mercoledì 31 luglio 2013

Introduzione a la Metafisica del Numero di René Guénon


Introduzione a la Metafisica del Numero 

René Guénon



Benché il presente studio sembri, almeno a prima vista, avere un carattere alquanto "speciale", ci è parso utile intraprenderlo per precisare e spiegare più completamente certe nozioni da noi richiamate nelle diverse occasioni in cui ci siamo serviti del simbolismo matematico, e questa ragione basterebbe a giustificarlo senza insistere oltre. Tuttavia, dobbiamo dire che vi si aggiungono altre ragioni secondarie, che concernono soprattutto quel che si potrebbe chiamare l'aspetto "storico" della questione; questo, in effetti, non è interamente privo di interesse per il nostro punto di vista, nel senso che tutte le discussioni che sono state sollevate sulla natura e sul valore del calcolo infinitesimale offrono un sorprendente esempio di quella assenza di principi che caratterizza le scienze profane, cioè le sole scienze che i moderni conoscono e anzi concepiscono come possibili. Abbiamo spesso fatto rilevare che la maggior parte di queste scienze, anche nella misura in cui ancora corrispondono a qualche realtà, non rappresentano nulla di più di semplici residui naturali di alcune delle antiche scienze tradizionali: è la parte più inferiore di quelle che, avendo cessato d'esser posta in relazione coi principi, e avendo perduto per ciò il suo vero significato originale, ha finito per assumere uno sviluppo indipendente e per essere ritenuta come una conoscenza sufficiente a se stessa, benché, in verità, il suo valore peculiare come conoscenza si trovi precisamente ridotto con ciò stesso quasi a nulla. La qual cosa è soprattutto evidente quando si tratta delle scienze fisiche, ma, come abbiamo già spiegato altrove (1), la stessa matematica moderna non fornisce sotto questo aspetto una eccezione, se la si confronta a quel che erano per gli antichi la scienza dei numeri e la geometria; e, quando qui parliamo degli antichi, bisogna comprendervi anche l'antichità "classica", come il minimo studio delle teorie pitagoriche e platoniche basta a dimostrare, o almeno lo dovrebbe se non si dovesse tener conto della straordinaria incomprensione di coloro che oggi pretendono di interpretarle; se questa incomprensione non fosse così completa, come si potrebbe sostenere, per esempio, l'opinione di una origine "empirica" delle scienze in questione, quando, in realtà, appaiono al contrario tanto più lontane da ogni empirismo quanto più si risalga lontano nel tempo, così come accade d'altronde per ogni altra branca della conoscenza scientifica?
I matematici, nell'epoca moderna, e più particolarmente ancora nell'epoca contemporanea, sembrano essere arrivati ad ignorare quel che è il numero veramente; e noi non intendiamo parlare sol tanto del numero preso in senso analogico e simbolico come lo intendevano i Pitagorici e i Kabbalisti, cosa che è troppo evidente, ma anche, cosa che può sembrare più strana e quasi paradossale, del numero nella sua accezione semplicemente e propriamente quantitativa. In effetti essi riducono ogni loro scienza al calcolo, secondo la più ristretta concezione che se ne possa avere, cioè considerato come un semplice insieme di procedimenti più o meno artificiali e che non valgono insomma che per le applicazioni pratiche alle quali danno luogo; in fondo, ciò significa dire che essi sostituiscono il numero con la cifra, e, del resto, questa confusione del numero con la cifra è così estesa oggi che si potrebbe facilmente ritrovarla ad ogni piè sospinto persino nelle espressioni del linguaggio corrente (2). Ora la cifra non è, in tutto rigore, niente di più che il vestito del numero; non diciamo anche il suo corpo, perché è piuttosto la forma geometrica che, sotto certi aspetti, può essere legittimamente considerata come costituente il vero corpo del numero, come dimostrano anche le teorie degli antichi sui poligoni e sui poliedri, messi in rapporto diretto con il simbolismo dei numeri; e ciò si accorda d'altronde con il fatto che ogni "incorporazione" implica necessariamente una "spazializzazione". Noi non vogliamo, tuttavia, che le cifre stesse possano dirsi segni interamente arbitrari, la cui forma non sarebbe stata determinata che dalla fantasia di uno o più individui; deve valere per i caratteri numerici ciò che vale per i caratteri alfabetici, dai quali d'altra parte i primi non si distinguono affatto in certe lingue (3), e si può applicare agli uni come agli altri la nozione di una origine geroglifica, cioè ideografica o simbolica, che vale per tutte le scritture senza eccezioni, per quanto dissimulata questa origine possa essere in certi casi dalle deformazioni o dalle alterazioni più o meno recenti.
Ciò che c'è di certo, è che i matematici impiegano nella loro notazione dei simboli di cui non conoscono più il senso, e che sono come delle vestigia di dimenticate tradizioni; e quel che è più grave, è che non solamente essi non si domandano quale possa essere questo senso, ma anche sembra che non vogliano che ve ne sia uno. In effetti, essi tendono sempre di più a considerare ogni notazione come una semplice "convenzione", con il che intendono qualche cosa che è data in maniera del tutto arbitraria, ciò che, in fondo, è una vera impossibilità, perché non si fa mai una qualsiasi convenzione senza aver qualche ragione di farla, e di fare precisamente quella piuttosto che ogni altra possibile; è soltanto a coloro che ignorano questa ragione che la convenzione può apparire arbitraria, come non è che a coloro che ignorano le cause di un avvenimento che questo può sembrare "fortuito"; è ciò che accade in questo caso, e vi si può vedere una delle conseguenze più estreme dell'assenza di ogni principio, che arriva fino a far perdere alla scienza, o alla sedicente tale, poiché allora essa non merita più veramente questo nome sotto nessun riguardo, ogni significato plausibile. D'altra parte, per il fatto stesso della concezione attuale di una scienza esclusivamente quantitativa, questo "convenzionalismo" si estende poco a poco dalla matematica alle scienze fisiche nelle loro teorie più recenti, che così si allontanano sempre più dalla realtà che pretendono di spiegare; abbiamo insistito su ciò sufficientemente in un'altra opera e ci dispensiamo dal parlarne ancora, tanto più che è della sola matematica che ora ci dobbiamo occupare più particolarmente. Sotto questo punto di vista, aggiungeremo soltanto che, quando si perde così completamente di vista il senso di una notazione, è poi facilissimo passare dall'uso legittimo e valido di quella ad un uso illegittimo, che non corrisponde più effettivamente a nulla, e che può anche essere talvolta del tutto illogico; ciò può sembrare abbastanza straordinario quando si tratta di una scienza come la matematica, che dovrebbe avere con la logica legami particolarmente stretti, e tuttavia è talmente vero che si può rilevare una molteplicità di illogismi nelle notazioni matematiche come sono comunque concepite nella nostra epoca.
