto si era verificato con lo scioglimento della Loggia “Pitagora” alla quale era appartenuto il Porciatti, e la bruciatura, avvenuta a Roma, da parte del Sovrano Gran Commendatore del Rito misto “Le droit humain”, Valentino di Fabio, del Sup.Inc. Ermes (che portava, purtroppo, la sua sigla), tanto per citare due episodi 86, preferivano attendere che l’orizzonte massonico si schiarisse per non doversi trovare – questa era, purtroppo, la mentalità “iniziatica” della maggior parte dei “nuovi” ed anche di un certo gruppo dei “vecchi” – impelagati nelle beghe fra un gruppo massonico e l’altro. Artephius preferì raccogliere intorno a sé un certo numero di fedeli – ci si passi il termine – di quelli cioè che avevano dato prova durante il periodo dell’Ordine clandestino, e di seguire i lavori massonici di loggia nel rispetto del trattato di alleanza che l’Ordine Martinista e il Rito di Misraïm e Memphis avevano firmato col rito scozzese misto “Le droit humain”.
A Napoli intanto, dopo l’abdicazione e la morte di Porciatti, nessuno si era sentito in grado o aveva avuto il coraggio di assumere la successione che non avrebbe potuto essere regolare se non con l’omologazione del Supremo Gran Consiglio Universale. Tanto più che il riconoscimento dato da Allegri, dopo il fatto compiuto di Napoli (e ciò nella speranza di evitare polemiche e scissioni) era stato concesso non come Gran Maestro nazionale, bensì come P:::S:::C:::, grado quinto della gerarchia (presidente nazionale) e non come si sarebbe preteso, di Gran Maestro generale 87. Tuttavia, il fratello Camar, a quanto risulterebbe da due lettere dirette ad Artephius il 14 e il 27 febbraio 1949 da Firenze, con le quali il Superiore Incognito Ambros riprendeva i contatti col Magistero Universale 88, avrebbe preso in pugno la situazione nel Meridione con l’intenzione di riagganciarsi al Nord. Ambros si lamentava della mancata risposta a una sua lettera e citava “la malattia del professor Allegri pregando Artephius di: “esternare al predetto nostro Gran Maestro i più fervidi auguri e voti personali”. Riferendosi, poi, a certe “carte del venerabile Ordine Martinista” scriveva:
“Mi scrive Camar, al quale segnalai che il dottor Alvi di Roma dovrà sistemare le carte del compianto Porciatti, dandomi incarico di trattare con lui avendo io suggerito che quando Porciatti possedeva di carte dell’Ordine Martinista passasse all’archivio originale. In attesa della risposta di Alvi credo, nel caso, non sarebbe male una delega ufficiale a me per il ritiro dei documenti e questo, se Alvi facesse delle difficoltà, e perciò se mi dovessi recare a Roma, sarebbe bene una risposta alla mia del 18 u.s. per gli smarriti fratelli Martinisti di cui scrissi”.
Concludeva la lettera indicata con la seguente postilla: “Auguri sinceri e devoti al nostro Gran Maestro professor Allegri al quale prego porgere anche il mio deferente saluto. Grazie” 89.
Come appare evidente da questi approcci, la morte di Porciatti ed il silenzio da parte di coloro che lo avevano spinto, con un lavorio durato più di sei mesi, a convocare il Convento di Napoli e, poi, con missive e solleciti, per gli altri quattro mesi, a “mostrarsi duro”, a “non retrocedere sulla via intrapresa” aveva aperto la porta ai ripensamenti. Ma la malattia del Sovrano e la prudenza di Artephius lasciarono che le cose rimanessero come avevano voluto coloro che, senza sufficiente esperienza, senza conoscenze martiniste, impelagati nelle beghe massoniche, la situazione avevano creata.
Manca una precisa documentazione in merito ma le voci correnti ed il recupero di alcuni importanti documenti Martinisti, che si sapeva essere nelle mani di Porciatti, dalla biblioteca di Salvatore Farina, ceduta ad altri fratelli dopo la morte di questo luminare dello scozzesismo, fanno pensare che le carte di cui scriveva Ambros siano state affidate allo stesso Farina. Oppure che questi, trovandole fra quelle di Porciatti al momento della sua estromissione dalla direzione della rivista “Atanor”, le abbia ritenute di proprietà della rivista e se le sia tenute, dato anche che non risulterebbe che la richiesta di delega da parte di Ambros abbia avuto l’esito da lui proposto.
Da voci circolanti con insistenza negli ambienti massonici romani, si sarebbe poi verificata una specie di nuova scissione in seno ai gruppi della capitale, parte dei quali sarebbero stati quelli “smarriti” di cui scriveva Ambros, mentre l’altra parte si sarebbe raggruppata intorno allo stesso Farina.
E’ proprio in questo periodo, immediatamente successivo alla morte di Umberto Gorel Porciatti che Gianni Camar fondava a Napoli la rivista “di studi e ricerche spirituali” La Fenice, affidandone la direzione ad Ettore Marino, e alla quale collaborava Carlo Gentile il quale, in un suo articolo su “Martinismo e illuminismo” 90 affermava quanto mai perentoriamente, ma altrettanto impropriamente che: “Il Martinismo è un Ordine illuministico e sta fra la Massoneria e il mondo spirituale occulto; l’origine è naturalmente Rosicruciana”. E avanti di questo passo fino a: “Preceduto nel tempo da Emanuele Swedenborg e da Martines de Pasqually colui che fu chiamato il Filosofo Incognito, Louis-Claude de Saint-Martin, costituì una società di filosofi legati tra loro da vincoli di comunione occulta (la catena magnetica) e votati allo studio e alla pratica della iniziazione, partendo da tutti i campi e accogliendo tutte le voci di speranza, di desiderio, di ricerca, che l’umanità emette da sé nel suo travaglio perenne verso la luce della perfezione compiuta”.
In un altro articolo intitolato “L’Iniziazione Martinista e l’esperienza storica” 91 sempre il Gentile riprendeva l’errore di Porciatti (e di altri) sostenendo che tale iniziazione risponde al tono materno della iniziazione jonica, come se l’iniziazione possa essere jonica, dorica o – giacché ci siamo – anche corinzia!!! 92. deve tuttavia riconoscere che in questo secondo articolo il Gentile dimostrava, pur nella confusione fra elementi e dottrine massoniche, teorie illuministiche pseudo
democratiche e lontani richiami evangelici, di aver individuato il fondo del Martinismo, la cui spiritualità, scriveva, “parte dal fondamentale desiderio della reintegrazione dell’uomo nella sua divina essenza”. In sostanza, mentre se ne davano definizioni precise (ecco un altro esempio: “Il Martinismo appare scuola di elevazione superiore del pensiero”) si equivocava, certo in perfetta buona fede, sui metodi, sulle dottrine e sul tipo di realizzazione. Infatti non è vero che Saint-Martin sostenesse che “Dio, l’Uomo e l’Universo sono forme inscindibili”. Che vuol dire ciò? Saint- Martin, invece, poneva il problema dei rapporti tra l’Uomo, Dio e l’Universo, e ciò è ben diverso e si capisce che cosa vuol dire. Ed allora si può anche capire che l’uomo caduto possa tentare, anzi lo dovrebbe, di risalire al punto dal quale è caduto. Questo è lo scopo del Martinismo, e non altro: la ricerca del SE’, di quella particella nascosta che è la Sophia, la Rosa di Luce, il Pneuma Agion che ogni uomo (maschio o femmina) possiede ma non sa come trovarlo nella sua materia.
