lunedì 4 aprile 2016

La Maschera e il Gremibiule (Martinismo e Libera Muratoria) di Immanuel I:::I:::

articolo pubblicato su Ecce Quam Bonum n°9 
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PREMESSE NECESSARIE

Il rapporto tra Martinismo e Massoneria è un argomento ampiamente discusso e variegato nel quale le opinioni e le scuole di pensiero inevitabilmente divergono, attenendoci però ai dati storici e ai dati di fatto, è chiaro che entrambe sono istituzioni iniziatiche con origini differenti, metodi differenti, strumenti differenti. La Massoneria ha una storia dibattuta: la nascita ufficiale dell'istituzione come la conosciamo oggi risale all’inizio del XVIII secolo, sebbene le origini e i passaggi che portarono dalla fase operativa a quella speculativa non sono chiari né definitivi. Sulla nascita del Martinismo come fratellanza iniziatica organizzata in “Ordini” invece le cose stanno diversamente, tutto è più chiaro e ben documentato. Al limite minor chiarezza esiste su ciò che ha portato alcuni uomini vissuti tra il XIX e il XX secolo a creare un sistema noto appunto come Martinismo, ma ciò che abbiamo è più che sufficiente per non cercare risposte nel mito. La storia ci dice che Martinismo e Massoneria hanno intessuto rapporti abbastanza stretti, buona parte dei Maestri Passati infatti ebbero a che fare in varia misura con la Libera Muratoria e i precursori del Martinismo, Martinez De Pasqually e Willermoz, sfruttarono la Massoneria per innestare in essa altri sistemi, seppur diversi. Al di là poi dei tanti maldestri tentativi di agganciare l’una e l’altro, non si può negare che evidentemente diversi massoni sono anche martinisti, quindi una reciproca attrazione tra i due sistemi deve pur esserci.
Se escludiamo tutte quelle variabili effimere che portano un massone a cercare il martinismo, ciò che rimane è veramente degno di nota? Ritengo di sì. Il breve studio filosofico che segue verte su alcuni punti di aggancio che possono rivelarsi proficui per percorrere entrambe le strade senza ritenerle complementari o gerarchicamente ordinate, ma bisogna precisare che le mie argomentazioni non sono da ritenere programmatiche né puramente speculative. Esse trovano un senso compiuto per chi cerca di percorrere entrambe le vie contemporaneamente con profondità e coerenza, conoscendo i contenuti, le tecniche, gli strumenti e i rispettivi perimetri. Non è necessario per un martinista essere massone, né per un massone divenire martinista. Il Martinismo non è una sorta di somma accademia di perfezionamento della Massoneria, né la Massoneria può dirsi il “ginnasio” del Martinismo, entrambe le vie possiedono la propria autonomia e conducono a obiettivi differenti con strumenti differenti, sebbene alcuni elementi possano essere proficuamente equiparati e reciprocamente sfruttati. Questo scritto si rivolge dunque in primis a tutti quei Fratelli Liberi Muratori che abbiano scelto la dura strada del Martinismo, essi solo, forti della loro esperienza collettiva all’interno di un’Officina massonica e di un arduo e solitario lavoro rituale cadenzato nella catena martinista, possono cogliere alcune cose non scritte e comprendere lo sforzo che anima il proprio lavoro. A chi invece percorre l’una o l’altra via ma non entrambe queste parole comunque si rivolgono, ma in una misura differente. Senza nulla togliere all’acume di ciascuno, un percorso può essere compreso a tutto tondo solo da chi lo percorre.

