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“Ricordo ancora quanto molti anni fa mi trovai, a Roma, innanzi a colui che sarebbe divenuto, per sua sventura, il mio iniziatore. Questi, con il fare sbrigativo e scostante che gli è proprio, mi chiese come mai volevo essere associato al martinismo. La mia risposta fu che stavo cercando il cristianesimo esoterico. Dopo alcune domande, attorno alla mia vita e alla mia professione fui congedato. Mentre sul treno, mi accingevo a tornare nella mia Toscana ricevetti una telefonata. Era il mio futuro iniziatore che mi convocava la settimana successiva per fornirmi la meditazione dei 28 Giorni. Mi chiesi, infastidito, come mai non mi era stata consegnata in quel nostro primo incontro, ma ben presto imparai che le vie dell’iniziazione sono spesso diverse da come noi le immaginiamo. Dopo la mia iniziazione passai i miei migliori anni di vita martinista da “isolato”, successivamente il servizio nei confronti dell’Ordine mi portò alla responsabilità verso fratelli e sorelle. Devo ammettere che la felicità da quel momento è stata messa a dura prova.“
Vi sono molteplici motivazioni per cui si giunge alle soglie
dell’Ordine Martinista. Alcune di queste sono dettate da pulsioni sociali, da
necessità di essere accolti, dal bisogno di essere compresi, altre da autentico
Desiderio di percorrere una via iniziatica tradizionale. Ovviamente le prime,
per quanto umane e comprensibili, sono in se e per se non adeguate e,
auspicherei, non ricevibili. Un Superiore Incognito Iniziatore esperto
cercherà, per quanto possibile, di portare all’evidenza del bussante la reale
motivazione che lo spinge alla soglia del Tempio. Sottilmente cercherà di farlo
desistere quand’essa risulta essere inadeguata o insufficiente rispetto al duro
cammino che l’iniziazione comporta. Attraverso l’attesa si provvederà a far
maturare e sedimentare la domanda, attraverso il rimandare si cercherà di
saggiarne la volontà iniziatica, oppure si valuteranno gli adempimenti e gli
inadempimenti, nel completare le fasi preparatorie all’associazione. Amo sempre ricordare che non siamo qui per fare
beneficienza, e neppure per sostituirci a qualche gruppo di supporto
terapeutico o psicologico, quanto piuttosto per trovare uomini e donne
meritevoli di ricevere l’iniziazione martinista, ed essere a loro volta i cuori
pulsanti e vivificanti della nostra tradizione. Ecco quindi che dobbiamo
valutare colui che desidera divenire nostro fratello, e ciò è fattibile grazie
all’analisi delle motivazioni che lo spingono, in quanto sintomi del tipo di
uomo che sotto tali agiti si cela.
Norbeto Bobbio ebbe a scrivere:” Il dato di fatto è questo: gli uomini sono tra loro tanto uguali
quanto diseguali. Sono uguali per certi aspetti, diseguali per altri. Volendo
fare l’esempio più familiare: sono eguali di fronte alla morte perché sono
tutti mortali, ma sono diseguali di fronte al modo di morire perché ognuno
muore in modo diverso.”
Parole vere, ed applicabili anche al contesto iniziatico. In
quanto nelle nostre Logge operano fratelli che non sono astrattamente iniziati
avulsi dalle contingenze del mondo, bensì vivono, come tutti gli altri, in una
società che detta tempi e regole.
Ogni uomo è eguale innanzi ai due estremi della vita (nascita
e morte), e certamente ogni uomo è degno di rispetto nella sua umana sofferenza
ed aspirazione di vita. Al contempo ogni uomo è diverso innanzi alle cose dello
spirito. E’ sufficiente osservare la nostra cerchia di amicizie, per scoprire
colui che ha sensibilità verso questioni sottili, ed individuare colui che
invece è refrattario ad ogni argomento che esula dal fallace tangibile del
quotidiano. Così come la vita profana ci insegna che esistono ruoli e funzioni,
per uomini dalle diverse attitudini, così la vita iniziatica dovrebbe suggerire
che non è possibile concedere tutto a tutti, perché in realtà niente si
concede, ma tutto si priva. La via iniziatica non è una via di immediato
accrescimento, ma una via inizialmente di spogliazione. Solo quando l’essenza
dell’essere sarà porta alla luce, liberandosi dall’involucro psicologico, essa,
come un seme, germoglierà: permettendo a quell’unico fiore che noi siamo di sbocciare. Siamo sicuri che tutti, coloro che bussano,
anelano a ciò?! Oppure hanno la possibilità di conseguire ciò?!