Ci siamo intrattenuti su “La Fenice” e su Carlo Gentile forse più di quanto era necessario in appunti come questi, ma noi supponiamo che Carlo Gentile si identifichi col Superiore Incognito Antelius, al quale va il merito, pur con tutte le riserve che un tentativo del genere, mancante di ogni autorizzazione da parte di quella Magna Congregazione sotto i cui auspici 93 il tentativo – almeno sulla carta – sorse, di aver tentato di tener vivo quello “spirito” martinista sorto a Napoli col Convento del dicembre 1947. Si deve infatti ad Antelius, nel 1950, la costituzione di un sedicente Centro Martinista indipendente facente capo alla “Loggia” Intelletto e amore, sotto i cui auspici, poi, nel 1951, si sarebbe costituito a Milano un Gran Consiglio Italico dell’Ordine Martinista con la seguente dichiarazione costitutiva: “Il Gran Consiglio nazionale Italico si propone di ridar vita unitaria all’Illuminismo Iniziatico (Che vuol dire? Nota del compilatore) esistente in forme visibili sulla terra di Roma, e di congiungerlo, nel libero vincolo tradizionale e federativo al movimento Latino e Universale. Il Martinismo è da intendersi Ordine Missionario della Comunità Occulta dei Maestri d’Occidente e Scuole di Filosofia Esoterica. Esso trae, quindi, gli affiliati della Massoneria di ogni rito, e svolge la propria azione accademica, umanitaria e mistica – nel quadro delle supreme finalità della Comunione operativa. Il Primo Grado dell’O?I? pienamente reintegrato nella Gerarchia del Rito e corrispondente alla Camera Filosofica, non può essere conferito a profani, ma solo a quanti lavorino comunque, per la erezione del Tempio” 94.A parte le buone intenzioni sulle quali si può anche avere qualche dubbio, un simile coacervo di roboanti parole in libertà e di iniziali maiuscole non si era mai visto dalla fondazione dell’Ordine ad allora. Si deve poi notizia che, fino all’elezione del Gran Maestro, si istituiva “un quadrato simbolico” di cardinali incogniti (delegati generali del Martinismo per l’Italia) che avrebbe lavorato con la seguente suddivisione di compiti: “relazioni col Martinismo internazionale; relazioni con le fratellanze iniziatiche italiane; organizzazione e amministrazione; centro rituale e del proselitismo illuministico”. Alla seduta, oltre ad Antelius, avevano partecipato il Primate gnostico d’Italia dottor de Conca (Lychnus – guarda un po’ chi si ritrova! Nota del compilatore), il delegato del Centro Illuministico di Lione (??), il Filosofo Incognito della “Montagna” di Roma (forse il Farina?) e altri.
Il successivo 6 novembre del 1951 Antelius indirizzava ai “Figli di Saint-Martin, ai fratelli di ogni ordine e rito, agli operai di ogni terra, Amore nella luce” un riassunto dei lavori della “Camera filosofica” della Loggia Intelletto ed Amore che, a mezzo del suo Filosofo Incognito, aveva avviato “relazioni feconde con lo Spiritualismo esoterico contemporaneo, con “l’Acta gnostica”, con la “Scuola Arcana”, col Centro studi indo-svizzeri (sic: manifestazione visibile dell’opera occulta del ven. Maestro B.D.), con la “Siritualist Church of South Africa”, con il “Concilium Spiritus Mundi”, con la “Comunione spirituale della visione interiore”, con l’”Onde”, con la “Società Teosofica”, con la R.M.L d’Italia risorta all’Oriente di Parigi, con la rivista “de estudios psicologicos Fraternidad”, con la “Fratellanza bianca del Maestro Deinor” e con altri strani e numerosi nonché sconosciuti cenacoli del genere 95.
A Venezia, Artephius e il suo gruppo prendevano nota, fra il divertito e lo sgomento, attendendo che la carnevalata cessasse. Ed infatti cessò, per il decoro dell’Ordine Martinista, protraendosi tuttavia fino al febbraio del 1954 quando, visto che il tentativo del 1951 non aveva dato altro che i frutti dei suoi contatti personali, Antelius, dallo “Zenith della triplice fiamma, il primo giorno della Luna di Shevat del 5714 Anno del Mondo, pari al XVIII° del primo mese del 1954 dell’Era Volgare, apparizione sul piano fisico del Filosofo Sconosciuto (??!!), indirizzava una circolare intestata all’Ordine Martinista, Comunione Italiana, nella quale diceva: “Intelletto e Amore, Loggia madre del Martinismo italiano, ritenuto che il lavoro fin qui condotto in plenitudine rituale e organica, per un settenario solare, abbia raggiunto i punti determinati della sua Guida etc. etc” poneva in libertà i fratelli dell’officina ed i membri affiliati, “restituendoli in piena libertà” causa lo scioglimento della Comunione “alla missione individuale” di operai del Tempio”. (94)
Aveva così fine il tentativo di Antelius di continuare quel “Martinismo” acefalo sorto nel Convento di Napoli e che, forse, avrebbe avuto maggior sviluppo se Umberto Gorel Porciatti non fosse morto prematuramente 96.
A Roma, intanto, il gruppo che aveva fatto capo al Superiore Incognito Porfirio (Sorgi) e al quale era stata rilasciata regolare patente da Allegri 97 continuava saltuariamente i suoi lavori, e alcuni dei suoi componenti prendevano contatti con gruppi Martinisti, o similari, che si stavano faticosamente riorganizzando in Francia, ciò che portò nel 1958 – come vedremo – alla nomina di un Gran Maestro di un Ordine che non era più quello Martinista tradizionale di Saint-Martin, ma si era costituito con statuti e rituali portati dalla Francia 98.
In Italia, per sentito dire, ci sono sette od otto Gran Maestri; in Francia ci sono diversi Ordini (…..) ci siamo chiesti se non era il caso di fare l’Ordine Martinista degli Eletti Cohen nel senso che sono i Cohen che guidano i Martinisti al che si è influito sul Gran Consiglio cambiando la denominazione dell’Ordine da Ordine Martinista o degli Eletti Cohen in Ordine Martinista e degli Eletti Coen, e ci siamo dichiarati Cohen. Quindi, praticamente, abbiamo costituito un Ordine a sé che si è attaccato agli Eletti Cohen e cioè a Robert Ambelain (cfr: Registrazione magnetica delle dichiarazioni di Hermete S?I?I? al sedicente Convento Martinista di Perugia del dicembre 1958).
Sempre a questo proposito va rilevato anche che il Convento sedicente Martinista non aveva alcuna facoltà di decisione per quanto riguardava l’Ordine Martinista Italiano regolare (filiazione Sacchi-Allegri-Artephius) in quanto le due persone che dichiaravano di rappresentarlo non avevano alcuna veste per farlo, non solo, ma effettuarono false e diffamatorie affermazioni convalidandolo con un documento di un sedicente Gran Consiglio dell’Ordine Martinista sedente a Venezia e composto di sette persone nessuna delle quali colà risiedeva, e che si era autoproclamato a Udine il 29 novembre 1958 (Cfr:Relazione dell’Ordine Martinista degli Eletti Cohen sul fratello Philalettes (Vitali) in Archivio O.M. Fondo Magistero Artephius – Vitali 1955-61, Gruppo C).
A Venezia il Gran Magistero taceva. Artephius, nonostante i pareri di una parte di coloro che gli erano vicini e le lettere che gli giungevano, spingendolo ad intervenire 99 non intendeva esporsi, né esporre l’autentico Gran Magistero dell’Ordine ad essere contestato da gruppuscoli acefali generando polemiche che nulla di nuovo avrebbero provocato. Il suo pensiero era che chi aveva veramente intenzione di agganciarsi a Venezia sapeva dove rivolgersi: De Conca(Lychnus), Camar, Sorgi, Giuliani, lo stesso Gentile sapevano ch’egli esisteva, che era stato sempre il sostituto di Allegri, che Porciatti era stato riconosciuto Gran Maestro nazionale da una lettera firmata da lui per ordine di Allegri e sapevano quindi dove trovarlo; nella peggiore delle ipotesi, qualora avessero perduto il suo indirizzo profano (che era ancora quello dei tempi clandestini) potevano ritrovarlo consultando l’elenco telefonico delle Tre Venezie, o chiedendolo a fratelli di altri ordini iniziatici. Ambros lo aveva pur fatto durante la ricaduta di Allegri nel 1949 dopo la morte di Porciatti, e lo trovò pure un altro, come diremo poi.
“Lasciamo che tutti questi gran babuassi si friggano nel loro grasso. Il tempo è galantuomo e chi non ha l’investitura regolare finisce sempre per essere assorbito da altri o per bruciarsi da solo” diceva. “In quanto a me – aggiungeva – è mio compito attendere che le acque si schiariscano e che i tempi maturino. Mi considero una specie di depositario, di notaio “della corona” e aspetto che si presenti colui che meriterà ch’io gli consegni quanto mi è stato trasmesso” 100.