MASSONERIA vs MARTINISMO

Il breve e lacunoso studio che segue si incentra su quelli che possono essere i punti d’aggancio tra pratica della Libera Muratoria e del Martinismo, prendendo in esame in particolare il primo grado in entrambi i sistemi. La domanda che sorregge la riflessione si può porre in questi termini: quali tipi di affinità sussistono tra il grado di Apprendista nella Massoneria e il grado di Associato nel Martinismo? A mio modo di vedere la duplice appartenenza può essere vissuta proficuamente se, e solo se, si percepiscono le autentiche dimensioni dei due sentieri che nel primo grado delle rispettive scale vengono delineate nelle loro basi. Prima di procedere con i parallelismi è utile indicare le differenze sostanziali tra pratica massonica e pratica martinista, non perché tali differenze indichino incompatibilità, quanto piuttosto perché delineano precisamente il terreno sul quale ci si muove ed evitano che si cada nel classico errore di considerare un sistema propedeutico o perfezionante l’altro. Intendiamoci, in qualche modo il massone che pratichi il Martinismo troverà sempre che una cosa completa l’altra, ma rimane una questione di esperienza individuale che non può essere sistematizzata. Innanzitutto si diventa martinisti per mano di un Iniziatore, il quale è sempre tale e in qualsiasi momento ha la facoltà di associare chi vuole, senza passare per meccanismi di voto. Esiste un riconoscimento dell’Iniziatore il quale riveste tale facoltà in quanto a sua volta ha ottenuto il potere di iniziare da un altro Iniziatore e via dicendo: per i dettagli sul meccanismo rimando ad altri scritti che meglio approfondiscono l’argomento. Nella Massoneria, quanto meno in quella “regolare”, non esiste un iniziatore nel senso proprio del termine, piuttosto esistono Fratelli con il grado di Maestro che, a seguito di meccanismi di delega collettivi, detengono provvisoriamente, per l’arco del loro mandato, la facoltà di iniziare profani alla Libera Muratoria; tali Fratelli sono detti Maestri Venerabili e contestualmente alla facoltà di iniziare detengono il potere di presiedere e rappresentare la propria Loggia; terminato il mandato perdono la facoltà di iniziatori. Nessun Ex Maestro Venerabile, e in generale nessun Maestro, può iniziare un profano all’Arte Muratoria se non è il Maestro Venerabile in carica della Loggia in cui viene accolto il profano, mentre un Iniziatore martinista, genericamente parlando, possiede tale facoltà, inoltre, almeno questo vale nel SOGM, un Iniziatore non corrisponde necessariamente con il Filosofo, ovvero con chi presiede una Loggia. Questa prima differenza delinea già uno spartiacque netto tra Massoneria e Martinismo e permette di intuire quanto siano differenti i concetti di iniziazione nell’uno e nell’altro sistema, più specificatamente nel Martinismo al primo grado si parla di associazione, mentre in Massoneria si parla di iniziazione solamente per il primo grado, mentre per i successivi si parla rispettivamente di “aumento di paga” ed “elevazione”, facendo così capire che l’iniziazione massonica coincide con il momento in cui, dopo aver visto la Luce, il profano viene accolto dalla collettività dell’Ordine come Libero Muratore. Un’altra pregnante differenza tra le due vie è la dimensione del lavoro, che in Massoneria è prettamente collettiva, mentre nel Martinismo è individuale; a volte questa differenza è proprio ciò che spinge alcuni massoni a cercare nel Martinismo una dimensione maggiormente profonda nel lavoro individuale che permetterebbe di colmare le lacune legate al lavoro collettivo. Ora, sebbene l’impulso iniziale di questa scelta possa essere salutare, non bisognerebbe cadere nell’errore di sottovalutare la dimensione collettiva, perché se il massone disprezza il lavoro comune farebbe bene a porsi in sonno. La pratica della Libera Muratoria avviene in una dimensione esclusivamente collettiva, in cui i lavori della propria Officina debbono essere frequentati e in maniera proficua, non solo perché i Regolamenti prescrivono ciò in maniera vincolante, ma anche perché se ciò non avviene decade completamente il senso dell’appartenenza massonica. E’ nella cadenza costante delle Tornate di Loggia che la Massoneria si vivifica come sistema di crescita tradizionale, la partecipazione meditata alla ritualità è un elemento fondante che consente al Fratello di evolvere nel tempo e di entrare nel cuore dell'Arte Muratoria. Separati la Squadra e il Compasso e chiuso il Libro Sacro, il Fratello torna ad operare nel mondo profano cercando di influenzarlo, irradiando le più elevate virtù massoniche, ma di fatto il lavoro massonico vero e proprio termina lì. Non esiste, al di là dello studio individuale che viene lasciato interamente alla discrezionalità del soggetto, una ritualità o una serie di pratiche che permettano ad un massone di "operare" in qualche modo la Libera Muratoria, questo almeno è ciò che avviene nella Massoneria regolare, autentica e tradizionale. L'appartenenza martinista invece pare fondarsi proprio sulla costante ripetizione della pratica individuale, nella forma della ritualità che viene consegnata all'Associato e nei gradi seguenti. Il martinista vive una dimensione collettiva su un piano sottile innanzitutto, solo successivamente, in misura minore e senza obbligo alcuno vive anche una dimensione collettiva fisica che si esplica nelle riunioni di Loggia o di Gruppo, laddove ci sia questa possibilità. La crescita di un martinista viene resa possibile dalla vivificazione dei carismi iniziatici ricevuti personalmente dal proprio Iniziatore solo attraverso una integerrima pratica della ritualità quotidiana e mensile, all'interno della quale si viene a conoscere in misura molto profonda la dimensione collettiva intesa come appartenenza alla catena eggregorica della quale il Fratello/Sorella diventa, con il progredire dei suoi lavori, anello sempre più temprato. E' fondamentale cogliere questi due aspetti perché parlano molto dell'identità delle due Fratellanze e permettono di meglio apprezzarne i punti di contatto.

