articolo pubblicato su Ecce Quam Bonum n°9
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PREMESSE NECESSARIE
Il rapporto tra Martinismo e Massoneria è un argomento ampiamente
discusso e variegato nel quale le opinioni e le scuole di pensiero
inevitabilmente divergono, attenendoci però ai dati storici e ai dati di fatto,
è chiaro che entrambe sono istituzioni iniziatiche con origini differenti,
metodi differenti, strumenti differenti. La Massoneria ha una storia dibattuta:
la nascita ufficiale dell'istituzione come la conosciamo oggi risale all’inizio
del XVIII secolo, sebbene le origini e i passaggi che portarono dalla fase
operativa a quella speculativa non sono chiari né definitivi. Sulla nascita del
Martinismo come fratellanza iniziatica organizzata in “Ordini” invece le cose
stanno diversamente, tutto è più chiaro e ben documentato. Al limite minor
chiarezza esiste su ciò che ha portato alcuni uomini vissuti tra il XIX e il XX
secolo a creare un sistema noto appunto come Martinismo, ma ciò che abbiamo è
più che sufficiente per non cercare risposte nel mito. La storia ci dice che
Martinismo e Massoneria hanno intessuto rapporti abbastanza stretti, buona
parte dei Maestri Passati infatti ebbero a che fare in varia misura con la
Libera Muratoria e i precursori del Martinismo, Martinez De Pasqually e
Willermoz, sfruttarono la Massoneria per innestare in essa altri sistemi,
seppur diversi. Al di là poi dei tanti maldestri tentativi di agganciare l’una
e l’altro, non si può negare che evidentemente diversi massoni sono anche
martinisti, quindi una reciproca attrazione tra i due sistemi deve pur esserci.
Se escludiamo tutte quelle variabili effimere che portano un
massone a cercare il martinismo, ciò che rimane è veramente degno di nota?
Ritengo di sì. Il breve studio filosofico che segue verte su alcuni punti di
aggancio che possono rivelarsi proficui per percorrere entrambe le strade senza
ritenerle complementari o gerarchicamente ordinate, ma bisogna precisare che le
mie argomentazioni non sono da ritenere programmatiche né puramente
speculative. Esse trovano un senso compiuto per chi cerca di percorrere
entrambe le vie contemporaneamente con profondità e coerenza, conoscendo i
contenuti, le tecniche, gli strumenti e i rispettivi perimetri. Non è
necessario per un martinista essere massone, né per un massone divenire
martinista. Il Martinismo non è una sorta di somma accademia di perfezionamento
della Massoneria, né la Massoneria può dirsi il “ginnasio” del Martinismo,
entrambe le vie possiedono la propria autonomia e conducono a obiettivi
differenti con strumenti differenti, sebbene alcuni elementi possano essere
proficuamente equiparati e reciprocamente sfruttati. Questo scritto si rivolge
dunque in primis a tutti quei Fratelli Liberi Muratori che abbiano scelto la
dura strada del Martinismo, essi solo, forti della loro esperienza collettiva
all’interno di un’Officina massonica e di un arduo e solitario lavoro rituale
cadenzato nella catena martinista, possono cogliere alcune cose non scritte e
comprendere lo sforzo che anima il proprio lavoro. A chi invece percorre l’una
o l’altra via ma non entrambe queste parole comunque si rivolgono, ma in una
misura differente. Senza nulla togliere all’acume di ciascuno, un percorso può
essere compreso a tutto tondo solo da chi lo percorre.
MASSONERIA vs MARTINISMO
Il breve e lacunoso studio che segue si incentra su quelli che
possono essere i punti d’aggancio tra pratica della Libera Muratoria e del
Martinismo, prendendo in esame in particolare il primo grado in entrambi i
sistemi. La domanda che sorregge la riflessione si può porre in questi termini:
quali tipi di affinità sussistono tra il grado di Apprendista nella Massoneria
e il grado di Associato nel Martinismo? A mio modo di vedere la duplice
appartenenza può essere vissuta proficuamente se, e solo se, si percepiscono le
autentiche dimensioni dei due sentieri che nel primo grado delle rispettive
scale vengono delineate nelle loro basi. Prima di procedere con i parallelismi
è utile indicare le differenze sostanziali tra pratica massonica e pratica
martinista, non perché tali differenze indichino incompatibilità, quanto
piuttosto perché delineano precisamente il terreno sul quale ci si muove ed
evitano che si cada nel classico errore di considerare un sistema propedeutico
o perfezionante l’altro. Intendiamoci, in qualche modo il massone che pratichi
il Martinismo troverà sempre che una cosa completa l’altra, ma rimane una
questione di esperienza individuale che non può essere sistematizzata.