Poi, nel 1955 apparve il Vitali, del quale è opportuno segnalare il tentativo di agganciarsi al gruppo di Antelius, almeno secondo quanto ne riferì Ambros in una sua lettera del 2 luglio 1968 all’attuale Gran Maestro: “Nello spulciare vecchi pacchi, ho rintracciato una lettera a me del 4 dicembre 1952 del detto Philalettes nella quale – dopo una sua frettolosa visita qui – mi confermava che dalla Camera di direzione della Rosa Croce cabalistica di Lione aveva a suo tempo avuto anche una nomina “ad nutum” come Superiore Incognito dell’Ordine Martinista, per cui mi pregava di far presente al prof. Carlo Gentile, che egli, VTLI (pur avendo avuto un incarico per l’Italia) preferiva (troppe essendo le ambizioni, le divisioni etc.) collegarsi col detto Gentile (membro come il VTLI della Società Teosofica italiana). Naturalmente poi non se ne fece nulla sia da parte mia che di Gentile che, forse, sarà stato informato da Lychnus sul VTL” 101
Fallito, almeno secondo quanto risulterebbe dalla lettera succitata, il tentato aggancio ad Antelius (forse le carte del VTL non erano valide o erano state rilasciate da qualche gruppo spurio come, ad esempio, quello del sedicente principe Lind), il VTL, quotizzante del Rito massonico Misto “Le droit humain”, forse giunto a conoscenza del trattato a suo tempo stipulato fra Artephius ed il prof. Di Fabio nel 1945, piombò a Venezia dove riuscì a persuadere Zasio a confermarlo Superiore Incognito ed a riagganciare i vecchi martinisti.
Tenteremo di essere il più possibile sintetici su questo nuovo tentativo di prevaricazione (pare che nessun Maestro martinista, in Italia almeno, abbia potuto sottrarsi a tali azioni poco iniziatiche) ma è necessario soffermarvisi dato che il VTL sta ancor oggi riempiendo delle sue invenzioni la cronaca delle associazioni iniziatiche alle quali, dall’una all’altra, si è successivamente spostato.
Nel Fondo “Magistero Artephius, Philalettes 1955-61 e strascichi” al quale ci richiameremo spesso, esistono 45 lettere originali, manoscritte o dattilografate, del VTL, da lui firmate come tale o col nome di Philalettes, che danno un’idea esatta di quest’uomo, normalissimo nella vita profana ma indubbiamente vittima di una esaltazione megalomane ed egocentrica nella sua vita pseudoiniziatica. E diciamo pseudo perché un iniziato non può comportarsi in quel modo. Avuta da Artephius – ch’egli seppe circuire con abile mimetismo, cauta adulazione e finta sottomissione – una delega, prima per il Martinismo e poi per il Misraïm e Memphis, riempì il mondo cosiddetto occultistico italiano e anche francese delle sue gesta provocando beghe, polemiche e scissioni dovunque riuscì ad intrufolarsi. Ancor oggi – come abbiamo detto – queste sue gesta non sono finite, o lo sono appena: l’ultima è quella rappresentata da una denuncia da lui fatta presentare da un suo seguace (che probabilmente gli crede) al Grande Oriente d’Italia e riferentesi al Rito Filosofico Italiano di cui afferma avere il deposito attraverso il Misraïm e Memphis, successione (inventata) Yarker, Frosini, Allegri. Ora, il Frosini non ebbe alcuna successione dallo Yarker ma fondò il Rito Filosofico Italiano su una patente della “Sovrana Gran Loggia simbolica di Rito Antico e Primitivo di Memphis e Misraïm” dipendente dal Sovrano Gran Consiglio generale iberico sedente in Madrid 102, ed Allegri non ebbe alcuna successione dal Frosini, bensì patente dal Mc. Bean per il Memphis e dal Borselli per il Misraïm 103 e, di conseguenza, il Misraïm e Memphis dell’Allegri non aveva e non ha alcun diritto sul Rito Filosofico Italiano in 7 gradi scozzesi, invenzione del Frosini. Ma, il più grave è che il VTL non ha mai avuto la successione Allegri ma si è autonominato preparandosi carte e documenti. Ma questa è un’altra faccenda che non riguarda il Martinismo anche se rientra nella prevaricazione accennata.
Per quasi tre anni, dal 1955 al 1958 il VTL, che indicheremo d’ora in avanti come Philalettes, tentò, in tutti i modi, di strappare ad Artephius qualcosa di più della qualifica di suo delegato: voleva il Gran Magistero nazionale e non potendolo avere per regolare via iniziatica e tradizionale, lo ebbe lungo una serie di azioni che non oggettiviamo per prudenza dato che non vogliamo compromettere altre persone non sappiamo se in buona o cattiva fede. Dopo esser stato redarguito con minacce di ritiro della delega e poi perdonato già nel novembre 1956 104, nel gennaio del 1958 tentò di porre il suo Maestro di fronte al fatto compiuto prospettandogli la cosa sotto un punto di vista che riteneva – secondo la sua mentalità – potesse essere gradito ad Artephius, inviandogli la seguente lettera arbitrariamente intestata al Governo dell’Ordine         Martinista, datata da Udine, Epifania 1958:
Al Pot.mo e Ill.mo Artephius S.I.L.I. (IV)
Presidente del Gr. Cons. dei SS.II. dell’Ordine
Martinista per l’Italia

Ti mando il quaderno di Sup. Inc. ed il testo precedente nonché i rituali d’iniziazione riservati al solo Iniziatore libero. Io adopero questi. Se tu lo riterrai ti troverai ad avere dei rituali pronti, in quanto sarebbe bene averne di specialissimi per noi. Comunque usatili, questi hanno veramente dato un’impronta di carattere iniziatico fortissima al fratello che li ha sentiti sulla sua anima. Inoltre allo scopo di dire e fare qualcosa per le Colline in formazione (una qui a Trieste) per poter lavorare ho fatto un verbale (ipotetico, si sa!) di decisioni del Gran Consiglio nazionale che mando alla tua approvazione, con i quali (sic!) viene dato un regolamento e una divisione di responsabilità in seno all’Ordine. Dividendo la potestà d’Ordine da quella di giurisdizione e mettendo questa in sottordine alla prima in modo perfettamente iniziatico. Viene costituito un Consiglio segreto riservato ai soli S.I.L.I. (non meno di 3 e non più di 5) che ha ampi poteri, e che cumula in sé la potestà d’Ordine e di giurisdizione. Per poter lavorare più speditamente ti prego di approvare la mia posizione di Gran Maestro nazionale con a capo il governo e l’Esecutivo dell’Ordine, mentre tu tieni la carica di Presidente dell’Ordine Martinista e di Capo del Consiglio segreto. In questo modo, tu da dietro l’ombra, dirigi il governo, gli lasci quell’autonomia e speditezza di lavoro che attualmente, cumulando tu le due funzioni è impossibile; ti riservi per statuto, il veto su tutte le sue decisioni, dai l’autorizzazione alle iniziazioni superiori, incameri per la potestà d’Ordine la metà delle tasse, mentre l’altra metà va per le spese amministrative (quante!) della potestà di giurisdizione. Il Consiglio segreto porta per sigillo il timbro della R+C latina. Ti manderò a Venezia il timbro grande, di fronte al quale l’Ordine, per statuto deve porsi in silenzio e all’ordine, i timbri di Presidente, i timbri per il Segretario del Gran Consiglio chiamato Frater Cancillarius. Più, ti faccio fare un sigillo personale quale Presidente dell’Ordine Martinista con l’esagramma in centro. Mi riservo di tenere il timbro che vedi in calce quale Gran Maestro nazionale, che vale quello di Gran Maestro delle logge azzurre della Libera Muratoria. Insieme, poi, in Camera di Consiglio segreto, ti prego di voler nominare i Gran Maestri regionali o Delegati regionali. Delle due copie delle decisioni da te firmate ti prego di trattenerne una e una mandarne a me, per farne copia e mandarla alle logge.
Il Gran Consiglio nazionale usa il colore verde (già caro ad Allegri) e ti manderò il cuscinetto verde. La Gran Loggia Amministrativa e il Governo l’usano nero. I membri del Consiglio segreto nei loro carteggi ad alto livello e le stesse decisioni e decreti del C. segreto vanno in rosso. Ti prego di non far arenare l’Ordine ora che sta salendo in alto rinunciando al lavoro per la Mista perché se non è giusto che tu solo sgobbi è giusto che ti si dia una mano nel modo più proficuo. A fine mese ti manderò un acconto delle somme introitate, già spese, ma che, per statuto devo inviarti. Col tr. Fr. Ampl. Con Amore e silenzio. In attesa di leggerti abbiti i segni della mia affezione. Philalettes”
Nel retro, a mano: “Ti allego 3 brevetti per PSR, DMR, PLTT, i primi due (esentati da tasse sono della Mista, l’altro è giustinianeo e paga. Ti prego di ritornarmeli firmati con cortese sollecitudine. Non so quando verrò a Venezia, vecchio mio, ma se verrò sarà per portarti del grano e i timbri. Un abbraccio dal tuo Alfredo. N.B: Ti allego una mia poesia su Rock and Roll”.