L’APPRENDISTA E L’ASSOCIATO

Ritorniamo alla domanda iniziale: quali tipi di affinità sussistono tra il grado di Apprendista Libero Muratore e il grado di Associato Incognito? Per fornire spunti parziali di riflessione ritengo opportuno partire dall'analisi di alcuni aspetti rituali e simbolici del primo grado della Massoneria Azzurra che paragonerò ad altri aspetti propri del grado di Associato Incognito, ma sempre tenendo bene a mente che non esiste una propedeuticità di qualche tipo, semmai il Martinismo opera in una dimensione maggiormente verticalizzata. Il grado di Apprendista racchiude nel proprio simbolismo il seme e le basi di tutta l’Arte massonica, ecco perché si tende a lavorare per lo più in primo grado nelle Logge. Il rituale di iniziazione ricorda ad ogni Fratello il lungo iter passato per potersi avvicinare all'Istituzione, le attese e le molte interviste affrontate in fase di tegolatura, fino al fatidico momento in cui l'attesa snervante cessa e di colpo ci si ritrova catapultati in un nuovo mondo. Ogni volta che si assiste all'iniziazione di un profano si ritorna a quei momenti e si rimette in discussione il proprio essere massoni, specialmente rammentando il momento probabilmente più drammatico dell'iniziazione massonica: il Gabinetto di Riflessione. Nell'economia del simbolismo rituale la permanenza nel Gabinetto (che nella ritualità di famiglia Scozzese è riccamente decorato di simboli) è probabilmente il momento più vicino all'intimità e alla solitudine di un Associato Incognito perché in quei lunghi minuti che separano il profano dal dramma rituale che verrà, il candidato all'iniziazione rimane solo con se stesso nell'oscurità a riflettere sulle proprie scelte, paradigmizzate dalle tre domande del testamento. Il Gabinetto di Riflessione rappresenta il primo dei quattro viaggi simbolici che il profano compie durante la propria iniziazione. I successivi tre viaggi avvengono nel Tempio, bendati, ma il primo avviene nel profondo delle proprie paure, nelle viscere dell'elemento Terra e da il via alla radicale opera di purificazione dalle scorie della profanità per predisporre il recipiendario alla visione della Luce. La purificazione con gli elementi nella ritualità massonica è simbolica, ma per un Associato Incognito avviene costantemente nell'arco di tutta la sua vita martinista. Anche l'Associato, seppure in maniera differente, compie i quattro viaggi e le quattro purificazioni degli elementi nel rituale di associazione, ma mensilmente, in luna nuova, continua l'opera di purificazione che non è solo simbolica ma effettiva; esiste un certo parallelismo nei processi di creazione di un Apprendista e di un Associato: l'Associato vive la propria "tegolatura" come un confronto con sé stesso e i propri peccati nella Meditazione dei 28 giorni, viene consacrato dal proprio Iniziatore che lo associa all'Eggregore e compie successivamente la purificazione degli Elementi, è come se alcuni elementi simbolici del percorso muratorio venissero resi operativi, espandendoli e ripetendoli ciclicamente. Questo ancora una volta dimostra come il percorso massonico avvenga in una dimensione orizzontale e geometrica, come ci ricorda molto bene Arturo Reghini, mentre il percorso del Martinismo è finalizzato alla verticalizzazione dell'esperienza iniziatica. Il rituale di iniziazione all'apprendistato massonico prosegue, dopo le prove legate ai viaggi elementali, dopo il giuramento sulla coppa delle libagioni che scava uno spartiacque invalicabile tra la profanità e l'iniziazione (elemento presente anche nella ritualità associativa del Martinismo), con la tanto attesa visione della Luce. Il profano viene sbendato e poco dopo le luci del Tempio si accendono e i futuri Fratelli mostrano il loro volto. Dopo la Promessa Solenne l'iniziando viene condotto al cospetto del Maestro Venerabile che, con la spada fiammeggiante e il maglietto, inizia il profano alla Libera Muratoria e lo crea Apprendista. Ho già scritto in merito alla profonda differenza che sussiste tra il potere iniziatico delegato di un Maestro Venerabile in una Loggia massonica e il potere iniziatico effettivo e personale di un Superiore Incognito