Innanzitutto si diventa martinisti per mano di un Iniziatore, il quale è sempre
tale e in qualsiasi momento ha la facoltà di associare chi vuole, senza passare
per meccanismi di voto. Esiste un
riconoscimento
dell’Iniziatore il quale riveste tale facoltà in quanto a sua volta ha ottenuto
il potere di iniziare da un altro Iniziatore e via dicendo: per i dettagli sul
meccanismo rimando ad altri scritti che meglio approfondiscono l’argomento.
Nella Massoneria, quanto meno in quella “regolare”, non esiste un iniziatore
nel senso proprio del termine, piuttosto esistono Fratelli con il grado di
Maestro che, a seguito di meccanismi di delega collettivi, detengono
provvisoriamente, per l’arco del loro mandato, la facoltà di iniziare profani
alla Libera Muratoria; tali Fratelli sono detti Maestri Venerabili e
contestualmente alla facoltà di iniziare detengono il potere di presiedere e
rappresentare la propria Loggia; terminato il mandato perdono la facoltà di
iniziatori. Nessun Ex Maestro Venerabile, e in generale nessun Maestro, può
iniziare un profano all’Arte Muratoria se non è il Maestro Venerabile in carica
della Loggia in cui viene accolto il profano, mentre un Iniziatore martinista,
genericamente parlando, possiede tale facoltà, inoltre, almeno questo vale nel
SOGM, un Iniziatore non corrisponde necessariamente con il Filosofo, ovvero con
chi presiede una Loggia. Questa prima differenza delinea già uno spartiacque
netto tra Massoneria e Martinismo e permette di intuire quanto siano differenti
i concetti di iniziazione nell’uno e nell’altro sistema, più specificatamente
nel Martinismo al primo grado si parla di associazione, mentre in Massoneria si
parla di iniziazione solamente per il primo grado, mentre per i successivi si
parla rispettivamente di “aumento di paga” ed “elevazione”, facendo così capire
che l’iniziazione massonica coincide con il momento in cui, dopo aver visto la
Luce, il profano viene accolto dalla collettività dell’Ordine come Libero
Muratore. Un’altra pregnante differenza tra le due vie è la dimensione del
lavoro, che in Massoneria è prettamente collettiva, mentre nel Martinismo è
individuale; a volte questa differenza è proprio ciò che spinge alcuni massoni
a cercare nel Martinismo una dimensione maggiormente profonda nel lavoro
individuale che permetterebbe di colmare le lacune legate al lavoro collettivo.
Ora, sebbene l’impulso iniziale di questa scelta possa essere salutare, non
bisognerebbe cadere nell’errore di sottovalutare la dimensione collettiva,
perché se il massone disprezza il lavoro comune farebbe bene a porsi in sonno.
La pratica della Libera Muratoria avviene in una dimensione esclusivamente
collettiva, in cui i lavori della propria Officina debbono essere frequentati e
in maniera proficua, non solo perché i Regolamenti prescrivono ciò in maniera
vincolante, ma anche perché se ciò non avviene decade completamente il senso
dell’appartenenza massonica. E’ nella cadenza costante delle Tornate di Loggia
che la Massoneria si vivifica come sistema di crescita tradizionale, la
partecipazione meditata alla ritualità è un elemento fondante che consente al
Fratello di evolvere nel tempo e di entrare nel cuore dell'Arte Muratoria.