Alla lettera 105 erano allegati: una copia delle decisioni inventate dell’inesistente Supremo Consiglio, con l’assegnazione delle cariche così come segue:
“Elezioni e cariche per l’anno iniziatico 1958:
Il Gr. Consiglio naz. dei SS.II. ha deciso quanto segue:

    Presidente del Gr. Cons. naz. dei SS.II.        Artephius SILI IV
    Gr. Maestro naz. e del gen.        Philalettes SILI IV
    Delegato Alta Italia        Orthrus S I III
    id Italia Centrale        U/V S I III
    id Italia Meridionale        Antelius S I III
    id Italia Insulare        Orpheus S I III”,

un rituale per il ricevimento dell’Iniziato; uno per l’Iniziato Superiore e uno per l’iniziazione a Superiore Incognito, un quaderno iniziatico di III grado e quattro brevetti di nuovo tipo, il tutto di invenzione del Philalettes 106.

Parlar di danaro a un gentiluomo, tentando di “prenderlo” dal lato interesse materiale è come lanciargli un sanguinoso insulto. Parlar di modifiche di statuti e di rituali (decisi arbitrariamente senza consultar nessuno, senza riunioni di chi può decidere, e farli passare per reali ed approvati) a un iniziato è come proporgli di passare alla controiniziazione. Dopo tre anni di visite, colloqui, discussioni e corrispondenza con Artephius, Philalettes non aveva capito questo. E la replica di Artephius alle invenzioni, alle nomine e autonomie, ai sistemi del Philalettes non si fece attendere. Nello stesso fascio di documenti dell’Archivio dell’Ordine sono conservate due copie (a carta carbone) della seguente lettera inviatagli da Artephius il 9 gennaio 1958:
“Governo dell’Ordine       Dalla Grande Montagna
il 9 gennaio 1958 e v
Al S.I. Philalettes Zenith di Udine
Fratello carissimo,
non so con quale autorità tu ti sia autonominato Gran Maestro nazionale del N.V.O., e ti sia permesso persino far dei sigilli che ti affermano tale. E infine ancor meno capisco come tu abbia osato apporre tali sigilli sul quaderno iniziatico mio personale, quasi a segno di tua approvazione. Indelicatezza enorme anche nei nostri diretti rapporti iniziatici personali. Inoltre tu da tempo stai mettendo in atto le tue personali iniziative facendo, rifacendo, modificando, ordinando circa statuti, regolamenti etc., senza tener lealmente conto che se una delega ti è stata affidata, questo è stato nei limiti ragionevoli della tua onestà, del tuo rispetto alla gerarchia tradizionale. Quanto hai fatto purtroppo ingenera molta perplessità. Non che il tuo entusiasmo non sia sufficientemente apprezzato e ben voluto. La tua preparazione in un certo senso è pregevole, ma assai lontana dai gradi dell’esperienza che si acquista con inenarrabili sacrifici, nella ricerca di un nesso tra l’atto e l’azione. Di un ponte attraverso il quale la parola e l’atto vibrano della stessa universale armonia e da questa ricevono forza e possanza. Questo ho appreso dai miei Maestri e questo Principio iniziatico sono decisissimo a mantenere e far rispettare. Le deleghe affidate alla tua lealtà e al tuo buon volere, furono date con pieno convincimento del tuo rispetto alla gerarchia e alla tradizione. Tu, e nonostante il mio continuo avvertirti, ti sei lasciato andare ignorando quasi volutamente che tu non puoi autonominarti il Presidente exempli-gratia di un Consiglio di SS.II. né il Caio di codesti Philosofi Incogniti delle officine tuttora operanti e delle quali tu non hai avuto modo di conoscere l’esistenza. Non bastano, carissimo, i sigilli che si possono fare ovunque, né basta la carta intestata; né ancor meno, il deprecabile proposito di partire dando ad intendere che si sono tenuti Consigli e Conventi. Ed è inoltre deprecabilissimo metter le mani, come tu hai fatto, sia pure nelle intenzioni, sull’essenza degli stessi rituali. Di quelle consuetudini che hanno fatto vivere e sopravvivere l’Ordine, in tempi in cui tu eri ancora un bambino. Sono quindi addivenuto, confortato anche dall’autorità di altri insigni fratelli, molto più anziani di te, alla dolorosa necessità di richiamare la tua attenzione. E di decidere che, essendo tu troppo incline ad interpretare in modo diverso da quanto fu a suo tempo stabilito, le varie deleghe affidate alla tua onestà e spirito gerarchico, l’unica che resta da farsi, a meno che tu non rientri in un più ragionevole modo di vedere, di pensare, di agire secondo la tradizione, l’unica cosa da farsi è il revocare ogni delega conferitati e invitarti a dar conto del tuo operato.
Il decreto di revoca dei tuoi poteri sarebbe assai ben motivato e, anzi, lo è. E, dovesse venir applicato fino in fondo, ti garantisco che, pure a malincuore, sarà fino in fondo applicato secondo la nostra consuetudine templare, memphitica, martinista.
Il decreto ti è stato comunicato. Per l’affetto e la stima che ti porto, e impegnandomi personalmente presso le Potenze superiori, ho implorato una sospensiva circa la sua esecutività. E ho ancora, in nome del nostro affetto ed amicizia, ottenuto che il decreto non venga pubblicato, prima di aver sentito e accolto le tue verbali spiegazioni. Di più non posso fare. Ora interroga l’anima tua e regolati come meglio credi. Hai avuto ogni e possibile prova di fraterno amore e di fraterna comprensione”.
Ma il Philalettes anziché recedere dalle sue assurde pretese e dalle sue invenzioni, forte dei precedenti perdoni, accusò il suo Maestro di vedere usurpazioni dappertutto, di non saper leggere, di non capire; poi preoccupandosi della minaccia del ritiro delle deleghe scriveva: “Non capisco una cosa. Se il sottoscritto è colpevole nel Martinismo, che centra l’Ordine di Memphis etc., quello Templare e affini?”. Si lasciava poi andare a dichiarazioni d’affetto, d’amore e di devozione, rimettendosi alle decisioni di Artephius.
Sennonché, ormai sicuro del perdono, Philalettes continuò a brigare e ciò provocò la pubblicazione del decreto di revoca delle deleghe, con la data dell’otto febbraio di quell’anno. Ci fu ancora un tentativo: Philalettes raggiunse Venezia ed ebbe un colloquio con Artephius ma si trovò di fronte a una irrevocabile decisione. Di qui la sua lettera del 24 Pesci 1958 con la quale consegnava la delega 107, lettera che in parte si riproduce:
“Riconsegno nelle tue mani, come formalmente con queste righe faccio, la delega generale, affinché tu sia libero di ogni e qualsiasi iniziativa nel darla o meno ad altri fratelli (…). Curerò come dovere residuo il gruppo di Perugia e iniziatili di persona li consegnerò direttamente a te 108. Ti abbraccio fraternamente, anche se sabato non lo abbiamo fatto”.
Ma si trattava soltanto di un ritiro formale in quanto Philalettes continuò ad intessere intrighi particolarmente avvalendosi di coloro che egli stesso aveva iniziato con i suoi rituali inventati. Artephius ne fu avvertito dal seguente foglio di carta ricevuto per posta da un paese della provincia di Padova:

“ O in )-( 21° giorno

Al fratello Artephius Pace profonda e serenità.
Forze oscure tendono a carpirti la Montagna! Non permetterlo!! Per aiutarti in questo, con altri ti sono vicino

Caph Beth Schin Sup. Inc.”

Note
83 - Ordine Martinista.
84 - Rito di Misraïm e Memphis.
85 - Archivio dell’Ordine, Fondo Tesoro dell’Ordine, successione originale autografa di Allegri a Ottavio Ulderico Zasio qualificato Gran Gerofante Aggiunto e Gran Maestro aggiunto. Cfr. anche: G. Ventura: I riti di Misraïm e Memphis, Atanor Roma 1975 pag. 143.