Iniziatore. Non starò a insistere tuttavia sul fatto che l'iniziazione massonica sia virtuale rispetto a quella martinista, in realtà sono due cose diverse, ognuna finalizzata al proprio scopo, quindi un confronto diventa plausibile esclusivamente sotto gli auspici dello spirito che anima il presente lavoro, in cui ci immaginiamo un massone, nello specifico Apprendista, che cerca di vivere con coerenza la sua vita massonica e la sua vita martinista. Ritorna ancora una volta l'idea di un piano orizzontale della Massoneria, in cui viene data la Luce, simboleggiata da una serie di simboli (le Tre Luci al centro della scacchiera e dietro all'Ara, il Triangolo luminoso dietro al Maestro Venerabile, i due Luminari ai lati del Triangolo) per il tramite un sistema corporativo di delega iniziatica con l'ausilio di un altro simbolo, la spada fiammeggiante. Come “riceve la Luce” un Associato al Martinismo? L’innesto di un individuo nella catena martinista riverbera come un’onda e abbraccia la lunga catena che va dai Maestri passati, conosciuti e sconosciuti, passando per tutti gli anelli attivi fino a ritornare al nuovo arrivato, il nuovo Associato Incognito, che non la riceve vedendo i suoi nuovi Fratelli e Sorelle e i simboli, bensì si vela al mondo profano per ricevere il carisma della Vera Luce e per apprestarsi a divenire ricettacolo del Fuoco dello Spirito e Luce egli stesso. E’ un dinamismo che possiede un momento angolare diverso, non mi viene in mente null’altro se non la verticalità in rapporto all’orizzontalità.
La vita in Loggia di un nuovo Apprendista è caratterizzata dal silenzio, la regola impone infatti, senza eccezione alcuna, che gli Apprendisti non abbiano diritto di parola in Officina durante i Lavori, ovvero quando la Squadra è sovrapposta al Compasso. Il silenzio dell’Apprendista viene vissuto come la ricerca dell’autocontrollo finalizzato alla riflessione profonda in seguito all’ascolto, solo tacendo (il Silenzio è uno dei voti ermetici) egli può udire la voce della sua coscienza e imparare a spogliarsi dei metalli e a lavorare la Pietra Grezza. L’Associato Incognito ha già superato la soglia nel silenzio, nel senso che già è entrato nel profondo della sua coscienza e si è confrontato coi suoi demoni, rivestito dei simboli comuni a tutti i gradi del Martinismo egli è pronto, col beneficio della protezione eggregorica e col carisma trasmessogli dal suo Iniziatore, a navigare nell’immenso mare del silenzio iniziatico, cullato dal salmodiare dell’opera cardiaca. Il lavoro operativo dell’Associato è cardiaco, per lo più, e nella preghiera si rende liquido il muro che separa il suono dal non suono e si entra nel suono del cuore, preceduto dal silenzio della mente. L’Apprendista impara la disciplina orizzontale del silenzio, osservando il movimento dei Luminari e degli astri nella mappa geografica del cosmo che è il Tempio; dalla posizione della sua Colonna tace e impara l’alfabeto dei simboli che parlano al cuore, egli infatti “non sa né leggere né scrivere”, egli sgrossa a fatica la Pietra Grezza e cerca di trovare un senso ed una geometria nelle mappe del macrocosmo, fino a che non si accorgerà di essere il burattinaio di se stesso e allora si troverà d’improvviso al centro delle Tre Luci. Nel centro della scacchiera, dove i sentieri della Luce convergono, l’Associato che sia anche Apprendista Sgrossatore di Pietre, non si limita ad osservare il macrocosmo attorno a sé, ma realizza di essere il riflesso di quel macrocosmo e si identifica col Quadro della sua Camera innalzando sopra di sé lo sguardo. Egli allora scopre che il soffitto della Loggia si apre sull’infinito cielo stellato e lì, nel silenzio della sua condizione, chiama a sé la Luce dall’alto per trasportarla in basso e poi trasmetterla in ogni direzione. E’ nella consapevolezza della verticalità che l’Associato impara il rito della Croce detta cabalistica. Ma si badi bene, e lo ripeto per l’ennesima volta, che questo non significa suggerire un nesso di causa ed effetto tra lavoro muratorio e lavoro martinista, questo può accadere se si percorrono le due vie, ma può benissimo accadere anche se ne viene percorsa una delle due o nessuna.