Separati la Squadra e il Compasso e chiuso il Libro Sacro, il Fratello torna ad
operare nel mondo profano cercando di influenzarlo, irradiando le più elevate
virtù massoniche, ma di fatto il lavoro massonico vero e proprio termina lì. Non
esiste, al di là dello studio individuale che viene lasciato interamente alla
discrezionalità del soggetto, una ritualità o una serie di pratiche che
permettano ad un massone di "operare" in qualche modo la Libera
Muratoria, questo almeno è ciò che avviene nella Massoneria regolare, autentica
e tradizionale. L'appartenenza martinista invece pare fondarsi proprio sulla
costante ripetizione della pratica individuale, nella forma della ritualità che
viene consegnata all'Associato e nei gradi seguenti. Il martinista vive una
dimensione collettiva su un piano sottile innanzitutto, solo successivamente,
in misura minore e senza obbligo alcuno vive anche una dimensione collettiva
fisica che si esplica nelle riunioni di Loggia o di Gruppo, laddove ci sia
questa possibilità. La crescita di un martinista viene resa possibile dalla
vivificazione dei carismi iniziatici ricevuti personalmente dal proprio
Iniziatore solo attraverso una integerrima pratica della ritualità quotidiana e
mensile, all'interno della quale si viene a conoscere in misura molto profonda
la dimensione collettiva intesa come appartenenza alla catena eggregorica della
quale il Fratello/Sorella diventa, con il progredire dei suoi lavori, anello
sempre più temprato. E' fondamentale cogliere questi due aspetti perché parlano
molto dell'identità delle due Fratellanze e permettono di meglio apprezzarne i
punti di contatto.
L’APPRENDISTA E L’ASSOCIATO
Ritorniamo alla domanda iniziale: quali tipi di affinità
sussistono tra il grado di Apprendista Libero Muratore e il grado di Associato
Incognito? Per fornire spunti parziali di riflessione ritengo opportuno partire
dall'analisi di alcuni aspetti rituali e simbolici del primo grado della
Massoneria Azzurra che paragonerò ad altri aspetti propri del grado di Associato
Incognito, ma sempre tenendo bene a mente che non esiste una propedeuticità di
qualche tipo, semmai il Martinismo opera in una dimensione maggiormente
verticalizzata. Il grado di Apprendista racchiude nel proprio simbolismo il
seme e le basi di tutta l’Arte massonica, ecco perché si tende a lavorare per
lo più in primo grado nelle Logge. Il rituale di iniziazione ricorda ad ogni
Fratello il lungo iter passato per potersi avvicinare all'Istituzione, le
attese e le molte interviste affrontate in fase di tegolatura, fino al fatidico
momento in cui l'attesa snervante cessa e di colpo ci si ritrova catapultati in
un nuovo mondo. Ogni volta che si assiste all'iniziazione di un profano si
ritorna a quei momenti e si rimette in discussione il proprio essere massoni,
specialmente rammentando il momento probabilmente più drammatico
dell'iniziazione massonica: il Gabinetto di Riflessione. Nell'economia del
simbolismo rituale la permanenza nel Gabinetto (che nella ritualità di famiglia
Scozzese è riccamente decorato di simboli) è probabilmente il momento più
vicino all'intimità e alla solitudine di un Associato Incognito perché in quei
lunghi minuti che separano il profano dal dramma rituale che verrà, il
candidato all'iniziazione rimane solo con se stesso nell'oscurità a riflettere
sulle proprie scelte, paradigmizzate dalle tre domande del testamento. Il
Gabinetto di Riflessione rappresenta il primo dei quattro viaggi simbolici che
il profano compie durante la propria iniziazione. I successivi tre viaggi avvengono
nel Tempio, bendati, ma il primo avviene nel profondo delle proprie paure,
nelle viscere dell'elemento Terra e da il via alla radicale opera di
purificazione dalle scorie della profanità per predisporre il recipiendario
alla visione della Luce. La purificazione con gli elementi nella ritualità
massonica è simbolica, ma per un Associato Incognito avviene costantemente
nell'arco di tutta la sua vita martinista. Anche l'Associato, seppure in
maniera differente, compie i quattro viaggi e le quattro purificazioni degli
elementi nel rituale di associazione, ma mensilmente, in luna nuova, continua
l'opera di purificazione che non è solo simbolica ma effettiva; esiste un certo
parallelismo nei processi di creazione di un Apprendista e di un Associato:
l'Associato vive la propria "tegolatura" come un confronto con sé
stesso e i propri peccati nella Meditazione dei 28 giorni, viene consacrato dal
proprio Iniziatore che lo associa all'Eggregore e compie successivamente la
purificazione degli Elementi, è come se alcuni elementi simbolici del percorso
muratorio venissero resi operativi, espandendoli e ripetendoli ciclicamente.
