Non acquisisco la mia conoscenza dalle lettere e dai libri, ma la posseggo entro me stesso, poiché il cielo e la terra con tutti i loro abitanti, e inoltre Dio stesso, sono nell’uomo. (Jacob Böhme)
Ritengo che questa malsana
commistione fra ciò che dovrebbe essere il ruolo di un’istituzione iniziatica,
dove il Grande Maestro ha come bene unico quello dei fratelli che in essa si
raccolgono a formare un’autentica comunità d’opera, e le molteplici ibridazioni
che nuotano nel torrente degli eventi sia da imputarsi alla perdita del senso
di identità che sembra affliggere l’uomo contemporaneo e le istituzioni tutte
in cui esso si raccoglie. L’orizzonte sembra essersi ridotto a nient’ altro che
alla misera esistenza del singolo e dei punti di riferimento e dei costrutti
psicologici che puntellano la sua precaria percezione di sé, al contempo le
radici vitali, che davano linfa vitale alle strutture e fecondità ai riti,
sembrano essere divelte. Ciò rende queste strutture come mortifere crisalidi,
dove malamente deambulano epigoni dei maestri passati e ancora più malamente
rimbombano distorti echi.
Solamente riscoprendo l’autentico
senso del sacro, abnegandosi completamente ad esso, rinunciando ad ogni
velleità personale frutto di un ego comunque misero e sofferente, sarà
possibile riscoprire l’autentico senso dell’iniziazione e come esso sia “altro”
da ogni istanza che trovi movenza nel mondo profano. Questo senso del sacro
nasce dal silenzio interiore, dalla pratica profonda che porta a riconoscere la
natura transeunte di quanto ci circonda. Come può l’autentico iniziato trovare
dimensione, peso, misura ed individuazione da accadimenti di effimera sostanza
e di controversa forma destinati a loro volta a scomparire sotto la macina del
tempo? Non può. Inoltre può trovare individuazione, questo nostro iniziato,
nella confusione della polarizzazione dialettica? Non può.
Di ben altro pane si deve nutrire
e di ben altra dimora necessita l’uomo che desidera realmente reintegrarsi nelle sue prime proprietà, virtù e potestà.
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