L’insieme di ciò che è richiesto al bussante, o che dovrebbe
essergli richiesto, in relazione al tipo di percorso che lo attende, prende il nome
di qualificazioni iniziatiche. Ecco quindi che esse non debbono, erroneamente,
essere intese come un qualcosa di esterno ed ostativo, ma bensì come quei
talenti di evangelica narrazione, che debbono essere debitamente, se posseduti,
impegnati. In quanto non vi è dolo nel non possedere le qualificazioni, ma vi è
dramma nel dissiparle.
Quali
sarebbero le qualificazioni iniziatiche di cui un bussante al martinismo deve
essere munito?
Esse si
possono suddividere in caratteristiche psicologiche, ed in qualità spirituali.
Fra le prime
troviamo la stabilità e l’equilibrio. L’associando deve avere una vita sociale
e affettiva solida, non fonte di eccessivi turbamenti, capace di dare quelle
giuste soddisfazioni, o almeno che non sia fonte di perniciose devianze o
frustrazioni. Anticamente solamente colui che era sposato, ben inserito
all’interno del proprio contesto sociale, e non soggetto all’altrui dominio o
ricatto, era ammesso all’iniziazione. La libertà dello Spirito certo non è la
libertà dalle cose di questo mondo, ma indubbiamente rendendoci schiavi, delle
cose di questo mondo, difficilmente potremo aspirare alla prima. La stabilità, maturata nel quotidiano,
comporta quell’equilibrio interiore necessario per permetterci di operare
proficuamente con gli strumenti che l’Ordine mette a disposizione. Essi non
sono certo vuoti rituali, ma potenti utensili con cui incidere i veli della
lusinghiera ignoranza in cui siamo avvolti. Il nostro rituale di loggia recita “Tutto
è calmo ed in pace, tutto è giusto e perfetto”, a significare che
questo stato di calma interiore, conduce alla pace e al riposo nelle benevoli
braccia dello Spirito. Possibile che tutto ciò sia conseguito da colui che in
se cova disagi e disordini psicologici? L’esperienza mi porta a dubitarlo. In
realtà colui che è instabile nella vita profana, tenderà ad accentuare tale
condizione psicologica: giungendo a compromettere se stesso, e la tenuta di
tutta la catena.
La terza
qualità psicologica o caratteriale è la capacità di attendere. Vi sono
Postulanti che richiedono l'Iniziazione e dopo un lasso di tempo
incredibilmente breve pretendono di dare lezioni di docetica, oppure pressano
per essere passati di grado. Anche in questo caso la via martinista non è, o
non dovrebbe essere, per loro. A tali personaggi, che non sanno attendere, che
non comprendono come sia necessario farsi coppa, possiamo solamente suggerire
di indagare attorno alla propria bramosia. E’ necessario lasciare i metalli,
fra cui l'ambizione e l'ego, oltre la soglia del Tempio. E’ necessario, nei
primi scalini della piramide rituale, operare al fine di smussare, integrare,
separare, ogni elemento grossolano e spurio che contamina la nostra divina
natura. Il lavoro rituale martinista, così come io lo intendo, è cadenzato dal
severo ritmo della progressione dei giorni, dell’alternanza delle stagioni.
Questi tempi non possono essere forzati, queste misure non possono essere
alterate. La vetta di una montagna, raggiunta con mezzi non congrui, non è
sinonimo di conquista ma di fallimento ed inganno. Ovviamente, tali qualifiche
necessarie ed indispensabili, devono essere attentamente valutate da parte di
colui che governa ed amministra. Vediamo fin troppi esempi di confusione e
mistificazione, proprio in virtù di valutazioni non piene e sagge
La quarta
qualità, di questo primo insieme, é la fermezza. Magari il Postulante ha un
carattere stabile, é socialmente inserito nel tessuto sociale, ma non é fermo
nella sua risoluzione di lavoro interiore. In questo caso, il postulante è
volubile, lunatico, incapace di impegnarsi nella operazioni giornaliere corrispondenti
al grado che ricopre nella catena martinista. Tale difetto caratteriale lo
porterà a trovare sempre nuove scuse per rimandare, o per evitare, i compiti
assegnati. Inizialmente agirà la pigrizia, che suggerirà tempi sempre più
ristretti da dedicare ai rituali. Successivamente subentrerà lo scetticismo in
merito alle operazioni, alla docetica, e alla filosofia del Nostro Venerabile
Ordine. Infine compariranno superbia ed orgoglio che lo porteranno a rompere
ogni contatto fraterno. Al contempo non è possibile
pretendere che un essere umano si impegni in un rituale giornaliero, quando non
dispone della capacità e volontà di disciplinarsi. Non possiamo credere, o
auspicare, che egli colga il sommo valore della purificazione mensile, quando
egli per primo vive costantemente in una situazione di dissolutezza e
confusione. Non possiamo certamente ritenere che colui che persevera in una
condizione di vita frammentata, possa intraprendere il nostro cammino. Il quale
prevede una tendere alla reintegrazione della nostre parti scisse, e non certo
alla disgregazione, all’esaltazione, alla allucinata manifestazione dell’ego.