Uno degli esempi più notevoli di queste notazioni illogiche, proprio quello che dovremo esaminare qui prima di tutto, benché non sia il solo che incontreremo nel corso della nostra esposizione, è quello del preteso infinito matematico o quantitativo, che è la fonte di quasi tutte le difficoltà che sono state sollevate verso il calcolo infinitesimale, o, forse più esattamente, contro il metodo infinitesimale, poiché qui c'è qualcosa che oltrepassa la portata di un semplice "calcolo" nel senso ordinario di questa parola, checché ne possano pensare i "convenzionalisti"; non vi sono eccezioni da fare che per quelle di queste difficoltà che provengono da una concezione erronea o insufficiente della nozione di "limite", indispensabile per giustificare il rigore di questo metodo infinitesimale e per farne un'altra cosa che un semplice metodo di approssimazione. C'è d'altra parte, come vedremo, una distinzione da fare tra i casi in cui il cosiddetto infinito non esprime che una pura e semplice astrusità, cioè una idea contraddittoria in se stessa, come quella del "numero infinito", e quei casi in cui esso è semplicemente impiegato in maniera abusiva nel senso di indefinito; ma non bisognerebbe credere per questo che la stessa confusione dell'infinito e dell'indefinito si riduca ad una semplice questione di parole, poiché veramente essa si basa sulle idee stesse Quel che è singolare, è che questa confusione, che sarebbe stato sufficiente dissipare per eliminare tante discussioni, sia stata commessa da Leibnitz stesso, che è generalmente ritenuto come l'inventore del calcolo infinitesimale, e che chiameremmo piuttosto il suo "formulatore", poiché questo metodo corrisponde a certe realtà, che, come tali, hanno una esistenza indipendente da colui che le concepisce e che le esprime più o meno perfettamente; le realtà dell'ordine matematico non possono, come tutte le altre, che essere scoperte e non inventate, mentre, al contrario, è di "invenzione" che si tratta allorché, come pure accade troppo spesso in questo dominio, ci si lascia trascinare, effettivamente da un "gioco di notazione", nella pura fantasia; ma sarebbe sicuramente ben difficile far comprendere questa differenza a dei matematici che si immaginano volentieri che tutta la loro scienza non è e non deve essere niente altro che una "costruzione dello spirito umano", cosa che, se bisognasse credere a loro, la ridurrebbe certo a non essere in verità che ben poca cosa! Comunque, Leibnitz non seppe mai spiegarsi chiaramente sui principi del suo calcolo, e ciò ben dimostra che qui vi era qualcosa che lo oltrepassava e che gli si imponeva in una qualche maniera senza che egli ne avesse coscienza; se se ne fosse reso conto, non si sarebbe sicuramente impegnato in una disputa di "priorità" con Newton, e d'altra parte tali dispute sono sempre perfettamente vane, poiché le idee, in quanto sono vere, non potrebbero essere proprietà di qualcuno, nonostante l'"individualismo moderno", e non v'è che l'errore che possa essere propriamente attribuito agli individui umani. In seguito non ci dilungheremo su questa questione, che ci potrebbe trascinare molto lontano dall'oggetto del nostro studio, benché può darsi che non sia inutile, sotto certi punti di vista, far comprendere che il ruolo di coloro che si chiamano "grandi uomini" è spesso, per una buona parte, un ruolo di "recettori", sebbene essi siano generalmente i primi a illudersi della loro "originalità".
Ciò che ci concerne più direttamente per il momento, è questo: se dobbiamo constatare tali insufficienze in Leibnitz, e delle insufficienze tanto più gravi in quanto esse vertono soprattutto sui problemi dei principi, che ne potrà essere degli altri filosofi e matematici moderni, ai quali egli è malgrado tutto sicuramente molto superiore? Questa superiorità, egli la deve, da una parte, allo studio che aveva fatto delle dottrine scolastiche del medioevo, benché egli non le abbia sempre interamente comprese, e, d'altra parte, a certi dati esoterici, di origine o di ispirazione principalmente Rosicruciana (4), dati evidentemente molto incompleti e anche frammentari, e che d'altra parte gli accadde talvolta di applicare assai male, come ne vedremo qualche esempio proprio qui; è a queste due "fonti", per parlare come gli storici, che conviene riferire, in definitiva, quasi tutto ciò che c'è di realmente valido nelle sue teorie, e è ciò che anche gli permise di reagire, benché imperfettamente, contro il cartesianismo, che rappresentava allora, nel doppio dominio filosofico e scientifico, tutto l'insieme delle tendenze e delle concezioni più specificatamente moderne. Questa nota è sufficiente insomma a spiegare, con qualche parola, tutto quel che fu Leibnitz, e, se si vuol comprenderlo, non bisognerebbe mai perdere di vista queste indicazioni generali, che noi abbiamo creduto sia stato, per questa ragione, bene formulare all'inizio; ma è tempo di lasciare queste considerazioni preliminari per entrare nell'esame delle questioni stesse che ci permetteranno di determinare il vero significato del calcolo infinitesimale.
Note
1. Vedere Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi.
2. La stessa cosa accade ai "pseudo-esoteristi" i quali sanno così poco di ciò di cui vogliono parlare che non mancano mai di commettere questa stessa confusione nelle elucubrazioni fantasiose che essi hanno la pretesa di sostituire alla scienza tradizionale dei numeri!
3. L'ebraico e il greco ricadono in questo caso, ed anche l'arabo prima dell'introduzione dell'uso delle cifre indiane, le quali, in seguito, più o meno modificandosi durante il Medioevo passarono in Europa; si può notare, a tale proposito che la stessa parola cifra non è altro che la parola araba çifr, sebbene quest'ultima sia in realtà la designazione dello zero. è vero che in ebraico, d'altra parte, saphar significa "contare" o "numerare" come anche "scrivere", da cui sepher, "scrittura" o "libro" (in arabo sifr, che designa particolarmente un libro sacro), e sephar, "numerazione" o "calcolo"; da quest'ultima parola proviene anche la designazione dei Sephiroth della Kabbala, che sono le "numerazioni" principali assimilate agli attributi divini.
4. Il marchio innegabile di questa origine si trova nella figura ermetica posta da Leibnitz all'inizio del suo trattato De arte combinatoria: è una rappresentazione della Rota Mundi, nella quale al centro della doppia croce degli elementi (fuoco e acqua, aria e terra) e delle qualità (caldo e freddo, secco e umido), la quinta essentia è simboleggiata da una rosa a cinque petali (corrispondente all'etere considerato in se stesso e quale principio degli altri quattro elementi); naturalmente, questo "disegno" è passato completamente inosservato a tutti i commentatori universitari.