L’OFFICINA, IL TEMPIO, IL QUADRO

Il percorso dell’Apprendista deve necessariamente svolgersi nel luogo fisico denominato Loggia, decorato secondo la simbologia tradizionale della Libera Muratoria. E’ qui che si compiono i rituali codificati e accettati dalla Comunione massonica. Codesti rituali possono essere posti in atto solamente nelle occasioni collettivamente condivise e ratificate dalla Comunione e non ne esiste una controparte individuale. Sarebbe quantomeno bizzarro scoprire che un massone a casa propria ha allestito un tempietto massonico nel quale compie gli “architettonici” lavori in solitudine, magari adattando i rituali di Loggia ad una pratica solitaria, eppure tali aberrazioni esistono, anche se evidentemente si tratta di patetici fraintendimenti. Sebbene la Loggia massonica possa essere concepita come itinerante e provvisoria, a partire dal tracciamento e cancellazione del Quadro di Loggia, generalmente il Tempio esiste fisicamente ed è fisso, al di fuori di esso esiste solo la mente creativa del massone che si sforza di penetrare nella meditazione e nella speculazione i simboli, “con atti di pensiero e umori cerebrali”, per citare Franco Battiato. Nel caso del Martinismo il luogo fisico della ritualità collettiva sembrerebbe molto meno fisso e codificato. Una riunione rituale martinista da più l’idea evocata da Gesù nel Vangelo di Matteo: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”[1]. Esistono ovviamente delle consuetudini e delle regole, dei simboli fissi, ma il percorso del martinista si esplica anche solo tenendo presente questa simbologia senza viverla fisicamente nella dimensione collettiva. Ogni martinista possiede il suo Oratorio, che si tratti di una stanza o di una mensola, ma soprattutto fin dal grado di Associato sa esattamente come entrare nell’Oratorio interiore per connettersi all’ininterrotta catena iniziatica; ciò avviene attraverso una ritualità quotidiana che manca completamente nella via massonica. Va detto e ripetuto che un adeguato bilanciamento tra i due modi di praticare non può che essere un arricchimento per colui che si riconosca martinista e nella Fratellanza dei Liberi Muratori. Sebbene alcuni elementi della Loggia martinista in grado di Associato siano paragonabili ad elementi della Loggia massonica in Camera di Apprendista, nondimeno anche in questo caso esistono dimensioni differenti che marcano gli opportuni e reciproci perimetri. Nel Tempio massonico ricorre una geometria sofisticata che combina il tre e il quattro. Al centro del Quadrilungo, comunemente noto anche come pavimento a scacchi, si trovano i Tre Pilastri di Saggezza, Forza e Bellezza, riverberati dall’Oriente e dalle statue di Ercole e Minerva, resi operativi dai dignitari conosciuti come le “Luci” (Maestro Venerabile e Sorveglianti) e condensati nelle tre luci dietro all’Ara. Nel Tempio Martinista predomina maggiormente il numero 4, in riferimento alla quadruplicità della manifestazione e al Tetragramma, che vela o meglio in sé contiene il numero 5, ma va detto che il numero 3 nel grado di Apprendista, pur dominando sotto tutti i punti di vista, cela il numero 4 (i Tre Viaggi dell’Apprendista, ad esempio, sono in realtà quattro se consideriamo il viaggio della Terra nel Gabinetto di Riflessione, mentre il ricorrere del numero 3 è sempre fisicamente orientato in un contesto quadrangolare). Le Tre Luci e il numero 3 nel Tempio martinista si ritrovano nel Trilume e nei Tre tappetini “alchemici”, oltre che nei tre simboli principali del Martinismo: maschera, mantello, cordone. Nel Tempio massonico tutto è espanso architettonicamente, come ad esempio le due Colonne, tradizionalmente una