"Il termine greco che sta ad
indicare il fato, moira, significa parte assegnata, porzione. Così come il fato
ha solo una parte in ciò che succede, allo stesso modo il daimon, l'aspetto
personale, interiorizzato della moira, occupa solo una porzione della nostra
vita, la chiama, ma non la possiede." (James Hillman)
La natura del rapporto iniziatico martinista
differisce da quella di altre strutture iniziatiche occidentali. Il Superiore
Incognito Iniziatore quando impone le mani sulla testa del recipiendario non
agisce in virtù di un potere delegato da un'assemblea di suoi pari, e non
inizia in nome e per conto di una qualche universalità, ma esercita pienamente,
ed arbitrariamente, un potere che coincide con la sua persona.
L'essere egli stato regolarmente e
tradizionalmente inserito in una catena martinista, il percorso formativo che
egli ha esperito nel corso degli anni, la sensibilità che ha maturato nel
raffrontarsi con i fratelli attorno al corretto impiego degli strumenti
dell'Opera, lo rendono detentore di un reale potere iniziatico. Potere che egli
amministra e impartisce in funzione e nei modi previsti dalla struttura a cui
appartiene. Ecco perchè è da biasimare una certa tendenza, che dovrebbe essere
estranea ad un reale contesto iniziatico, che vuole che la luce sia comunque
concessa a chiunque la richieda. Possiamo capire una tale inclinazione,
comunque degenerata, in quei contesti dove il martinismo è ridotto a mero
discorso, dove gruppi di amici si riuniscono attorno a tre lumicini accesi a
parlare dandosi il tono di esoteristi, in attesa dell’agape susseguente. E’
assolutamente biasimevole in quelle realtà dove il martinismo è ancora,
correttamente inteso, come operativo. Dove si pretende di erudire all’arte e
agli strumenti dell’arte, ed è quindi richiesto al neofita il possedere
determinate qualifiche. L’evidenza porta a considerare che l’assenza di esse
equivale a trattare il diverso da eguale, e l’eguale da diverso, recando doppio
danno alla persona e alla comunità.
L’iniziatore è tale grazie alla costanza nella
pratica dei rituali individuali (giornaliero, di purificazione mensile, di luna
piena, e successivamente equinoziali e solstiziali), che hanno permesso la
progressione nel lavoro di rettificazione e reintegrazione. La doverosa attesa
immerso nelle tenebre, il disvelamento della luce, e il colmare il vuoto
separativo con essa, lo hanno reso sacerdote di se stesso e forte anello della
catena eggregorica giammai interrotta. In virtù di questa profonda
comprensione, dell'aver trasmutato tali accadimenti in esperienza, può egli
stesso aggiungere nuovi anelli alla catena martinista. L'assenza di tali
requisiti sostanziali e formali impediscono ogni passaggio spirituale ed
energetico, e relegano egli, così gli sventurati da lui associati, ad un mondo
di illusione e basso psichismo. In altri termini si depone una maschera
profana, solamente per calarsi sul volto una maschera ancora più terribile ed
insidiosa: quella della falsa iniziazione.