venerdì 26 luglio 2013

TAVOLA DI SMERALDO



«
 Verum, sine mendacio certum et verissimum,
quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius. Et sicut omnes res fuerunt ab uno, mediatione unius; sic omnes res natae fuerunt ab hac una re, adaptatione. Pater eius est sol, mater eius luna; portauit illud ventus in ventre suo: nutrix eius terra est. Pater omnis telesmi totius mundi est hic. Vis eius integra est, si versa fuerit in terram. Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio. Ascendit a terra in coelum, iterumque descendit in terram, et recipit vim superiorum et inferiorum. Sic habebis gloriam totius mundi. Ideo fugiat a te omnis obscuritas. Hic est totius fortitudinis fortitudo fortis; quia vincet omnem rem subtilem, omnemque solidam penetrabit. Sic mundus creatus est. Hinc erunt adaptationes mirabiles, quarum modus hic est. Itaque vocatus sum Hermes Trismegistus, habens tres partes philosophiæ totius mundi. Completum est quod dixi de operatione solis. »
Traduzione:
« Il vero senza menzogna, è certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l'ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande industria. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l'oscurità fuggirà da te. È la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui. È perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Completo è quello che ho detto dell'operazione del Sole. »

Spirito nel corpo o corpo nello spirito? di René Guénon



Spirito nel Corpo o Corpo nello Spirito? 

René Guénon



La concezione corrente, secondo cui lo spirito risiede in qualche modo nel corpo, non può che sembrare molto strana a chiunque possieda anche soltanto le più elementari nozioni di metafisica, non solo perché lo spirito non può essere «localizzato », ma perché, anche se si tratta solo di un «modo di dire» più o meno simbolico, è evidente in esso l' illogicità ed il capovolgimento dei rapporti normali. In effetti, lo spirito non è altro che Atma, il principio di tutti gli stati dell' essere in tutti i gradi della sua manifestazione; orbene, tutte le cose sono necessariamente contenute nel loro principio, e in realtà non possono in alcun modo esserne fuori, né tanto meno rinchiuderlo nei loro limiti; sono dunque tutti questi stati dell' essere, e per conseguenza anche il corpo che è semplicemente una modalità d' uno di questi, a dover essere in definitiva contenuti nello spirito, e non viceversa: Il «meno» non può contenere il «più », né tanto meno produrlo, il che è d' altronde applicabile a diversi livelli, come vedremo in seguito; ma consideriamo per il momento il caso estremo, quello che concerne il rapporto tra il principio stesso dell' essere e la modalità più ristretta della sua manifestazione individuale umana. A tutta prima si potrebbe essere tentati di concludere che la concezione corrente sia dovuta unicamente ad ignoranza da parte della grande maggioranza degli uomini, e corrisponda ad un semplice errore di linguaggio ripetuto senza riflettere per la forza dell'abitudine; ma la questione non è cosi semplice, e questo errore, se errore esiste, ha ragioni ben più profonde di quanto a prima vista si potrebbe credere.