86 - Archivio dell’Ordine, Fondo ripresa e Magistero Allegri, cartella 2^ gruppo C, Corrispondenza Di Fabio. Ma non si trattava di questi soli due casi. Martinisti che appartenevano all’una o all’altra obbedienza massonica venivano a trovarsi in difficoltà perché si rinfacciava loro di frequentare ambienti dove si faceva comunella con massoni rivali. Negli incontri i Martinisti, dimenticandosi di essere tali, ed anteponendo il loro “spirito massonico” (per usare un eufemismo) facevano propaganda per la loro obbedienza. In tal modo si veniva a turbare la serenità di spirito e la fraternità che doveva regnare fra Martinisti, e giustamente coloro che volevano mantenersi estranei a tali antipatiche e poco iniziatiche questioni, preferivano isolarsi. Soltanto i “vecchi” (e non tutti) che nel periodo clandestino avevano avuto modo di comprendere che cosa era veramente lo spirito iniziatico e che, nell’autentica fraternità dei momenti difficili, avevano superato la mentalità profana – quando cioè non c’erano “Obbedienze”, gradi, orpelli ma soltanto la gioia di ritrovarsi – erano gli autentici martinisti che avevano raggiunto il mantello dopo essersi posta la maschera, e solo su quelli, Artephius sapeva di poter contare e decise di appoggiarsi ad essi in attesa che la situazione si chiarificasse.
87 - Decreto del Supremo Consiglio del 16 gennaio in Registro dei verbali, Fondo Tesoro dell’Ordine, pagina 18. Per la nomenclatura dei gradi amministrativi vedi anche: M.E. Allegri, Introduzione al segreto massonico, nota a pag. 80.
88 - Archivio dell’Ordine – Fondo Ripresa e Magistero Allegri, Cartella 3, Gruppo A.
89 - Purtroppo la lettera del 18 febbraio non esiste nell’Archivio. Sapendo con quanta cura Artephius conservasse anche i foglietti di appunti resta una sola ipotesi e cioè ch’Egli l’abbia portata al Gran Maestro e che questi se la sia tenuta. È noto che dell’Archivio personale di Allegri non molto si è potuto recuperare, e parte di ciò ch’Egli consegnò prima di morire è andato disperso come sarà illustrato più avanti.
90 - Rivista “La Fenice”, numeri 1-2, volume 1°, febbraio-aprile 1949 pagina 6 e seguenti.
91 - Idem, numero 3 del giugno stesso anno alle pagine 66 e seguenti.
92 - Vedi pag. seguente – È evidente l’influenza del Porciatti e del suo “Martinismo e la sua essenza” dove si sostiene, nel tentativo di giustificare una inesistente complementarietà fra il Martinismo e il Rito Scozzese, che la colonna B (o dorica, maschia, osidirica) è assegnata alla Massoneria mentre al Martinismo toccherebbe la colonna J (o ionica, femminile o iliaca). In proposito ci si richiama a quanto ha brillantemente affermato il Sup. Inc. Vergilius nel suo intervento su “Il Martinismo e la sua essenza” al Convento nazionale di Venezia del 1975, e cioè che l’iniziazione è contemporaneamente dorica e jonica (se proprio si vogliono affibbiare questi aggettivi architettonici all’iniziazione) perché il Tempio ha bisogno di ambedue le colonne per reggere l’architrave (o per sostenere l’Arco Reale).
93 - Relazione del 19 luglio 1950 della R?L? Intelletto e Amore (la carta intestata era quella dell’Ordine Martinista o degli Eletti Cohen sotto gli auspici del Supremo Consiglio della Vera e Aurea R+C). Si continuava, poi, ad usare il calendario scozzese. Va detto che nel secondo foglio, sotto il titolo Celebrazioni rituali era annotata: Commemorazione di M.E. Allegri, ciò che dimostrerebbe che Antelius, a quella data, si riteneva ancora collegato all’Ordine regolare.
94 - Cfr.: “Initium” Ann 1° nr. 1 (Bollettino della Comunione Italiana del Ven. O.M.) del 21-V-1951.
95 - Circolare della R.L. Intelletto e Amore A.V. Circ. II Luna di Heshvan 5711 A.M. (Archivio dell’Ordine, Fondo citato, Cartella 3, Gruppo B).
96 - Con la circolare sulla fondazione a Milano del sedicente Gran Consiglio Italico e le norme promulgate (le stesse che avevano provocato nel 1923 la proclamazione dell’indipendenza italiana dal Magistero Bricaud) i partecipanti alla riunione di Milano e i loro aderenti, si erano definitivamente posti fuori della catena martinista ed avevano posto in essere un tradimento verso Colui del quale, alla Gloria di Jod Hé Schin Vau Hé, invocavano gli auspici ad ogni apertura dei lavori e sulla carta e documenti da essi usati. E ciò forse senza volerlo e senza saperlo proprio a causa della loro scarsa conoscenza delle dottrine e della tradizione martinista, dimenticandosi – o non avendolo mai saputo – che Louis-Claude de Saint-Martin, unanimemente conosciuto come il capostipite del Martinismo al quale aveva dato il suo nome, e fin dal 1790, aveva presentato domanda di esser cancellato da tutti i registri e libri massonici nei quali figurava iscritto. Praticamente essi avevano formato una specie di Rito massonico che di martinista aveva soltanto il nome usurpato.
97 -Si tratta del gruppo “Silentium” ricostituito con bolla nr. 17 a Roma e poi uscito dalla catena dell’Ordine. La prima Bolla, miniata a mano dal fratello Manas è in possesso del Sup. Inc. Hermete; la seconda (di ricostituzione) non è stata restituita e, con la morte del suo destinatario, Aloysius, poco dopo la sua uscita dalla catena, non si sa dove sia finita. Comunque essa è stata sbarrata.
98 - Il fratello Sorgi ebbe praticamente da Porciatti la successione, che è quella della Reggenza. Persi i contatti con Venezia ed atteso tre anni che qualcuno si facesse vivo, a un certo momento i fratelli romani si costituirono in Gran Consiglio. Però, e questo è importante, inviarono fratelli all’estero per prendere contatti con le autorità martiniste. Cosa questa che, dal 1951 ho fatto io e il fratello SC…. che ora è a Londra, e i contatti furono fruttuosi. Abbiamo così ottenuto la rappresentanza dell’Ordine Martinista Rettificato e successivamente dell’Ordine Martinista di Papus e abbiamo nominato un Gran Maestro nella persona di Manfredo de Franchis riconosciuto dai rettificati, dal martinismo di Papus e da quello tradizionale. Però, anche in Francia esistevano diversi gruppi e fu un lavoro improbo e molto faticoso anche quello di porsi in contatto con Venezia e con le voci dell’esistenza di altri Gran Maestri. Poi, nel luglio di quest’anno c’è stata una determinazione del nostro Gran Consiglio:
99 -Archivio O.M. Fondo Ripresa e Magistero Allegri 1945-54, cartella 3, gruppo B.
100 - Ibidem – Fondo Convento di Ancona, Fascio III, mazzo B, lettera segreta di Aldebaran a Mercurius (Racc. R/R) del 10/5/1961: “Artephius pensò che, data la situazione, l’invadenza dei partiti, le continue evasioni e il sempre minor interesse per l’illuminismo dimostrato in quel periodo dagli stessi fratelli, succubi di ambizioni profane, fosse saggio dare tempo al tempo (…) seguiva la strada che Allegri gli aveva indicato, non ho alcun dubbio in proposito (…) in quel tempo ebbe anche un grave incidente d’auto che per poco non gli costò la vita (…). Fu allora che mi accorsi che cominciava a preoccuparsi per l’avvenire. Nel 1955, a Parigi, su suo incarico la sorella Myriam, in via privata ebbe approcci con il figlio di Papus che le disse testualmente di non aver “mai sentito parlare di Martinismo italiano” (…). Ogni qualvolta toccavo con lui l’argomento della successione diceva: “Sono una specie di Notaio della corona; sto cercando”. Poi apparve all’improvviso il VTL (Philalettes).
101 - Ibidem – Fondo Magistero Artephius, Vitali 1955-61, Gruppo A, lettera di Ambros ad Aldebaran del 2 luglio 1968.
102 - Cfr. E. Frosini: Massoneria italiana e tradizione iniziatica, Traidelli, Pescara, 1911, pag. 180.