Dobbiamo quindi guardare con sospetto certi
impetuosi avanzamenti, o il fiorire improvviso, similare alla generazione
spontanea, di iniziatori. In quanto spesso mancanti delle qualifiche sostanziali,
se non addirittura di quelle formali, necessarie alla coincidenza fra funzione
e ruolo che tanto hanno la pretesa di assumere ed esercitare. Vorrebbe la
tradizione martinista che vi sia un certo lasso di tempo che deve intercorrere
fra un grado e l'altro, e questo non per punire i meritevoli, del resto nei
recessi dell'ego il mediocre sempre si ritiene più qualificato degli altri, ma
solamente per dare modo che la giusta maturazione proceda rispettosa del ciclo
lunisolare interiore. Alla Luna Nuova segue la Luna Piena, e tutto è compreso
nel grande ciclo solare. Eppure osserviamo che molti non hanno atteso il tempo
dovuto: vuoi per superficialità di taluni che hanno trasmesso quanto non
dovevano trasmettere, vuoi a causa del commercio di patenti che è estraneo ad
ogni cultura iniziatica degna di tale nome. Tale stato delle cose partorisce
simulacri di iniziatori, privi di ogni qualifica sostanziale, impotenti nel
trasmettere la reale iniziazione martinista. Privi del flusso spirituale ed
iniziatico, essi legheranno in base al potere di fascinazione del proprio ego,
e alla risonanza che esercita negli altri: dando inesorabilmente vita ad un
rapporto più prossimo alla psicopatologia che all’iniziazione. E’ utile
sottolineare che questa condizione è a loro ben nota, in quanto nessuno può
mentire a se stesso, come è ben nota nel cuore e nella mente, se non
completamente ottusi e sprovveduti, dei loro figlioletti. Purtroppo raramente
gli uni e gli altri trovano le risorse morali e psicologiche per invertire la
spirale del vuoto e dell’effimero in cui sono precipitati. Regola vuole che in
ambito iniziatico ciò che è acquisito senza merito è inerte, quando non
mortifero. Inerte perchè non collega alla fonte suprema da cui tutto ciò che è
reale promana, mortifero in quanto tali personaggi sono succubi delle proprie
peggiori porzioni psicologiche: la superbia, la gola, l’accidia, e l’invidia.
Tralasciando di scendere troppo in profondità
nella melma dell'effimera apparenza, mutuata da altri ambiti inziatici, è
necessario sottolineare che l'Iniziatore martinista è colui che pienamente si
riconosce nel Servire e nel Sacrificare se stesso per la comunità fraterna. In
ogni istante l'iniziatore si pone al servizio, come meglio crede ed in guisa
della reale crescita dei suoi figli spirituali, delle esigenze della catena
fraterna che egli stesso ha creato. Egli sacrifica il proprio ego,
frapponendosi ad ogni profana istanza, cercando di condurre il fratello lungo
la via del buono spesso costellata di rinunce, e di sofferenza, in quanto
nessuna reale conquista è scevra dal sacrificio personale. Questa la sua
missione, questo il suo dovere, questo il suo obbligo assunto con le sacre
profferte durante l'elevazione. Altro non vi è, e non è possibile per nessun
motivo uscire da tale perimetro.
Il reale iniziatore è colui che
testimonia se stesso, in quanto egli stesso è il risultato del suo operare
attraverso gli strumenti cardiaci, teurgici e sacerdotali che amministra e ha
ricevuto.
Ovviamente se quanto sopra indicato è il percorso
e il gravame del Superiore Incognito Iniziatore, parimenti l'associato deve
essere in possesso di quei requisiti di minima in assenza dei quali non è
possibile che il seme dell'iniziazione martinista possa sbocciare.
Riservando lo studio di questi elementi
sostanziali ad un prossimo lavoro sull'identità martinista, mi limiterò a
ricordare che il martinismo è un Ordine Iniziatico Cristiano, e quindi sarebbe
necessario che il martinista fosse scevro da odio verso tale corrente
spirituale. Duole nei fatti riscontrare in sedicenti martinisti, che
afferiscono alla schiera dei fuori luogo, tanto livore per il Cristo che pure
ha centralità nei nostri lavori. Ancora è doveroso sottolineare che deve
esistere, nel recipiendario, una reale volontà di rettificazione interiore,
volta alla reintegrazione. Nel martinismo non vi deve essere posto per colui
che ritiene di aver già conquistato la vetta, per il solo convincimento
psichico di essere ciò che non è. In conclusione in colui che si associa al
martinismo vi devono essere, in potenza, tutte quelle qualità che fioriranno
nei gradi superiori. Non vi è senso alcuno ad associare colui che sia privo di
questi semi spirituali, visto che non possiamo agire su ciò che è assente o
radicalmente dissonante. Collezionisti di medagliette, grembiuli, gioielli di
loggia, farebbero bene a perseverare nei loro ambiti naturali, onde evitare di
recare ulteriore danno al mondo iniziatico occidentale. Il quale ha avuto, e
tanto ha, da soffrire proprio a causa di commistioni perpetrate da coloro che
vivono l’iniziazione in un ambito esclusivamente psicologico.