A queste considerazioni, bisogna premettere che l' immagine spaziale del «contenente» e del «contenuto » non deve essere presa alla lettera, poiché uno solo di questi due termini, il corpo, possiede effettivamente il carattere spaziale, lo spazio non essendo niente altro che una delle condizioni proprie dell' esistenza corporea. L' impiego del simbolismo spaziale e di quello temporale, come abbiamo ripetutamente spiegato, non solo è legittimo, ma anche inevitabile, in quanto necessariamente dobbiamo servirci d' un linguaggio il quale, essendo quello dell' uomo corporeo, è anch' esso sottoposto alle condizioni determinanti l' esistenza di quest' ultimo come tale: basta aver sempre presente che tutto quanto non appartiene al mondo corporeo non può essere, in realtà, né nello spazio né nel tempo... Secondo la dottrina indù, si sa infatti che jivatma, il quale è in realtà Atma stesso, ma considerato nel suo rapporto con l' individualità umana, risiede nel centro di questa ed è rappresentato simbolicamente dal cuore; ciò non vuole affatto dire che jivatma sia racchiuso nell' organo corporeo che porta questo nome, o in un organo sottile corrispondente; implica invece che, in un certo senso, sia situato nell' individualità, e più precisamente nella parte più centrale di questa. Atma non può essere veramente né manifestato né individualizzato e, a maggior ragione, non può essere incorporato; e tuttavia, in quanto jivatma, appare come se fosse individualizzato e incorporato; evidentemente questa apparenza non può essere che illusoria riguardo ad Atma, e nondimeno ha una sua esistenza da ,un certo punto di vista, quello stesso punto di vista, proprio della manifestazione individuale umana, per cui jivatma sembra essere distinto da Atma. È dunque da questo punto di vista che si può dire che lo spirito è situato
nell' individuo; e inoltre si potrà dire che è situato nel corpo, a condizione di non scorgervi una «localizzazione» in senso letterale, se lo si considera dal punto di vista più particolare della modalità corporea di tale individualità; non si tratta dunque d' un vero e proprio errore, ma solamente dell' espressione d' una illusione che, pure essendo tale se riferita alla realtà assoluta, corrisponde tuttavia ad un certo grado della realtà, quello stesso degli stati di manifestazione ai quali detta illusione si riferisce, e che diventa errore solo quando si ha la pretesa di applicarla alla concezione dell' essere totale, come se il principio stesso di quest' ultimo potesse essere influenzato o modificato da uno dei suoi stati contingenti.

Abbiamo finora fatto una distinzione tra la modalità corporea dell' individualità e l' individualità integrale, quest' ultima comprendente anche tutte le modalità sottili; e, a questo proposito, possiamo aggiungere un' osservazione la quale, benché accessoria, aiuterà senza dubbio a comprendere ciò che principalmente abbiamo in vista. All' uomo ordinario, la cui coscienza è in qualche modo «sveglia» unicamente nella modalità corporea, tutto ciò che più o meno oscuramente viene percepito delle modalità sottili, appare come incluso nel corpo, perché questa percezione corrisponde solo al rapporto che quelle hanno con questo, piuttosto che a ciò che sono in se stesse; in realtà, le modalità sottili non possono essere contenute nel corpo e venir condizionate dai suoi limiti, anzitutto perché è proprio in esse che si trova il principio immediato della modalità corporea, e poi perché esse sono suscettibili d' una estensione incomparabilmente maggiore, per la natura stessa delle possibilità che comportano. Queste modalità, inoltre, se effettivamente sviluppate, appaiono come «prolungamenti» estendentisi in ogni senso al di là della modalità corporea, cosicché questa viene interamente a trovarsi, per così dire, «avvolta» da esse; sotto questo aspetto, per chi abbia realizzato l' individualità integrale, avviene una specie di «rivolgimento », se così ci si può esprimere, rispetto al punto di vista dell' uomo ordinario. In questo caso, del resto, le limitazioni individuali non sono ancora superate, ed è per ciò che all' inizio parlammo d' una possibile applicazione a diversi livelli; fin d' ora però si potrà comprendere, per analogia, che un «rivolgimento» si opera ugualmente, in un altro piano, quando l' essere sia passato alla realizzazione sopra-individuale. Fin quando l' essere non raggiungeva Atma, altro che nei suoi rapporti con l' individualità, cioè come jivatma, questo gli appariva come incluso nell' individualità e non poteva di certo apparirgli altrimenti poiché era incapace di oltrepassare i limiti della condizione individuale; ma quando egli raggiunge Atma direttamente ed in sé stesso, l' individualità, e con essa tutti gli altri stati individuali e sopra-individuali, gli appaiono invece compresi in Atma, com' è effettivament,e dal punto di vista della realtà assoluta, poiché essi non sono nient' altro che le possibilità stesse di Atma, al di fuori del quale niente può avere un grado qualsiasi di realtà.