103 - G. Ventura: I Riti massonici di Misraïm e Memphis, Atanor, Roma 1975, pag. 50 e pagg. 110-111.
104 - Archivio e Fondo citato, Gruppo A 1955-57.
105 - Ibidem.
106 - Fondo citato – Rituali e brevetti non furono né firmati né restituiti ma rimasero in Archivio quale prova dell’Onestübr> di chi li aveva inventati.
107 - Cfr. G. Ventura: I riti massonici etc, citato, dove il documento è riprodotto a pagina 149 con l’indicazione della fonte.
108 - Philalettes aveva già in atto il tentativo di agganciarsi ai francesi facendosi passare per il successore di Allegri attraverso Orthnus, servendosi anche dell’appoggio dei perugini.

mercoledì 22 maggio 2013

MENTALITÀ TRADIZIONALE E TRADIZIONE ERMETICA - Aldebaran

Diceva quel grande Maestro che fu Arturo Reghini: “Chi pretende una conoscenza iniziatica adattata ai suoi gusti, alle sue credenze, agli umori suoi; od è in buona fede ed è un illuso, od è in mala fede. Comunque non è, né può essere un iniziato.
La perentorietà – e veridicità – di quest’affermazione deriva dal fatto che, come dice Geber nella sua “Summa”, “lo spirito è pieno di fantasia, e passa facilmente da un’opinione ad un’altra affatto contraria; ovvero perché non sa precisamente che cosa vuole né a che deve determinarsi”.
Queste incertezze e queste “fantasie” derivano in gran parte dalle fantasiose e spesso false dottrine di cui abbiamo innumerevoli esempi nella letteratura cosiddetta esoterica, metafisica, misterica; dottrine che, a dir il vero, d’esoterico o metafisico hanno gli argomenti, ma che tradizionalmente sono mere invenzioni o, nella migliore delle qualifiche, errate interpretazioni o soggettivi sviluppi di teorie di cui non si è compreso l’autentico significato.
In proposito è opportuno sottolineare un altro punto fondamentale. Mi avvalgo delle parole di Agrippa, prendendole da uno dei suoi testi ermetici: “La chiave non si trasmette con gli scritti ma “sed spiritui per spiritus infunditur” ossia “s’infonde nello spirito per mezzo dello spirito”.
Va anche detto che in materia d’iniziazioni si tratta di piccoli e grandi misteri: ora, si vorrebbe, da parte di molti che dissertano la materia, che i piccoli misteri rappresentino – come afferma, non si può sapere se per ignoranza o in mala fede, anche il Ragon, noto come l’autore “sacro” della Massoneria – un’iniziazione che trarrebbe l’uomo dallo stato di barbarie per incivilirlo, e porterebbe l’uomo civilizzato a perfezionarsi. Ciò – secondo questi tali – sarebbe praticato e ottenuto dalla massoneria. I grandi misteri, poi, intesi come “arte sacerdotale degli antichi egizi” si realizzerebbero attraverso le iniziazioni superiori di carattere ermetico praticate in massoneria in una serie di alti gradi”. Sicché, secondo queste “bocche della verità”, in massoneria si realizzerebbe tutto e un vero massone sarebbe oltre che un Uomo primordiale, anche l’Uomo universale.
Non è il caso di controbattere simili affermazioni: la degenerescenza della massoneria (che pur conserva ancora i poteri di trasmissione) sta a dimostrare come queste affermazioni, e altre d consimili o peggiori, derivino proprio e soltanto dall’incapacità di sentire, capire e interpretare in senso tradizionale. In tempi come i nostri in cui, coerentemente, si chiamano tradizionali usi, costumi e argomenti della generazione precedente, non si può pretendere che uomini adusi ad una cultura asservita a mode, interessi commerciali e industriali, questioni politiche e pretese sociali, possano distinguere fra tradizione reale e quello che usualmente si indica con tale parola.
La nostra educazione umanistica, poi, tendente a considerare tuttociò che il classicismo ci ha conservato come un coacervo di miti e leggende da interpretarsi in senso “naturistico” e, quindi, umano, ha creato in noi un substrato di nozioni dal quale difficilmente possiamo separarci. Siamo quindi portati a considerare la tradizione classica (che è già una tradizione alterata) nel suo significato letterale, tanto più alterato dalle imperfette traduzioni, dalle interpretazioni soggettive, quando non da quelle determinate da interessi cosiddetti filosofici o religiosi, o d’altro genere. Abbiamo, in altre parole, perduto il senso del simbolo che ha rappresentato nell’antichità l’unico mezzo di trasmissione dei fatti salienti di una civiltà, e che racchiude in sé significati metafisici che riescono sempre più difficili da penetrare alla mentalità moderna, condizionata dalle scoperte scientifiche, dai bisogni voluttuari della civiltà dei consumi, dalla propaganda politica, dalle mille e mille suggestive ma bugiarde teorie che riducono l’esoterismo (come lo si intende oggi) a scuola occultistica di carattere ciarlatanesco, così come ha ridotto la kabbalah all’interpretazione dei sogni in funzione del gioco del lotto.
Come si può pretendere di assurgere ad iniziati quando non si sa ancora distinguere se la scienza ermetica ha per suo scopo la reintegrazione dell’uomo in senso trascendente o se, invece, mira a una sua affermazione fisica, e quindi in senso discendente, attraverso la distillazione dell’elisir di lunga vita nella sua qualità di “magico liquore”?
Come si può affermare di “sapere” se non si riesce a separare il denso dal sottile, le visioni materiali e cioè quelle del visibile da quelle dell’invisibile; se non si comprende ciò che vuol dire stato di veglia e stato di sonno, e si adattano questi termini ai bisogni materiali del riposo e dell’azione?
Come si può continuare a credere di percorrere una delle due vie della realizzazione se si ritiene la via umida come una via mistica, e quella secca come una via luciferina, magica o teurgia, giungendo persino a considerare la prima come magia bianca e la seconda come magia nera? Oppure distinguendo, con argomentazioni moderne, che la via teurgia non è magica e che quella detta magica satanica? Senza accorgersi che non esiste una magia bianca come non esiste una magia nera se non nelle due accezioni di iniziazione e contro-iniziazione, ossia il moto verso l’alto e il moto verso il basso partendo dallo stato in cui ci si ritrova? Muovendosi, cioè, nella prima verso operazioni che portano a spiritualizzare e a reintegrare, e, nella seconda, a sempre più immergersi nello stato plumbeo, oscuro, nero, senza più speranza di risalire.
E si crede che la preghiera e lo scongiuro siano i mezzi per avanzare sulla via mentre si tratta soltanto di metodi indiretti per sollecitare la coscienza chiusa ad aprirsi: cioè, la prima è soltanto un atto mentale inteso, quando il momento può esser giusto, a dirigere, e il secondo un altro atto teso a superare gli ostacoli creati in noi da millenni di paura, di superstizioni, di “oscurità” e di tabù.
Si potrebbe continuare a lungo ad enumerare gli errori nei quali si incorre – quando non si è in mala fede – per l’abitudine o la smania di ricorrere ad interpretazioni moderne e anti-tradizionali, religiose, scientifiche, umanistiche o “culturali” confondendo irrimediabilmente gli elementi che le compongono, creando così un polpettone che può esser tutto quello che si vuole fuorché qualcosa di tradizionale e, tanto meno, di esoterico tradizionale.
Tutto questo discorso porta ad una sola e unica conclusione: per ragionare tradizionalmente, per capire cos’è tradizionale e cosa non lo è, per essere in grado di distinguere il vero dal falso in senso esoterico, per entrare giustamente nel significato dei simboli, è necessario farsi una mentalità tradizionale. Senza di essa non è possibile intraprendere la via iniziatica né, tanto meno, pretendere di voler insegnare altrui. Naturalmente, quando si parla di via iniziatica s’intende qualche cosa di superiore e non certo una trasmissione, Si deve ciò sottolineare perché oggi si crede, con la degenerescenza democratica ed egualitaria, che basti una cerimonia con tante parole, qualche lume, un paio di fumigazioni e un certo senso di mistero per diventare iniziati. E poi – siccome l’iniziazione si fa generalmente per gradi – si ritiene che con una nuova cerimonia, passando da un grado ad un altro superiore (per via di votazioni, di raccomandazioni, di denaro o altro) si acquisti maggior sapere e anche la capacità di insegnare agli altri.