Questo ancora una volta dimostra come il percorso massonico avvenga in una
dimensione orizzontale e geometrica, come ci ricorda molto bene Arturo Reghini,
mentre il percorso del Martinismo è finalizzato alla verticalizzazione
dell'esperienza iniziatica. Il rituale di iniziazione all'apprendistato
massonico prosegue, dopo le prove legate ai viaggi elementali, dopo il
giuramento sulla coppa delle libagioni che scava uno spartiacque invalicabile
tra la profanità e l'iniziazione (elemento presente anche nella ritualità
associativa del Martinismo), con la tanto attesa visione della Luce. Il profano
viene sbendato e poco dopo le luci del Tempio si accendono e i futuri Fratelli
mostrano il loro volto. Dopo la Promessa Solenne l'iniziando viene condotto al
cospetto del Maestro Venerabile che, con la spada fiammeggiante e il maglietto,
inizia il profano alla Libera Muratoria e lo crea Apprendista. Ho già scritto
in merito alla profonda differenza che sussiste tra il potere iniziatico
delegato di un Maestro Venerabile in una Loggia massonica e il potere
iniziatico effettivo e personale di un Superiore Incognito Iniziatore. Non
starò a insistere tuttavia sul fatto che l'iniziazione massonica sia virtuale
rispetto a quella martinista, in realtà sono due cose diverse, ognuna
finalizzata al proprio scopo, quindi un confronto diventa plausibile
esclusivamente sotto gli auspici dello spirito che anima il presente lavoro, in
cui ci immaginiamo un massone, nello specifico Apprendista, che cerca di vivere
con coerenza la sua vita massonica e la sua vita martinista. Ritorna ancora una
volta l'idea di un piano orizzontale della Massoneria, in cui viene data la
Luce, simboleggiata da una serie di simboli (le Tre Luci al centro della
scacchiera e dietro all'Ara, il Triangolo luminoso dietro al Maestro
Venerabile, i due Luminari ai lati del Triangolo) per il tramite un sistema
corporativo di delega iniziatica con l'ausilio di un altro simbolo, la spada
fiammeggiante. Come “riceve la Luce” un Associato al Martinismo? L’innesto di
un individuo nella catena martinista riverbera come un’onda e abbraccia la
lunga catena che va dai Maestri passati, conosciuti e sconosciuti, passando per
tutti gli anelli attivi fino a ritornare al nuovo arrivato, il nuovo Associato
Incognito, che non la riceve vedendo i suoi nuovi Fratelli e Sorelle e i
simboli, bensì si vela al mondo profano per ricevere il carisma della Vera Luce
e per apprestarsi a divenire ricettacolo del Fuoco dello Spirito e Luce egli
stesso. E’ un dinamismo che possiede un momento angolare diverso, non mi viene
in mente null’altro se non la verticalità in rapporto all’orizzontalità.
La vita in Loggia di un nuovo Apprendista è caratterizzata dal
silenzio, la regola impone infatti, senza eccezione alcuna, che gli Apprendisti
non abbiano diritto di parola in Officina durante i Lavori, ovvero quando la
Squadra è sovrapposta al Compasso. Il silenzio dell’Apprendista viene vissuto
come la ricerca dell’autocontrollo finalizzato alla riflessione profonda in
seguito all’ascolto, solo tacendo (il Silenzio è uno dei voti ermetici) egli
può udire la voce della sua coscienza e imparare a spogliarsi dei metalli e a
lavorare la Pietra Grezza. L’Associato Incognito ha già superato la soglia nel
silenzio, nel senso che già è entrato nel profondo della sua coscienza e si è
confrontato coi suoi demoni, rivestito dei simboli comuni a tutti i gradi del
Martinismo egli è pronto, col beneficio della protezione eggregorica e col
carisma trasmessogli dal suo Iniziatore, a navigare nell’immenso mare del
silenzio iniziatico, cullato dal salmodiare dell’opera cardiaca. Il lavoro
operativo dell’Associato è cardiaco, per lo più, e nella preghiera si rende
liquido il muro che separa il suono dal non suono e si entra nel suono del
cuore, preceduto dal silenzio della mente. L’Apprendista impara la disciplina
orizzontale del silenzio, osservando il movimento dei Luminari e degli astri
nella mappa geografica del cosmo che è il Tempio; dalla posizione della sua
Colonna tace e impara l’alfabeto dei simboli che parlano al cuore, egli infatti
“non sa né leggere né scrivere”, egli sgrossa a fatica la Pietra Grezza e cerca
di trovare un senso ed una geometria nelle mappe del macrocosmo, fino a che non
si accorgerà di essere il burattinaio di se stesso e allora si troverà
d’improvviso al centro delle Tre Luci. Nel centro della scacchiera, dove i
sentieri della Luce convergono, l’Associato che sia anche Apprendista
Sgrossatore di Pietre, non si limita ad osservare il macrocosmo attorno a sé,
ma realizza di essere il riflesso di quel macrocosmo e si identifica col Quadro
della sua Camera innalzando sopra di sé lo sguardo. Egli allora scopre che il
soffitto della Loggia si apre sull’infinito cielo stellato e lì, nel silenzio
della sua condizione, chiama a sé la Luce dall’alto per trasportarla in basso e
poi trasmetterla in ogni direzione. E’ nella consapevolezza della verticalità
che l’Associato impara il rito della Croce detta cabalistica. Ma si badi bene,
e lo ripeto per l’ennesima volta, che questo non significa suggerire un nesso
di causa ed effetto tra lavoro muratorio e lavoro martinista, questo può
accadere se si percorrono le due vie, ma può benissimo accadere anche se ne viene
percorsa una delle due o nessuna.