Qualora
accada che una persona sprovvista dei requisiti, sopra menzionati, abbandoni il
percorso non mi lamento troppo: un albero sano è una pianta che muta la chioma,
e indirizza la linfa vitale a quei rami capaci di dare frutto. Il nostro primo
proposito è la trasmissione e la salvaguardia della compiuta iniziazione
martinista, rispetto ad essa tutto è secondario e funzionale.
Quanto,
brevemente, esaminato in precedenza è ascrivibile alle necessarie qualità
psicologiche che il bussante deve avere per potersi impegnare su di un cammino
iniziatico. Non credendo il sottoscritto ad una sostanziale comparabilità fra i
diversi cammini, e ciò per semplice spirito di osservazione e mancanza di
asservimento al politicamente corretto che tanto imperversa anche nei nostri
ambienti, ritengo necessario che colui che aspira a divenire prima associato,
poi iniziato, ed infine adepto di una particolare Gnosi, debba possedere delle
peculiari qualificazioni spirituali. Concetto assai poco comprensibile per quei
molti dispersi in fugaci e scomposte esternazioni, in cui di ama parlare di Filosofi di Unità, di
eguaglianza a prescindere da mezzi e possibilità, di impegno sociale e di apertura
al mondo profano. Ancora le qualificazioni spirituali poco valgono per colui
che ritiene che comunque tutto è assimilabile nella forma, per chi, saltando da
ambito ad ambito, non cerca la conoscenza in esso raccolta ma un luogo dove
depositare le proprie elucubrazioni o cercare ribalta.
Eppure la
ragione d’essere di un Ordine Iniziatico o di un’Obbedienza non risiede in ciò
che ha in comune con altri Ordini od Obbedienze, ma in ciò che da essi
deferisce. In quanto se a fondamento, dell’esistenza stessa di tali strutture,
poniamo quanto è inevitabilmente eguale, allora non vi sarebbe motivazione alla
molteplicità dei depositi, delle forme, e dei rituali. Ovviamente per alcuni di
essi non vi è altro motivo di esistenza che l’ego di taluni, ma avendo io riguardo
a quanto è sano e non quanto è malato, ritengo che è nella varietà la ricchezza
e non nella mortifera livella della eguaglianza e fratellanza formale. Gli
Ordini e le Obbedienze, qualora sani e tradizionali, incarnano aspetti
filosofici ed operativi peculiari, in quanto molteplici sono i tipi di uomo a
cui si rivolgono. Discende da ciò che le qualificazioni sono necessarie,
proprio perché ad ogni percorso corrisponde un tipo d'uomo, ed ad ogni tipo
d'uomo corrisponde un percorso. Poniamo che decidiamo di giungere sulla vetta
della montagna. Sarà in virtù della nostra capacità, costituzione fisica, e
intelligenza che sceglieremo la via a noi maggiormente congeniale. Coloro che
ritengono che non sussista qualificazione inevitabilmente procederanno lungo
una via che si tramuterà, per loro, in danno e dolore. Fin qui poco male, tutto
rientra all’interno di quel rigido meccanismi di causa ed effetto, ma qualora
queste persone sono inserite all’interno di una catena, ed esercitano un ruolo
che non gli è proprio, allora il dramma si ripercuoterà su molti. Disastro
ancora maggiore qualora colui che è inadeguato, a causa di non comprensione o
convenienza, si è ritrovato, ed i casi non sono rari, in posizione di governo
rispetto ad altri. Un cattivo iniziato sarà, inevitabilmente, un cattivo
maestro.