A coloro i quali credono che questa sia l’iniziazione, ritengo opportuno dire, con le parole che ho usato in altra occasione, che l’acquisizione di un grado di iniziazione non può essere concessa da nessuno, ma si conquista da se stessi: consegue a ciò che i gradi concessi da chi s’illude o pretende di aver il potere di farlo, non rappresentano in nessun modo l’acquisizione di una maggior conoscenza in campo iniziatico o tradizionale e, quel che più conta, di avvicinamento alla realizzazione, ma sono – nella migliore delle ipotesi – soltanto un incarico, quando non sono un’espressione di ottusa condiscendenza e di sciocca vanità da parte di chi il grado concede. E chi il grado riceve e non capisce una cosa tanto semplice o è in mala fede come chi il grado gli ha conferito o è uno sciocco patentato, ammesso che di questa patente abbia bisogno.
Come farsi dunque, una mentalità tradizionale? Che sia possibile è certo; che sia difficile lo è altrettanto. Ma chi ne ha la volontà, la forza e le capacità può provarcisi e, anche se non riuscirà completamente, avrà fatto un’esperienza eccezionale, ed avrà capito cosa voglia dire iniziazione pur non essendo ancora un iniziato.
La prima risposta, naturale e spontanea è: STUDIARE.
Ma tale risposta, ovvia e immediata per ogni uomo del nostro tempo, non è che una soluzione del tutto insufficiente, e, per di più, pericolosa, perché può portare, con estrema facilità, alla contro-iniziazione.
È facile spiegarlo: l’enorme quantità di materiale di cui oggi si dispone, frutto il più delle volte del pensiero moderno applicato all’esoterismo, può indurre nell’inganno. Come discernere, infatti, fra tante teorie dalle quali discendono dottrine elaborate da cosiddetti iniziati per loro uso e consumo – sia pure in buona fede – e pertanto soggettive?
Ecco porsi il problema della indicazione. L’indicazione non può essere particolare ed è quindi sempre la stessa, per tutti: la tradizione non cambia mai; la tradizione non accetta compromessi, non si adatta ai tempi e ai luoghi. E se vi si adatta per necessità di linguaggio e di intendimenti diversi o, come può succedere, per ragione di religione o politica, lo fa per velare e spesso per ri-velare la verità che da essa trapela a colui che lungo la via sanguigna, la memoria e il pensamento, ne coglie il significato reale. Qualsiasi dottrina, scritta o orale, che al vaglio di colui che la studia e la esamina esotericamente, non combaci con la tradizione, è falsa. Questa è l’indicazione, che diventa regola. Non vi è alcuna accettazione che possa tale regola confermare.
Al problema dell’indicazione o regola senza eccezioni, segue il metodo.
Il metodo, peraltro, ha per suo presupposto la conoscenza di ciò che a lui si vuol sottoporre. Ne consegue che per poter affrontare materie come quelle tradizionali, occorre una preparazione culturale nel senso lato: ciò appare necessario per poter risalire dall’errore ala verità attraverso l’applicazione del metodo che è quello dell’ANALOGIA. Dove non si trova analogia si agisce per esclusione; in altri termini, mancando la relazione analogica, la materia che si osserva diviene scoria da abbandonare, e ciò anche se può sembrare importante dal punto di vista scientifico o da altri punti che, però, tradizionalmente, non hanno valore alcuno. Le teorie, i discorsi e le dissertazioni scientifiche e di tanti altri settori dello scibile umano cambiano con l’avvicendarsi dei tempi e delle scoperte, mentre la tradizione – vale ripeterlo – non cambia mai, altrimenti non sarebbe tradizione.
È pacifico che non si può essere enciclopedici: è però mio avviso, per esperienza fatta, per trasmissione ricevuta e per convinzione maturata attraverso risultati ottenuti da altri, che chi vuol farsi una mentalità tradizionale affrontando lo studio dei testi e delle dottrine deve essere aperto a tutte le arti con particolar riguardo alla musica e alle poesie mai dimenticando che l’architettura e la scultura, figlia sua prediletta, sono il fondamento della realtà tradizionale nel settore della storia dei popoli; deve avere una certa familiarità con la geografia e l’astronomia; conoscere le leggi della fisica, la storia in senso generale e quella delle religioni e delle associazioni iniziatiche in particolare; dev’essere capace di intendere un discorso filosofico; esser forte in matematica; approfondire, senza lasciarsi confondere da questioni religiose, politiche e sociali (che non sono tradizionali ma soltanto contingenti) lo studio delle razze umane; la loro storia e le loro cosmogonie. Deve inoltre applicarsi nella scienza tradizionale della filologia e, se può e riesce, a capire il significato reale delle parole, ricordando sempre che ogni parola sorse, nel nascere e nell’espandersi dei suoni, come un comando, perché l’immedesimazione di un oggetto, di un essere vivente di un’idea con la parola, è tradizionalmente una presa di possesso di ciò che con quel suono si è immedesimato. È poi utilissimo conoscere o, almeno esser in grado di distinguere i ventidue segni della scrittura ebraica, avere qualche cognizione di latino e di greco.
Con queste basi, minime ma indispensabili, si applica il metodo col quale si deve raggiungere, attraverso l’analisi analogica, la sintesi di quanto si è studiato.
Dal punto di vista scientifico, giunti alla sintesi si è giunti alla conclusione, e lo studioso dovrebbe aver concluso la sua fatica. Tradizionalmente, una volta giunti a questa sintesi si è appena all’inizio di questo studio. Di tale sintesi infatti è necessario fare una nuova analisi, in opposizione a quanto può risultare particolarmente gradito, per giungere a una nuova sintesi che garantisca l’eliminazione di tutte le scorie che dal primo lavoro, dirò così, di sgrezzamento della materia essoterica potevano apparire valide nel vasto arengo delle deviazioni esoteriche, e pertanto fuori dalla tradizione.
A questo punto è indispensabile la scelta delle dottrine da sottoporre, a loro volta, alla comparazione analogica.
Quali sono?
Qui si è giunti al punto cruciale dal quale dipartirsi per la realizzazione della mentalità tradizionale fluttuante, cioè puramente e assolutamente tradizionale, ma non ancora fissata.
È mia opinione, confortata purtroppo da tanti, troppi casi di controiniziazione, che gran parte di coloro ai cui testi e alle cui dottrine si rivolge l’attenzione per incamminarsi verso la reintegrazione allo stato primordiale, giunti a questo punto cruciale siano stati travolti da qualche scoria che non seppero eliminare e siano precipitati senza aver più la forza di ricominciare il difficile cammino; trascinando con loro tutti quelli che le loro dottrine hanno seguito.
Ed è facile il seguirle specie per gli ignari perché esse si presentano suggestive, fanno intravedere un certo numero di possibilità magiche, sono sufficientemente occultistiche (hanno cioè quell’alone di mistero che attira sempre chi non ha preparazione in materia); ma tanto più suggestive appaiono – pur richiamandosi a fonti tradizionali – tanto più sono frutto di fantasiose invenzioni e di interpretazioni che uniscono insieme essoterismi diversi, non sempre in buona fede. Sono dottrine che si presentano con basi esoteriche ineccepibili ma sono completamente false e, quando non sono pericolose, sono del tutto inutili.
Si possono invece indicare quelle che possono servire da piattaforma per dipartirsi verso la realizzazione della mentalità tradizionale “fluttuante”: esse, per il mondo occidentale, possono essere quelle che trattano quanto è giunto in nostro possesso dalle tradizioni dell’antico Egitto, la Bibbia, l’esoterismo greco, i testi alessandrini, la Kabbalah ebraico-cristiana, la gnosi, tutte dottrine analogicamente valide fra loro le quali, a loro volta, presentano numerosi e fondamentali punti di contatto con l’esoterismo tradizionale orientale (mazdeismo per quel che ne sappiamo, testi hindù, testi cinesi) e con i frammenti iperborei e le saghe nordiche. Un ritorno tradizionale si ritrova poi nel periodo romano, nell’alto medioevo e nell’idea imperiale ghibellina.
Tutte queste dottrine devono collegarsi con il mito solare: dove esse cedono all’idea della Dea-madre sono già in fase) degenerescente anche se, per noi moderni e occidentali (prossimi ad essere ingoiati dalle nostre femmine come succede negli animali inferiori) le dottrine demetriche (che pur sempre includono la tradizione solare) possono essere più che sufficienti per la realizzazione della mentalità tradizionale fluttuante ovverosia di quel sistema di pensiero che potrà permettere la realizzazione dei misteri.