Solamente con la presenza di elementi sostanziali
e formali, nella giusta ed armonica misura, da parte dell'Iniziatore e del
recipiendario si determina, e permette di essere fruttifero per entrambi, il
rapporto iniziatico. Il quale non può essere il frutto di un costrutto mentale,
effimero, stabilito a priori, ma, come tutte le relazioni umane, un qualcosa di
dinamico, vitale, in perenne mutamento. Iniziatore e recipiendario mutano, e
con essi muta il rapporto iniziatico. Il non avverarsi di ciò è indicativo di
una situazione stagnante, di blocco, che il più delle volte degenera perdendo
sostanza spirituale.
Ecco quindi che l'Iniziatore si riconosce
nell'iniziato, e l'iniziato si riconosce nell'iniziatore. Tanto maggiore è
questo rapporto, tanto più evidente sarà l'impronta dell'iniziatore che
permetterà al meglio di sviluppare quelle qualità che in potenza sono insite
nell'associato.
Da queste poche parole si evince che
l'iniziazione martinista non è universale, ma ha in se elementi di peculiarità
che afferiscono a due diversi punti di origine.
Il primo è rappresentato dalle specificità della
struttura in cui il Superiore Incognito Iniziatore opera. La struttura
rappresenta l’aspetto formale, teso a raccogliere l’eredità docetica ed
operativa martinista, ed evidentemente ogni struttura articola in modo
funzionale alle proprie esigenze questo insieme iniziatico. E’ necessario
comprendere che ogni struttura inevitabilmente differisce dalle altre, in virtù
delle linee iniziatiche detenute, della trasmissione rituale di cui è stata
investita e di cui è punto di irradiazione, del governo eggregorico della
Grande Maestranza, e dei rapporti e deleghe che legano i vari Superiori
Incogniti Iniziatori ad essa. Incidentalmente sarebbe utile che il bussante si
interrogasse a priori attorno agli elementi evidenti della struttura in cui
desidera essere accolto, onde evitare, vista la varianza che sussiste, di
trovarsi poi inserito in un percorso a lui dissonante. Come del resto colui che
è sulla soglia dovrebbe ben valutare il bussante, onde preservare lui e
l’Ordine da disarmonici rapporti, che spesso tracimano per sconfinare
nell’umana recriminazione.
L’altro elemento è rappresentato dalla
prospettiva e dalle sensibilità dell’iniziatore, dal modo con cui questi
attualizza il corpus filosofico ed operativo che ha ricevuto, dal suo
comunicare (avvicinare al sacro) ai figli spirituali. Per quanto possa sembrare
ovvio, in genere si tende a dimenticare che il martinismo è un perimetro
operativo e non una scuola psicologica invasiva, la formazione che vi si riceve
verte sugli strumenti d’opera. E’ quindi perfettamente ovvio che ogni
Iniziatore differirà in virtù dello snodarsi della propria vita, e dei talenti
da esso detenuti. Questa è la vita, profana o iniziatica che sia, e non
possiamo sfuggire all'azione plasmante delle forze interne ed esterne che tendono
a fare di noi un qualcosa di unico. Possiamo indirizzare queste forze,
schermarle, rettificare i nostri elementi, e tutto questo si traduce nel
forgiare un uomo nuovo, ma comunque unico. Ricordiamoci come il Maestro
Michelangelo vedeva la scultura nel blocco grezzo di marmo. Ogni blocco è
qualcosa di unico, così come unica è la scultura. L’iniziato è colui che opera
su stesso, con gli strumenti e l’arte che gli sono stati conferiti. Il genio è
individuale e sempre difforme.
L’insieme di questi fattori, assommati alle
qualità del recipiendario, rendono l’iniziazione martinista cosa unica. La
quale si estrinseca in un rapporto biunivoco e dinamico fra iniziatore ed
iniziato.
Ecco quindi, in conclusione, che il martinismo, o
almeno ciò che io intendo con tale parola, non ha come obiettivo quello di fare
identico meraviglioso fiore da ogni seme, ma permette che da ogni diverso seme,
nella pluralità che è ricchezza, splenda il miglior fiore possibile.
Per ottenere ciò l’iniziatore non deve
prevaricare, ma assecondare. Così come l’associato non deve seguire stoltamente
l’altrui passo, ma comprenderne la direzione.