A proposito di questo pregnante argomento propongo un estratto di R. Le
Forestier ("La Massoneria
Occultistica nel XVIII secolo e l'Ordine degli Eletti Coen"): "Per quanto fossero importanti le cerimonie delle
Operazioni: prosternazioni, incensamenti, invocazioni con preghiere, tuttavia
esse non erano del tutto efficaci; erano necessarie, ma non sufficienti. Per convalidare
la loro azione erano indispensabili tre fattori: la virtù mistica
dell'operante, un'influenza astrale favorevole ed il concorso della
grazia divina. La virtù mistica dell'adepto, a sua volta, dipendeva da
tre condizioni: dal suo stato di grazia, da una soprannaturale
facoltà conferitagli dall'ordinazione, dalla cooperazione simpatica a distanza
dei suoi uguali in iniziazione. La sola precisione della cerimonia non
basta" scriveva Pasqually nel 1768 a Bacon de la Chevalerie "
sono necessarie anche l'esattezza della santità di vita [...] (all'adepto che
vuole entrare in relazione con gli Spiriti), gli occorre una preparazione
spirituale fatta di preghiera, ritiro ed attesa" (V,229). L'Eletto
Coen doveva osservare una "regola di vita" molto ascetica.
Gli era proibito "per tutta la vita", nutrirsi di sangue,
grasso e rognoni di qualsiasi animale, mangiare carne di piccione
domestico (111,76/77). Con estrema moderazione poteva darsi ai piaceri
dei sensi, poiché, per poter giungere al grado supremo, egli doveva astenersi
da qualsiasi materia impura soprattutto dalla "fornicazione (relazioni
sessuali) che crea turbamenti all'anima" (11,105)"
Emerge chiaramente che l’iniziato, il reale iniziato, non deve avere una
visione “rituale centrica”, non considera il rituale, qualunque esso sia, una
sorta di panacea, o grande Totem, in grado di sopperire ad ogni mancanza
morale, intellettuale, o spirituale. Egli inizialmente deve considerare la
propria condotta di vita, e l’attinenza delle medesima agli impegni rituali che
deve compiere. Ecco quindi che emerge il concetto di qualificazione, intenso
non tanto come un “tesoretto” di varie qualità inerte e passivo, quanto
piuttosto come un’assonanza armonica interiore, con il percorso su cui dobbiamo
e possiamo procedere.
Nel martinismo, inteso come realtà operativa, vi è un complesso di rituali
di varia prospettiva. Alcuni volti ad esercitare la teurgia, altri in chiave
prevalentemente mistica, ed altri, infine, chiaramente sacerdotali. Colui che
non ha in se le adeguate caratteristiche spirituali (il silenzio interiore e
l’abbandono per il mistico, la capacità di governo interiore per il teurgo, e
il sacro fare per il sacerdote) si troverà sicuramente nell’impossibilità di
trarre reale giovamento da quanto porrà in essere. Da cui discende il
decadimento del rituale in cerimonia, e dell’opera in farsa.
Altresì le qualificazioni, oltre ad essere necessitare per ricoprire un
determinato ruolo all’interno di una qualsiasi struttura iniziatica, sono
condizione indispensabile e necessaria per essere iniziati. In quanto se è pur
vero che all’interno di una struttura sussistono mansioni diverse per tipi
diversi di fratelli (esercizio del comando, esercizio amministrativo, esercizio
sacerdotale, ecc.. ecc.) vi è comunque una matrice di fondo che unisce i vari
fratelli ad essa aderenti. Matrice di fondo comune indispensabile affinchè
l’Ordine sia realmente iniziatico, e non una semplice associazione umana, o una
pantomina teatrale.
Ecco quindi se il nostro Venerabile Ordine ha come finalità quella di
pervenire alla reintegrazione dell’Uomo, bisognerà che ogni singolo fratello
sia orientato a tale nobile Opera. Al contempo essendo il nostro un percorso
atto a forgiare dei Monaci Guerrieri, si dovrà verificare, nei bussanti, la
presenza di quelle qualità ed attitudini psicologiche e spirituali affini con
tale forma. Attitudine alla celebrazione e comprensione del sacro, servizio nei
confronti dei fratelli, e quella santa virilità atta a difendere il sacro e i
fratelli dagli agenti di prevaricazione.