L’OFFICINA, IL TEMPIO, IL QUADRO
IL GREMBIULE E IL MANTELLO
In questa disamina non possono mancare cenni all’abbigliamento
rituale delle due tradizioni; è l’elemento che forse più porta a riflettere,
spesso compiendo arbitrari accostamenti che però si rivelano poco plausibili,
come quello tra Maschera e cappuccio. La Maschera del martinista, presente ai
piedi di una delle due Colonne del Tempio e indossata in determinati contesti
rituali, indica l’abbandono della propria personalità profana per divenire
“Incogniti”, Sconosciuti, come ci ha insegnato il nostro Venerabile Maestro
Passato Louis-Claude De Saint Martin; questo atteggiamento favorisce la
spoliazione dai “metalli” che appesantiscono la nostra profanità al fine di
ascendere e trascendere l’orizzonte visibile degli eventi di questo mondo; in tal
senso la Maschera diviene anche “lente” che permette di vedere le cose al di là
dei punti di vista. Il cappuccio massonico invece ha principalmente una
funzione strumentale legata alla necessità di non svelare l’identità profana
dei Fratelli all’iniziando cui la Luce viene data gradualmente. Quando nel
rituale di iniziazione il profano è bendato i Fratelli sono a volto scoperto,
ma non appena gli viene tolta la benda si trova circondato da massoni
incappucciati, i quali si tolgono il cappuccio “al terzo colpo” del maglietto
del Maestro Venerabile, segno che la Luce scaturisce pienamente e liberamente a
beneficio dell’iniziando che è in grado finalmente, in virtù della Luce che
viene dall’Oriente, di rileggere il mondo con gli occhi della Fratellanza. E’ importante
sottolineare che in un consesso massonico l’identità profana non viene
cancellata o celata, piuttosto viene rettificata e sublimata, illuminata dalle
virtù muratorie; il massone concorre direttamente a portare un raggio di Luce
nel mondo poiché sa utilizzare gli strumenti del mestiere con i quali egli
misura se stesso e il mondo, sgrossa, livella, circoscrive, costruisce. Il
massone nella Loggia e nell’Obbedienza viene conosciuto col proprio nome
profano, non assume uno ieronimo. Nella catena martinista, all’atto
dell’associazione, si assume un nome iniziatico che rimane per sempre la
propria “maschera” e che, insieme alla maschera vera e propria, pur celando,
non nasconde ciò che non deve essere visto, ma oscura ciò che ai fini del
lavoro iniziatico è illusorio; si tratta di una differenza sottile ma
pregnante, senza contare che comunque benda e cappuccio massonici mantengono un
utilizzo circoscritto ad un dato frangente rituale per poi scomparire, mentre
la maschera trova posto addirittura sull’altare e tra i simboli fondamentali
del Martinismo. Il mantello del martinista, come quello dell’Eremita dei
Tarocchi, protegge dalle influenze esterne e completa il compito isolante della
maschera, in questo senso è decisamente più affine al paramento massonico per
eccellenza, il Grembiule, il quale ha una valenza protettiva essendo strumento
da lavoro e va sempre indossato, insieme ai Guanti, durante i Lavori
architettonici; in particolare l’Apprendista indossa il Grembiule con la
bavetta rialzata, per indicare la maggiore protezione cui deve essere soggetto
durante il suo lavoro caratterizzato dall’inesperienza; un surplus di
protezione che viene garantito anche all’Associato diligente che ancora non è
pienamente agganciato alla catena ma ne è associato. Inoltre il Grembiule
dell’Apprendista, così indossato, raffigura la sagoma della Pietra Cubica a
Punta (che unisce il Quadrato al Triangolo), prefigurando successivi segreti
del mestiere. La “divisa” martinista è caratterizzata dall’Alba e dal Cordone,
di diversi colori a seconda del grado, quello da Associato è nero. Analogamente
il Grembiule varia nel colore e nelle decorazioni a seconda del grado;