Abbiamo così precisato i limiti entro i quali, da un punto di vista relativo, si può dire che lo spirito è contenuto sia
nell' individualità umana che nel corpo; e, inoltre, ne abbiamo indicato la ragione, ragione che in definitiva è inerente alla condizione stessa dell' essere per il quale questa prospettiva è legittima e valida. Ma non è tutto: bisogna ancora tener presente che lo spirito si considera situato non solo nell' individualità in generale, ma in un suo punto centrale, al quale corrisponde il cuore nell' ordine corporeo; ciò richiede altre spiegazioni, le quali permetteranno di conciliare i due punti di vista, apparentemente opposti, riferentisi rispettivamente, alla realtà relativa e contingente dell' individuo ed alla realtà assoluta di Atma. È facile rendersi conto che queste considerazioni devono basarsi essenzialmente su una applicazione del senso inverso dell' analogia, applicazione che nello stesso tempo dimostra, in modo particolarmente chiaro, le precauzioni che si richiedono nella trasposizione del simbolismo spaziale, in quanto, contrariamente a quello che avviene nell' ordine corporeo, cioè nello spazio inteso nel senso proprio e letterale, si può dire che nell' ordine spirituale è l' interno a comprendere l' esterno, ed il centro a contenere tutte le cose. Una delle migliori «illustrazioni» dell' applicazione del senso inverso, è data dalla rappresentazione dei diversi cieli, corrispondenti agli stati superiori dell'essere, mediante altrettante circonferenze o sfere concentriche come se ne ha un esempio in Dante. In una simile rappresentazione sembra a tutta prima che i cieli siano tanto più vasti, cioè meno limitati, quanto più sono elevati e quindi anche più «esteriori », nel senso che figurano più distanti dal centro, quest' ultimo essendo allora costituito dal mondo terrestre; è questo il punto di vista
dell' individualità umana, rappresentato precisamente dalla terra, punto di vista che corrisponde ad una verità relativa, la quale è tale nella misura in cui l' individualità è reale nel suo ordine, e per il fatto che bisogna necessariamente partire da
quest' ultima per passare agli stati superiori. Ma quando l' individualità venga superata e si operi il «rivolgimento» di cui abbiamo parlato (che in realtà è un « raddrizzamento» dell' essere), tutto l' insieme della rappresentazione simbolica viene ad essere in qualche modo rovesciato; è allora il cielo più elevato ad essere nello stesso tempo il più centrale, poiché in esso risiede il centro universale stesso; e, per contro, il mondo terrestre viene in questo modo a situarsi all' estrema periferia. In questo «rivolgimento» di posizione, bisogna inoltre osservare che il cerchio corrispondente al cielo più elevato deve tuttavia rimanere il più ampio e comprendere tutti gli altri (infatti, secondo la tradiziòne islamica, il «Trono» divino abbraccia tutti i mondi); e deve essere così perché, nella realtà assoluta, è il centro che contiene tutto.

L' impossibilità di raffigurare materialmente questo punto di vista, secondo cui il più vasto è nello stesso tempo il più centrale, non fa che esprimere le limitazioni alle quali il simbolismo geometrico è inevitabilmente sottoposto per il fatto stesso
d' essere il linguaggio della condizione spaziale, cioè di una delle condizioni proprie del nostro mondo corporeo, e quindi esclusivamente inerenti all' altro punto di vista, quello dell' individualità umana.

Per quanto riguarda il centro, si vede nettamente qui che, per il rapporto inverso esistente tra il centro effettivo (quello
dell' essere totale oppure dell' Universo, a seconda che si considerino le cose dal punto di vista «microcosmico» o «macrocosmico») e il centro dell' individualità o del suo particolare dominio d' esistenza, il primo, che è il più grande
nell' ordine della realtà principiale, diventa in certo qual modo (senza venir per nulla alterato o modificato in sé stesso) l' ultimo ed il più piccolo nell' ordine delle apparenze manifestate. Si tratta dunque, continuando a servirci del simbolismo spaziale, del rapporto esistente tra il punto geometrico e ciò che potremmo analogicamente chiamare il punto metafisico: quest' ultimo è il vero centro primordiale, che contiene in sé tutte le possibilità, ed è quindi quanto v' è di più grande; non è assolutamente «situato », poiché nulla lo può contenere o limitare, mentre sono tutte le cose a situarsi rispetto ad esso (va da sé che anche ciò deve intendersi simbolicamente, perché qui non si tratta unicamente delle possibilità spaziali). Il punto geometrico poi, che come tale è situato nello spazio, è evidentemente ciò che v' è di più piccolo anche in senso letterale perché privo di dimensioni, il che vuol dire che non occupa rigorosamente nessuna estensione; ma questo «niente» spaziale corrisponde direttamente al «tutto» metafisico, e questi, si potrebbe dire, sono i due aspetti estremi dell' indivisibilità considerata rispettivamente nel Principio e nella manifestazione. Per quel che riguarda le considerazioni circa il «primo» e l' «ultimo », è sufficiente aver presente, come abbiamo già spiegato, che il punto più alto ha il suo diretto riflesso nel punto più basso; ed a questo simbolismo spaziale si può aggiungere un simbolismo temporale, per il quale ciò che è primo nel dominio principiale, e quindi nel «non-tempo », appare come ultimo nello sviluppo della manifestazione.