bianca e una rossa, sormontate dalla melagrana e dal globo terrestre, recanti le lettere J e B su cui non mi dilungo perché ogni spiegazione è ampiamente disponibile presso varie fonti di pubblico dominio. Al centro del Quadrilungo però, tra i Tre Pilastri e in definitiva al centro fisico della Loggia, trova posto il cosiddetto Quadro di Loggia, il quale viene tracciato o appoggiato in un dato momento del Rituale di Apertura dei Lavori del grado e cancellato o rimosso nella Chiusura rituale dal Maestro delle Cerimonie. Ritengo che un punto significativo di aggancio tra Massoneria e Martinismo sia proprio la presenza del Quadro che anticamente (e anche oggi in diverse Officine) veniva tracciato in maniera stilizzata con un certo diagramma, mentre per lo più odiernamente consiste in un vero e proprio quadro che riporta dipinti i simboli architettonici principali del grado (c’è un Quadro diverso per ogni grado), quasi si trattasse di un Tempio condensato in un’immagine. Il Quadro assume in un certo senso la funzione di mandala e di sigillo evocativo e a mio modo di vedere risuona con il Tempio fisico del Martinismo. Il seggio-altare del Filosofo o dell’Iniziatore riporta in sé tutti gli elementi del Tempio stesso: le Colonne sono ai lati dell’altare o su di esso, sono una bianca e una nera, e alla loro base riportano i rispettivi simboli: i tre tappetini alchemici, la spada cruciforme da un lato, la maschera-mantello-cordone dall’altro. Tra di essi si trova il Libro Sacro, cioè il Vangelo di San Giovanni aperto all’incipit, lo stesso delle Logge Azzurre dei Liberi Muratori, denominate anche Logge di San Giovanni, sovrapposto ad esso vi è il Pentacolo martinista nel grado appropriato, proprio come nella Loggia massonica si trovano Squadra e Compasso accuratamente sovrapposti, dietro si trova il Trilume, insieme al Cero dei Maestri Passati. Se questi elementi, con le dovute differenze esteriori, vengono espansi nel Tempio Massonico e poi condensati nel Quadro di Loggia, nel Tempio martinista si trovano già saldamente condensati all’Oriente per divenire Quadro sempre presente, come se i lavori martinisti fossero “tracciati” a mo’ di sigillo e chiave d’accesso al regno dello Spirito, e in effetti così è, anche in virtù dell’invocazione del Nome che tutto infiamma e che non si ritrova nel rituale massonico. La preghiera e di conseguenza la fase cardiaca purtroppo sono venute a mancare nell’evoluzione rituale della Massoneria. Non mancano interessanti esempi a tal proposito, come la ritualità Emulation e la ritualità delle Logge Azzurre Rettificate, ma l’invocazione rimane piuttosto distante dal lavoro sullo Spirito. Non dimentichiamo che molti elementi della ritualità collettiva martinista hanno subito una pesante influenza strutturale massonica, a questo si devono determinate somiglianza, ma non si tratta di una caratteristica esecrabile se ponderata con i pesi adeguati, al contrario dimostra come, nonostante le molte e radicali differenze tra le due Fratellanze, esiste qualcosa di comune a cui entrambe hanno attinto. Una pratica in particolare a mio avviso denota una forte comunanza operativa, forse anzi si tratta dell’unico elemento operativo comune, ovvero la Catena d’Unione. Nella Loggia Massonica essa è simboleggiata dal cordone intervallato dai nodi d’amore che circonda l’intero perimetro interno del Tempio e come rituale viene posta in essere prima della chiusura dei Lavori, come avviene nella ritualità martinista, per altro con modalità fisiche simili. Ricordo ancora una volta che la Catena d’Unione per il martinista diventa una pratica costante che travalica la dimensione fisica e momentanea del rituale.