«Finché scorgerai la minima
macchia, e la minima sostanza opporrà una barriera ai tuoi sguardi, non abbi
riposo perché sia dissipato quest’ostacolo: più penetrerai nelle profondità del
tuo essere, più riconoscerai su quali basi riposa l’Opera»
(«Il ministero dell’Uomo-Spirito», Louis-Claude de Saint-Martin)
(«Il ministero dell’Uomo-Spirito», Louis-Claude de Saint-Martin)
Come non condividere queste profonde parole del Filosofo Incognito. Le
quali ci spingono senza sosta a ricercare il motivo profondo delle nostre
azioni, e del basamento della nostra Opera Iniziatica? La quale, come un
gigante dai piedi di argilla, crollerà rovinosamente qualora poggi sulla
vanagloria, o su di una motivazione estranea all’ordine iniziatico. Quanto
sarebbe utile che ognuno di noi incessantemente si chiedesse di cosa deve
spogliarsi, per essere adeguato al percorso iniziatico intrapreso.
Purtroppo in alcuni ingenui vi è la credenza che il percorso debba essere
comunque offerto, a prescindere dalle qualificazioni richieste. Creando
situazioni di profondo sconforto personale, e alle volte tragiche ripercussioni
per tutto il movimento martinista. Altri ancora ritengono di godere di un
potere tale che possa sopperire ogni mancanza, spirituale o psicologica,
dell’associando. In quanto menzionato, l’accorto osservatore, intravedrà
l’incipiente ombra della rovina: il crollo della torre.
In conclusione di questo breve intervento riporto le parole, che spero
siano per noi tutti fonte di riflessione, di Réne Guénon sulle qualificazioni
iniziatiche:” Bisogna ritornare ora alle questioni che si riferiscono alla condizione
prima e preliminare dell'iniziazione, vale a dire alle cosiddette «
qualificazioni » iniziatiche; in vero, questo soggetto è dl quelli che non è
possibile pretendere di trattare in modo completo, ma possiamo almeno
apportarvi qualche chiarimento. In primo luogo, deve ben'essere inteso che queste
qualificazioni sono esclusivamente del dominio dell'individualità; infatti se
non vi fosse da considerane che la personalità o il « Sè », non vi sarebbe
alcuna differenza da fare a tal riguardo fra gli esseri, e tutti sarebbero
ugualmente qualificati, senza bisogno di fare la minima eccezione; ma la
questione si presenta in modo ben diverso per il fatto che l'individualità deve
necessariamente esser presa come mezzo ed appoggio della realizzazione
iniziatica; in conseguenza, bisogna che essa possegga le attitudini richieste
per rappresentare questa parte, ed il caso non è sempre tale. Se si vuole,
l'individualità non è che lo strumento dell'essere vero; ma, se questo
strumento presenta certi difetti, può essere più o meno completamente
inutilizzabile, od anche esserlo del tutto. D'altronde, non v'è da
meravigliarsi, volendo soltanto riflettere che, anche nell'ordine delle
attività profane (o almeno divenute tali nelle condizioni dell'epoca attuale),
ciò che è possibile per uno non lo è per un altro, e così, ad esempio,
l'esercizio di tale o di tal'altro mestiere esige certe attitudini speciali, in
pari tempo mentali e corporee. In questo caso, la, differenza essenziale è che
si tratta di una attività appartenente al dominio individuale, attività che non
lo oltrepassa minimanete e sotto alcun rapporto, mentre, in riguardo
all'iniziazione, il risultato da raggiungere è invece oltre i limiti
dell'individualità; ma, ripetiamolo ancora, quest'ultima deve non di meno
essere presa come punto di partenza, e si tratta di una condizione cui è
impossibile sottrarsi.”
Tristemente osservo come
taluni, che si definiscono iniziati, siano sprovvisti non solo delle qualità
iniziatiche necessarie, ma anche e soprattutto delle qualità umane. Per questi
il martinismo è divenuto il luogo dove scaricare malumori, frustrazioni,
mitomanie, deliri e fantasie maturate in altre istituzioni. Riversando in esso
quei liquami che hanno contributo proprio a rendere le strutture di origine
delle piante sterili. Ovviamente ciechi nel proprio orgoglio scaricano sugli
altri i motivi della propria inadeguatezza e miseria.
Purtroppo è evidente il
Tallone d’Achille di queste persone, e si può semplicemente riassumere in un
concetto: ”Giunto l’estremo iato della loro vita, rendendosi conto che niente
hanno realizzato, altro non hanno da fare che colpire coloro che ancora cercano
di procedere rettamente lungo la via.”
ELENANDRO XI S:::I:::I:::
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