Il martinismo, così come Noi lo intendiamo, ha la pretesa di fornire ai suoi figli strumenti operativi. Essi necessitano di adeguata erudizione, comprensione nella meccanica, costanza nell’uso e ferrea volontà. Qualora questo quadrilatero (erudizione, comprensione, costanza e volontà) venga meno, l’intera impalcatura verrà a crollare ROVINOSAMENTE. Senza erudizione vi è solamente stolto fare, senza comprensione vi è solamente la forma, senza costanza vi è pigrizia e senza volontà vi è solamente ego. Per questo è necessario, indispensabile, che in ogni istante il fratello si ponga delle doverose domande attorno al proprio livello dell’essere, alla simbiosi raggiunta con gli strumenti forniti e alla sua integrità ed integrazione all’interno della catena eggregorica.
L’associato, così come l’iniziato, necessariamente trova unico elemento di riflessione nella figura dell’Iniziatore, il quale è l’unico deputato a valutare l’attitudine del fratello/sorella all’uso degli strumenti, a suggerire una maggiore o minore sensibilità verso gli uni o gli altri (i nostri strumenti sono compositi e molteplici: teurgici, cardiaci, sacerdotali), a dare indicazioni di studio e a promuovere azioni di sostegno o di interruzione nella pratica individuale.
Ovviamente affinché ciò sia possibile è necessario che il fratello/sorella si mantenga in contatto con l’Iniziatore, il quale non è il PADRE, non è l’AMICO, non è il CONFESSORE. Chi all’interno di un rapporto iniziatico tende a palesare siffatte necessità e ad essere parimenti incline a siffatti riconoscimenti, (in quanto non vi è ingannato in assenza di ingannatore) si pone automaticamente al di fuori di un proficuo scambio formativo. Non è l’Iniziatore che deve ricercare il contatto, in quanto egli ha già permesso alla persona di essere inserita in un determinato contesto, ha già fornito gli strumenti iniziali e ha già avviato (a sue spese) il sottile motore energetico.
Il martinismo che noi auspichiamo è indubbiamente un percorso maturo per individui maturi, per uomini e donne che sono in grado di gestire il proprio tempo, di governare i propri stati d’animo e educare la propria mente. Solamente attraverso questa triplice azione, l’uomo sarà in grado di percorrere realmente un viatico iniziatico, il quale è un punto di partenza e non di arrivo, il quale dovrà porre sul cammino delle pietre di inciampo, delle vette da scalare e dei crepacci in cui discendere. Non vi è successo senza fatica e non vi è gioia in assenza di sofferenza.
La prima fatica richiesta all’associato è il vincere la pigrizia che alberga in ognuno di noi. L’Iniziato deve operare laboriosamente su se stesso, a favore dei fratelli e sommamente servire il Culto Divino. La fatica deve essere continua ed investire ogni particola del proprio essere. La fatica è la misura dell’Opera.
La prima sofferenza che è richiesta all’associato è quello di rimuovere ogni illusione su se stesso, sulle cose tutte e vivere consapevolmente la propria esistenza. Ciò significa liberarsi da quelle comode filastrocche interori e dall’ipertrofico Io che soffocano la nostra Essenza.
Ecco quindi come sia necessaria, oltre alla costante e diligente pratica rituale, anche la continua attività di lavoro interiore sostenuto dall’autosservazione, dalla retrospezione e dall’introspezione. Pratiche assolutamente necessarie affinché l’iniziazione sia reale e i suoi effetti siano sostanziali.
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