IL GREMBIULE E IL MANTELLO

In questa disamina non possono mancare cenni all’abbigliamento rituale delle due tradizioni; è l’elemento che forse più porta a riflettere, spesso compiendo arbitrari accostamenti che però si rivelano poco plausibili, come quello tra Maschera e cappuccio. La Maschera del martinista, presente ai piedi di una delle due Colonne del Tempio e indossata in determinati contesti rituali, indica l’abbandono della propria personalità profana per divenire “Incogniti”, Sconosciuti, come ci ha insegnato il nostro Venerabile Maestro Passato Louis-Claude De Saint Martin; questo atteggiamento favorisce la spoliazione dai “metalli” che appesantiscono la nostra profanità al fine di ascendere e trascendere l’orizzonte visibile degli eventi di questo mondo; in tal senso la Maschera diviene anche “lente” che permette di vedere le cose al di là dei punti di vista. Il cappuccio massonico invece ha principalmente una funzione strumentale legata alla necessità di non svelare l’identità profana dei Fratelli all’iniziando cui la Luce viene data gradualmente. Quando nel rituale di iniziazione il profano è bendato i Fratelli sono a volto scoperto, ma non appena gli viene tolta la benda si trova circondato da massoni incappucciati, i quali si tolgono il cappuccio “al terzo colpo” del maglietto del Maestro Venerabile, segno che la Luce scaturisce pienamente e liberamente a beneficio dell’iniziando che è in grado finalmente, in virtù della Luce che viene dall’Oriente, di rileggere il mondo con gli occhi della Fratellanza. E’ importante sottolineare che in un consesso massonico l’identità profana non viene cancellata o celata, piuttosto viene rettificata e sublimata, illuminata dalle virtù muratorie; il massone concorre direttamente a portare un raggio di Luce nel mondo poiché sa utilizzare gli strumenti del mestiere con i quali egli misura se stesso e il mondo, sgrossa, livella, circoscrive, costruisce. Il massone nella Loggia e nell’Obbedienza viene conosciuto col proprio nome profano, non assume uno ieronimo. Nella catena martinista, all’atto dell’associazione, si assume un nome iniziatico che rimane per sempre la propria “maschera” e che, insieme alla maschera vera e propria, pur celando, non nasconde ciò che non deve essere visto, ma oscura ciò che ai fini del lavoro iniziatico è illusorio; si tratta di una differenza sottile ma pregnante, senza contare che comunque benda e cappuccio massonici mantengono un utilizzo circoscritto ad un dato frangente rituale per poi scomparire, mentre la maschera trova posto addirittura sull’altare e tra i simboli fondamentali del Martinismo. Il mantello del martinista, come quello dell’Eremita dei Tarocchi, protegge dalle influenze esterne e completa il compito isolante della maschera, in questo senso è decisamente più affine al paramento massonico per eccellenza, il Grembiule, il quale ha una valenza protettiva essendo strumento da lavoro e va sempre indossato, insieme ai Guanti, durante i Lavori architettonici; in particolare l’Apprendista indossa il Grembiule con la bavetta rialzata, per indicare la maggiore protezione cui deve essere soggetto durante il suo lavoro caratterizzato dall’inesperienza; un surplus di protezione che viene garantito anche all’Associato diligente che ancora non è pienamente agganciato alla catena ma ne è associato. Inoltre il Grembiule dell’Apprendista, così indossato, raffigura la sagoma della Pietra Cubica a Punta (che unisce il Quadrato al Triangolo), prefigurando successivi segreti del mestiere. La “divisa” martinista è caratterizzata dall’Alba e dal Cordone, di diversi colori a seconda del grado, quello da Associato è nero. Analogamente il Grembiule varia nel colore e nelle decorazioni a seconda del grado; l’Apprendista ha un Grembiule bianco. Potrei azzardare dunque che il Grembiule racchiude in sé le funzioni del Mantello e del Cordone martinista, mentre i guanti, simbolo di purezza, si avvicinano alle accezioni dell’Alba; il complesso relativo alle capacità simboliche dell’Apprendista, all’ordine del suo grado e all’obbligo del silenzio possono essere in certa misura paragonate all’uso della Maschera e del Cordone; ovviamente non è possibile redigere una tabella esatta di corrispondenze ma solo evocare analogie che si arricchiscono col lavoro meditativo. Non bisogna inoltre dimenticare che il martinista si avvale di propri strumenti del mestiere che in grado di Associato sono il Pentacolo, il Vangelo di Giovanni e il Lume individuale, ma lascio ai Fratelli e Sorelle ulteriori riflessioni in merito a possibili analogie con gli strumenti del mestiere a disposizione dell’Apprendista, in quanto se è vero che gli strumenti massonici derivano dai tradizionali strumenti dei mastri tagliapietre operativi, è altrettanto vero che il martinista, fin dal grado di Associato, si avvale di strumenti che non è possibile citare in questa sede, non per desiderio di segretezza, ma per necessità di non impoverire la forza di tali strumenti e lasciarli velati sotto il Mantello legato dal Cordone.