Tutto ciò è facilmente applicabile a quanto abbiamo preso in considerazione all' inizio: in effetti è proprio lo spirito (Atma) il centro universale che contiene ogni cosa; ma esso, riflettendosi nella manifestazione umana, appare appunto per ciò come «localizzato» al centro dell' individualità e, più precisamente ancora, al centro della sua modalità corporea, poiché
quest' ultima, in quanto termine della manifestazione umana, ne è anche la modalità «centrale », ed è quindi appunto il suo centro, per quanto riguarda l' individualità, ad essere propriamente la rappresentazione ed il riflesso diretto del centro universale. Questo riflesso non è che un'apparenza, così come lo è la stessa manifestazione individuale; ma fintantoché
l' essere è limitato dalle condizioni individuali, questa apparenza è per lui la realtà e non può essere altrimenti, perché è esattamente dello stesso ordine della sua coscienza attuale. Solo quando l' essere ha superato questi limiti, l' altro punto di vista diventa per lui reale, cosi com' è (ed èsempre stato) in modo assoluto; il suo centro è allora nell' universale, e
l' individualità (ed a più forte ragione il corpo) non è più che una delle possibilità contenute in questo centro; per il «rivolgimento» che si è così effettuato, i veri rapporti tra tutte le cose si trovano ristabiliti, quali non hanno mai cessato
d' essere per l' essere principiale. Aggiungeremo che questo «rivolgimento» è in stretta relazione con il cosiddetto «spostamento delle luci» del simbolismo cabalistico, ed anche con la seguente espressione che la tradizione islamica attribuisce agli awliya: «I nostri corpi sono i nostri spiriti, ed i nostri spiriti sono i nostri corpi» (ajsamna arwahna, wa arwahna ajsamna), la quale, non solo indica che tutti gli elementi dell' essere sono completamente unificati nella «Identità Suprema», ma anche che il «nascosto,» è diventato l' «apparente» ed inversamente. Sempre secondo la tradizione islamica, l' essere che è passato dall' altra parte del barzakh è in qualche modo l' opposto degli esseri ordinari (e questa è ancora una stretta applicazione del senso inverso dell' analogia tra l' « Uomo Universale» e l' uomo individuale): «se cammina sulla sabbia, non lascia tracce; se cammina sulla roccia, i suoi piedi vi lasciano l' impronta [1].
Se è al sole, non proietta ombra; nell' oscurità, una luce emana da lui».



1- Ciò ha un evidente rapporto con il simbolismo delle «impronte di piedi» sulle rocce, che risale alle epoche «preistoriche» e che si ritrova in quasi tutte le tradizioni; senza abbordare considerazioni troppo complesse su questo soggetto, possiamo dire che, in generale, queste impronte rappresentano la «traccia» degli stati superiori nel nostro mondo.

martedì 23 luglio 2013

LE OPERAZIONI E LA TEURGIA DEGLI ELETTI COHEN (tratto da Il Martinismo e L'Ordine Martinista di F.Brunello)