l’Apprendista ha un Grembiule bianco. Potrei azzardare dunque che il Grembiule
racchiude in sé le funzioni del Mantello e del Cordone martinista, mentre i
guanti, simbolo di purezza, si avvicinano alle accezioni dell’Alba; il
complesso relativo alle capacità simboliche dell’Apprendista, all’ordine del
suo grado e all’obbligo del silenzio possono essere in certa misura paragonate
all’uso della Maschera e del Cordone; ovviamente non è possibile redigere una
tabella esatta di corrispondenze ma solo evocare analogie che si arricchiscono
col lavoro meditativo. Non bisogna inoltre dimenticare che il martinista si
avvale di propri strumenti del mestiere che in grado di Associato sono il
Pentacolo, il Vangelo di Giovanni e il Lume individuale, ma lascio ai Fratelli
e Sorelle ulteriori riflessioni in merito a possibili analogie con gli
strumenti del mestiere a disposizione dell’Apprendista, in quanto se è vero che
gli strumenti massonici derivano dai tradizionali strumenti dei mastri
tagliapietre operativi, è altrettanto vero che il martinista, fin dal grado di
Associato, si avvale di strumenti che non è possibile citare in questa sede,
non per desiderio di segretezza, ma per necessità di non impoverire la forza di
tali strumenti e lasciarli velati sotto il Mantello legato dal Cordone.
CONCLUSIONI
La storia del Martinismo ha purtroppo offerto, e continua ad
offrire, tristi esempi di come i famosi cavoli a merenda siano sempre fuori
luogo, e la storia della Massoneria non è certo da meno. Quando queste due
venerabili e rispettabili Fratellanze si incontrano, emergono spesso più ombre
che luci. Molti dei Maestri Passati del Martinismo hanno tentato improbabili
connubi docetici e operativi con la Massoneria, più spesso tralasciando la vera
Massoneria, che è quella Azzurra e Simbolica, per addentrarsi in un arcobaleno
di gradi di perfezionamento senza capo né coda. E’ facile scambiare i ruoli e
pretendere di innestare elementi estranei negli alti gradi di certa Massoneria,
salvo dimenticare che la Libera Muratoria non prevede in alcun modo la pratica
della preghiera, della terugia e del sacerdozio. Forse alcuni caratteri di queste
funzioni vengono esplorati a livello speculativo, ma la Massoneria non ha come
scopo il perseguimento e la pratica di queste strade, mentre il Martinismo va
in questa direzione, sebbene ogni singolo martinista sia libero di scegliere in
quale direzione andare in base alle proprie attitudini. Nulla vieta che un
Associato rimanga tale per il resto dei suoi giorni se nel grado trova la sua
quadratura, mentre un Apprendista Massone è destinato prima o poi a fare,
massonicamente parlando, carriera, si tratta di un meccanismo inevitabile.
Nelle parole parole di certi Maestri Passati invece è rimasto un tesoro che
denota la ponderatezza di chi ha saputo vivere dimensioni differenti
integrandole nella propria esperienza individuale. Questo è il duro lavoro che un
martinista e massone dovrebbe fare, misurare l’orizzonte del macrocosmo per
sgrossarlo fino a trovare il microcosmo e al tempo stesso scrutare le immense
altitudini e i più profondi abissi dentro di sé affidandosi a Dio e al
Riparatore. La Tradizione ci insegna che edifici troppo alti e stretti, troppo
verticali, sono destinati a crollare come la Torre dei Tarocchi, mentre il fumo
dell’incenso sale verso Dio ed è a lui gradito. Insomma, ogni cosa al suo
posto.
A tutti gli Associati Incogniti che hanno l’onore di essere anche
Artigiani Liberi e di Buoni Costumi, auguro di trovare sempre la strada tra i
quadrati bianchi e neri che porta alla Tavola da Disegno. E’ lì che si fa notte
e si rompono gli indugi e la bussola impazzisce, è lì che inizia la scalata.. nell’Abisso.
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