CONCLUSIONI

La storia del Martinismo ha purtroppo offerto, e continua ad offrire, tristi esempi di come i famosi cavoli a merenda siano sempre fuori luogo, e la storia della Massoneria non è certo da meno. Quando queste due venerabili e rispettabili Fratellanze si incontrano, emergono spesso più ombre che luci. Molti dei Maestri Passati del Martinismo hanno tentato improbabili connubi docetici e operativi con la Massoneria, più spesso tralasciando la vera Massoneria, che è quella Azzurra e Simbolica, per addentrarsi in un arcobaleno di gradi di perfezionamento senza capo né coda. E’ facile scambiare i ruoli e pretendere di innestare elementi estranei negli alti gradi di certa Massoneria, salvo dimenticare che la Libera Muratoria non prevede in alcun modo la pratica della preghiera, della terugia e del sacerdozio. Forse alcuni caratteri di queste funzioni vengono esplorati a livello speculativo, ma la Massoneria non ha come scopo il perseguimento e la pratica di queste strade, mentre il Martinismo va in questa direzione, sebbene ogni singolo martinista sia libero di scegliere in quale direzione andare in base alle proprie attitudini. Nulla vieta che un Associato rimanga tale per il resto dei suoi giorni se nel grado trova la sua quadratura, mentre un Apprendista Massone è destinato prima o poi a fare, massonicamente parlando, carriera, si tratta di un meccanismo inevitabile. Nelle parole parole di certi Maestri Passati invece è rimasto un tesoro che denota la ponderatezza di chi ha saputo vivere dimensioni differenti integrandole nella propria esperienza individuale. Questo è il duro lavoro che un martinista e massone dovrebbe fare, misurare l’orizzonte del macrocosmo per sgrossarlo fino a trovare il microcosmo e al tempo stesso scrutare le immense altitudini e i più profondi abissi dentro di sé affidandosi a Dio e al Riparatore. La Tradizione ci insegna che edifici troppo alti e stretti, troppo verticali, sono destinati a crollare come la Torre dei Tarocchi, mentre il fumo dell’incenso sale verso Dio ed è a lui gradito. Insomma, ogni cosa al suo posto.

A tutti gli Associati Incogniti che hanno l’onore di essere anche Artigiani Liberi e di Buoni Costumi, auguro di trovare sempre la strada tra i quadrati bianchi e neri che porta alla Tavola da Disegno. E’ lì che si fa notte e si rompono gli indugi e la bussola impazzisce, è lì che inizia la scalata.. nell’Abisso.




[1] Mt XVIII, 20

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