LE OPERAZIONI E LA T EURGIA DEGLI ELETTI COHEN

Su questo assunto vi sono molti miti e vi sono molte incomprensioni dovute sia alla
ignoranza dei problemi posti, sia alla favola che esista una formula o qualche cosa di
simile di natura «magica» che permetta di ottenere mari e monti per mezzo del suo uso.
Questo atteggiamento che si ritrova dovunque, lo abbiamo sofferto nel passato e lo soffriamo
tutt'ora nell'ambito delle organizzazioni Martiniste. Lo stesso Martinez ne fu — sotto certi
aspetti — vittima.
Ed è appunto per sfrondare immediatamente il campo ai malintesi che occorre
affermare energicamente che il Martinismo in tutte le sue epoche di manifestazione ha
sempre proposto un piano di ascesa e di reintegrazione che dura tutta la vita e non soluzioni
mirifiche dai risultati completamente transitori o sperimentazioni magiche che lasciano si
e no un pallido ricordo di esse senza incidere in profondità nell'operatore.
Senza questa chiave le operazioni martineziste restano oscure ed incomprensibili,
comunque inaccessibili ed inutili ai candidati fruitori, i quali prendono il mezzo per il
fine, il supporto per la Via che mena allo scopo: la Reintegrazione, la quale non si
raggiunge con riti o cerimonie fini a se stesse, trasformandosi ipso fatto in episodi
carnevaleschi quando l'isterismo non determini manifestazioni che potrebbero definirsi
demoniache anche se i tapini le attribuiscono ai più grandi dei del loro mondo magico
ed allucinatorio.
Innanzi tutto Martinez, afferma che le operazioni alle quali si dedicano gli Eletti
Cohen sono assimilabili al vero culto del divino il cui fine ultimo è quello di produrre «i
frutti spirituali».
Vediamo dunque l'iter proposto dalla Dottrina segreta di Martinez.
1. La «riconciliazione» non può che essere lo stato preparatorio ed obbligatorio
della «rigenerazione», vale a dire la reintegrazione «nelle primitive proprietà,
virtù e potenze spirituali» di cui era in possesso Adamo.
2. La «riconciliazione» comincia qui sulla terra «nel cerchio sensibile» per terminare
dopo la morte, nel «cerchio intelletto».
3. Pervenuto al «cerchio razionale o maggiore», sede degli Spiriti Settenari, ha
termine il suo lavoro avendo conseguito lo stato iniziale dell'Adamo innocente,
ove attende la «fine dei tempi» in cui avverrà la reintegrazione nello stato
divino all'atto del riassorbimento finale dei mondi.
4. Nel corso di questo suo iter egli entra in contatto con «potenze spirituali»
sempre più elevate che gli confermano la validità del suo lavoro ed il suo
progredire mediante la loro manifestazione sensibile su questo piano
quaternario, i famosi «passi», specie di geroglifici luminosi apparenti
all'operatore.
5. Il contatto può avvenire con l'intervento di tre elementi che sono:
a. il consenso ed il concorso del Creatore;
b. l'intervento di uno Spirito Maggiore o intermedio;
c. l'azione esercitata dalla volontà dell'operatore sull'essere invocato. Come si vede
la «tecnica» andava molto al di là della semplice manualità in quanto,
perch'essa potesse dare dei frutti, occorreva quella famosa «polvere del
pirimpimpin» ben nota in magia.
L'azione esercitata dalla volontà dell'operatore richiedeva necessariamente certe
«virtù» dipendenti da queste tre condizioni:
a. dal suo stato di grazia;
b. da una facoltà soprannaturale che gli veniva conferita per mezzo della
iniziazione;
c. dalla cooperazione « simpatica » a distanza dei suoi eguali nella iniziazione.
«La precisione delle cerimonie — scriveva Martinez de Pasqually — non è da sola
sufficiente, necessita una esattezza ed una santità di vita all'adepto che vuole entrare in
relazione con gli Spiriti e gli necessita una preparazione spirituale fatta per mezzo della
preghiera, del ritiro e dell'attesa».
L'Eletto Cohen doveva osservare una regola di vita a carattere ascetico. I piaceri dei
sensi dovevano essere contenuti al massimo. L'alimentazione abituale richiedeva
l'abolizione del sangue, del grasso e delle interiora degli animali. L'uso dell'alcool era
assai limitato. Erano inoltre prescritti dei periodi di digiuno e di ritiro dalla vita profana
che dovevano essere scrupolosamente osservati.
Le tradizionali regole del «silenzio», della purificazione fisica e psichica, dei digiuni
periodici erano quindi strettamente prescritte ovviamente come supporti per il
raggiungimento di uno stato magico che trovava la sua massima espressione nel corso
delle operazioni, la riuscita delle quali — riassumendo — richiedeva:
a. purezza fisica e psichica;
b. possesso della ordinazione;
c. osservanza scrupolosa del rituale;
d. concorso del Maestro e dei pari in ordine;
e. influenza degli astri e dei numeri, calcolo del periodo astrologico favorevole;
f. l'intervento della Grazia divina.
Lo stesso Martinez dice «quand'anche noi ci troviamo nelle miglinori disposizioni,
quando tutte le cerimonie si svolgono con la più grande regolarità, la Chose può conservare il
suo velo per noi...».
Robert Ambelain (che fu il nostro Iniziatore nell'Ordine degli E.C.) così scriveva nel
suo libro Le Martinisme. «Lo scopo delle operazioni del culto è di consentire all'uomo
due cose:
a. all'uomo-individuo di reintegrarsi nell'Uomo-Archetipo;
b. all'Uomo-Archetipo, di riconquistare (una volta ricostituito) un Dominio da cui le
entità decadute lo avevano privato (facendolo decadere con sua propria
colpa) e di rientrare in possesso della sua "natura gloriosa" ».
Il paragrafo a) è correlativo di un regime materiale (purificazione dell'aura umana
materiale con l'astinenza da certi alimenti nella nutrizione troppo grossolani o animali)
e di un regime morale (purificazione dell'aura umana spirituale, con il rigetto di tali o
tal'altri difetti, lo sviluppo di certe qualità, conoscenze, la sparizione di abitudini nocive
ecc...).
Il paragrafo b) è correlativo di una lotta, di un realissimo combattimento iperfisico,
contro le Entità rivali, per mezzo delle Operazioni teurgiche.
Ora in un combattimento iperfisico di questo genere, come l'uomo potrebbe affidare
la cura di vegliare intorno ai suoi cerchi di protezione a delle entità extraumane che egli
giustamente mira a spodestare da questo «Dominio»?
Che cosa è precisamente questo Dominio? La Cabala, come la Sacra Scrittura lo
menziona: il Regno, in ebraico Malkuth.
...Il Regno o Malkuth è conosciuto dai cabalisti quale dominio proprio dell'uomo. In
esso si riflettono ciascuna delle altre sephirot o sfere... Dunque l'intero albero cabalistico
(immagine del famoso frutteto... del giardino dell'Eden e i due alberi quello della Vita