Questa analisi, che deve condurre alla definitiva sintesi, presenta enormi difficoltà: è difficile superare le proprie simpatie, le naturali convinzioni ereditate dalla cultura umanistica e dall’amore per “il progresso”. Tanto più difficile lo è per colui al quale manca la via sanguigna cioè i richiami verso un lontanissimo passato, ovvero uno stato di coscienza particolare che facilita l’esame. È qui che spesso bisogna far forza, rinnegare le più ostinate convinzioni. Chi riesce a superare questa prova potrà dire di aver acquistato una mentalità tradizionale a meno che non segua un suo pensiero recondito che lo conduca all’interpretazione soggettiva nel qual caso, pur ragionando in forma perfettamente tradizionale, rinnegherà la tradizione nel punto che gli interessa, con la scusa dell’eccezione che conferma la regola.
A questo punto, dovrebbe aver luogo la fissazione della mentalità tradizionale, che una volta raggiunta garantirebbe la assoluta equanimità di giudizio, l’immediato distinguere di ciò che è vero da quel che è falso o degenere. Ma questo è un problema sul quale è meglio sorvolare.
In sostanza, per ottenere quella mentalità che permette di ragionare radizionalmente, bisogna adottare i metodi della realizzazione ermetica: la prima, dal punto di vista delle possibilità realizzative dei piccoli misteri che gli uomini del nostro tempo e del nostro mondo devono affrontare per potersi dire iniziandi, e non iniziati come orgogliosamente e vanamente molti di noi vorrebbero essere. Quando l’uomo moderno sarà riuscito a fare quanto si è insieme osservato, allora potrà accingersi ai primi passi per la realizzazione dello stato primordiale. Si troverà sempre su di un sentiero tortuoso e pericoloso ma sarà in possesso di quelle nozioni indispensabili per orientarsi e per superare il denso dal sottile.
Che di operazione alchimica, seppure incompleta, si tratti, è fuor di dubbio. Proviamo a riepilogare, per convincercene, quanto abbiamo detto, e vedremo che abbiamo applicato al nostro modo di pensare le operazioni dell’Ars regia.
  1. Rinunciare, far morire e putrefare tutto il nostro bagaglio pseudoculturale, religioso, scientifico, e con esso l’abitudine di considerarlo come verità acquisita, liberando così dalle nostre meningi e dalla nostra coscienza, lo spirito grossolano dell’Io individuale personalizzato (proprio della corporeità plumbea o della specializzazione) fino a render inerti le parti fisiche della nostra memoria e del nostro pensamento (1ª sintesi).
  2. Completa putrefazione della nostra mentalità antitradizionale, e volatizzazione dello spirito sottile profondamente nascosto nella nostra memoria primordiale, annullando, fino a farle completamente morire, le parti fisiche della nostra memoria e del nostro pensamento (2ª sintesi).
  3. Purificazione del volatile, cioè dello spirito sottile estratto dal profondo della nostra memoria primordiale, attraverso la sua uscita dalle nostre meningi nelle quali deve lasciare come morta ogni traccia di influenza delle questioni che non interessano (scelta delle dottrine).
  4. Immersione della nostra mente nella “luce” così prodotta, e conseguente resurrezione della memoria e del pensamento in veste perfettamente tradizionale (analogia della seconda sintesi con le dottrine tradizionali).
Al punti 1) abbiamo realizzato l’opera al NERO, completandola al punto 2) con la morte ermetica cioè il NERO più NERO del NERO. Al punto 3) abbiamo iniziato l’opera al BIANCO padroneggiando il volatile, completandola al punto 4)con la completa immersione del nostro intelletto fisico nella luce dello spirito puro.
È estremamente difficile esprimersi con parole appropriate e facilmente comprensibili al nostro comune dissertare, proprio del nostro tempo calamitoso, ma io penso di aver detto forse anche più di quanto sia possibile intendere dalle letture di molti libri in cui la complessità dei simboli e la difficoltà del linguaggio volutamente oscuro fanno perdere il filo d’Arianna che caratterizza la ricerca dell’uscita nel labirinto della letteratura ermetica e di quella alchimica. Se si riflette bene tutto apparirà chiaro anche se, ancora, non siamo in possesso della memoria e del pensamento tradizionali.
Il giorno in cui un uomo qualsiasi, avrà realizzato quest’Opera al bianco, nel suo cervello e nella sua coscienza egli vedrà le cose in modo assai diverso da come le vedeva prima e da come continueranno a vederle i suoi simili; comprenderà quelli che sembrano oscuri enigmi, saprà la verità che si nasconde sotto ai miti, potrà decifrare immediatamente i simboli. E tutto questo potrà fare senza tema di errare e senza il pericolo d’esser tratto in inganno da falsi profeti o da coloro che – in buona fede – imboccarono la via sbagliata. Avrà così conquistato una mentalità tradizionale.
Questo discorso volge alla fine: qualcuno potrà chiedere perché sia stata lasciata da parte la fissazione, o opera al ROSSO, della mentalità tradizionale ottenuta. Ne accennerò più avanti. Dirò subito – e ciò farà esultare gli occultisti, ma per poco – che alla tecnica indicata per la realizzazione della mentalità tradizionale si possono unire opportune preghiere, scongiuri e riti che, compiuti in periodi determinati i quali mirano a creare o favorire particolari condizioni fisiche o cosmiche, possono determinare eventuali situazioni favorevoli al compiersi di certe operazioni alchimiche. È però necessario intendersi: non si tratta di preghiere in senso mistico – come molti erroneamente potranno ritenere – né di scongiuri che faranno scendere gli arcangeli o fugheranno i demoni o viceversa – come agli occultisti piace a dare a intendere – ma di tentativi di agire sui nostri sensi nascosti con lo scopo di vincere quanto di atavico è rimasto in noi durante i cicli della caduta umana (perché la tanto strombazzata evoluzione umana, non è altro che una caduta dallo stato primordiale all’attuale stato in cui viviamo). Parlando modernamente si potrebbe dire che preghiere, scongiuri, invocazioni e evocazioni servono per combattere i complessi e le debolezze che ognuno di noi nasconde nell’imo più profondo del suo essere e che trattengono lo spirito sottile che deve essere liberato.
Si tratta, comunque, di manifestazioni esteriori che presentano vari pericoli perché quasi sempre tendono a confondersi con la magia cerimoniale quando non provocano effetti del tutto estranei allo scopo per cui sono stati posti in atto, fra cui quello – particolarmente per le preghiere – di indirizzare su quella che si vuol definire via mistica ciò che, in definitiva, rappresenta la migliore soluzione di tali riti.
Circa l’opera al ROSSO o fissazione del volatile, dopo aver realizzato la mentalità fluttuante, già sufficiente per ragionare in modo realmente tradizionale, si tratta di legare indissolubilmente tale capacità sottile alla nostra mentalità corporea. Non è detto che colui che è giunto a tali altezze mentali non possa effettuare la fissazione e cioè, dopo il solve, giungere al coagula. Chi si sente in grado di farlo, lo faccia, a sui rischio e pericolo; tanto meglio se, dopo, riuscirà a raggiungere addirittura la moltiplicazione o ORO, realizzata la quale, per il suo pensiero non ci saranno più limiti in alcun campo dello scibile.
Il discorso è finito. Mi pare di sentir qualcuno, e forse molti, accusarmi di voler insegnare agli altri quello che non sono in grado di fare io. Non starò ad affermare di aver raggiunto la mentalità tradizionale fluttuante seguendo il metodo esposto ciò che d’altronde i miei eventuali oppositori non crederebbero, e sarebbero nel vero.
Ma ho conosciuto chi tale posizione mentale aveva raggiunto e di questo sono certo e me ne posso far garante. Si trattava di uno dei miei maestri, che una scrittrice e donna politica di grande intelligenza - ma che non poteva allontanarsi dalle questioni legate alla materia - diceva, per giustificare le sue capacità divinatorie, le sue precise previsioni, le risoluzioni dei più complicati problemi, l’immediata spiegazione del simbolo più strano e sconosciuto, che “era un uomo con quattro cervelli”.
Egli mi insegnò il sistema perché, diceva, la chiave di ogni mistero, la possibilità di acquistare sapere e potenza (ma non nel senso che generalmente si da a tali termini) sta nella applicazione della scienza ermetica.
Ed io ho provato e riprovato: non ci sono riuscito. Però qualche cosa ho appreso.