Eterna e quello della Scienza del Bene e del Male), quest'albero cabalistico deve avere il
suo riflesso microcosmico in Malkuth e così tutte le sfere metafisiche... che sfuggono
all'uomo. Il solo dominio che gli è aperto è Malkuth, piano che gli è proprio, dove lo
Spazio è identico alla sua Essenza, dove il Contenente è in pari tempo il contenuto, dove
si realizza allora la decisione divina che vuole che l'Uomo sia l'immagine di Dio...
In origine l'Uomo-Archetipo occupa, governa ed amministra Malkuth. Dopo la
caduta, Malkuth, oscurato ed ottenebrato in parte dalla prepotenza che vi hanno presa i
«Guardiani Ribelli», diventa allora la sua prigione, la sua ganga melmosa. Malkuth
ridiventerà il regno luminoso ed armonioso dove Adam-Kadmon regnerà nuovamente
(è la divisa «scozzese» assai conosciuta «Ordo ab Chao...»), per continuarvi il suo
compito eterno. In un caso come nell'altro, Malkuth resta la pietra, prima grezza, poi
sgrossata, poi levigata, l'unica Grande Opera Filosofale degna di un Adepto.
Ora se le potenze negative, avendo trionfato su Adamo, sono i Reggenti di Malkuth
durante la caduta di Adamo Kadmon, è equo ammettere che dopo la sua Reintegrazione
nella primitiva natura i Reggenti saranno dei riflessi microcosmici dell'Adamo Kadmon,
cioè le cellule costitutive più sublimate, più purificate dell'Uomo-Archetipo, cellule che
avranno preso il posto delle Potenze negative infine scacciate dal Regno...».
Si è fatta a parer nostro discreta confusione tra le istruzioni per le ordinazioni ai
diversi gradi dell'Ordine e le istruzioni per le operazioni, queste seconde tutte riservate
ai Reau+ ed ai Grandi Architetti.
A giustificare i confusionari diremo che le ordinazioni o iniziazioni erano anch'esse
chiamate «operazioni», in realtà solo quella dei REAU+ era una vera e propria
operazione magica.
Sotto questo aspetto diamone un elenco:
1. Operazioni di ordinazione.
1. Invocazione giornaliera o lavoro giornaliero dei Reau+.
2. Invocazione dei tre giorni (lunare).
3. Operazioni equinoziali e solstiziali. Le tecniche comportavano tre elementi
distinti:
a. gli esorcismi, destinati a stroncare l'azione demoniaca nel cosmo, ad ostacolare
la loro azione sugli uomini, a distruggere il loro potere sull'Operatore e i suoi
discepoli, ad ottenere la fine o la limitazione di certi flagelli, ad annullare le
operazioni di Magia Nera;
b. gli scongiuri, destinati a stabilire un contatto con il Mondo Angelico e con la
«Comunione dei Santi». Tra questi ultimi l'Operatore si sceglie dei «patroni»
particolari e, nel mondo Angelico dei Guardiani e delle Guide;
c. le preghiere, rivolte a Dio per ottenere la sua Grazia e la sua Misericordia, in
vista della Reintegrazione. Esse sono integrate nei rituali di scongiuro che
precedono e sono destinati a canalizzarle e ad amplificarle.
Accanto a ciò devesi porre la conoscenza dell'Astrologia e la sua pratica per i
necessari calcoli delle posizioni degli astri, la conoscenza delle analogie e delle sue
pratiche applicazioni in ordine a strumenti, colori, vesti ecc..., le tecniche per la
costruzione dei cerchi operatori i cui elementi variano in rapporto allo scopo delle
operazioni, ai tempi, ed ai supporti impiegati.
Il Culto Divino — quello segreto rivelato da Martinez — secondo la suddivisione del
Le Forestier, ripresa dall'Ambelain ed ormai classica, poteva suddividersi in dieci parti,
che sono, seguendo Ambelain (Alchimia Spirituale), le seguenti:
1. Culto di espiazione. L'uomo manifesta il suo pentimento, tanto delle proprie
colpe, quanto della caduta del prototipo iniziale, l'Adamo Primo, corego del
coro delle Anime Preesistenti. Ne deriva una ascesi ed un rituale penitenziale
(Sephira: Malkuth).
2. Culto di grazia particolare generale. Operazioni che consistono nel sostituirsi
all'insieme dell’Umanità terrestre del momento, ed a farla partecipare ai frutti
dell'Operazione individuale (Sephira: Jesod).
3. Culto Operatorio contro i demoni. Autori della degradazione all'inizio dei tempi,
essi tendono a mantenere e ad aggregare il loro giogo su tutta l'Umanità.
Con degli esorcismi (le celebri operazioni Equinoziali) il Cohen li combatte e li
respinge fuori dell'aura terrestre (Sephira: Hod).
4. Culto di Prevaricazione e di Conservazione. E’ il seguito della precedente. Questa
operazione consiste nel combattere e nel punire i seguaci della magia nera e
della stregoneria e soprattutto nel punire gli spiriti decaduti che ne sono i
collaboratori (Sephira: Netzaa).
5. Culto contro la guerra. Se l'omicidio è il più grave dei crimini, l'omicidio
collettivo è evidentemente ancora più grave. Il Cohen lotta contro le Potenze
di odio tra le Nazioni e tenta di sviare la loro azione... (Sephira: Tiphereth).
6. Culto di opposizione ai nemici della legge divina. Operazione teurgica che ha per
scopo la lotta contro le azioni umane che tendono a diffondere l'ateismo, il
satanismo, il luciferismo, sotto le loro forme egualmente umane (Sephira:
Geburah).
7. Culto per ottenere la discesa dello Spirito Santo. Operazione che ha per scopo la
infusione dello Spirito Santo e dei suoi doni (Sephira: Hesed).
8. Culto di rafforzamento della Fede e della Perseveranza nella virtù spirituale e divina.
Operazione che ha per scopo la comprensione dei Misteri Divini, comprensione
che permette all'emulo di rafforzare la sua fede in modo assoluto e definitivo
(Sephira Binah).
9. Culto per fissare in se lo Spirito Riconciliatore divino. È la accoglienza totale dello
Spirito Santo, la discesa delle «lingue di fuoco» della Pentecoste,
l'illuminazione finale, con i privilegi che essa comporta (Sephira Hochma).
10.Culto di dedica annuale di tutte le Operazioni al Creatore. Questa parte comprende
l'insieme delle consacrazioni, delle benedizioni eccetera...».
Fin qui Robert Ambelain. Tuttavia, a nostro giudizio, non ci sentiamo di sottoscrivere
globalmente il commento a questa suddivisione. Che Martinez abbia ricreato un «culto»
con caratteri particolari è una verità che traspare dalle sue istruzioni segrete e dalla sua
«Reintegrazione», ma la stessa ordinazione di REAU+ con il sacrificio cruento
dell'agnello ci sembra assai lontana (anche se magicamente corretta) da una
interpretazione moralistica ed assai... cristiana. Ma Ambelain scriveva nell'epoca —
assai breve — delle sue riscoperte cristiane.
La verità è che i «culti» elencati si intersecano variabilmente tra di loro come
vedremo in breve.
Abbiamo accennato che solo i Grandi Architetti o Grandi Maestri Cohen o
Apprendisti Reau+ (terz'ultimo grado della scala) in un certo qual senso eseguivano
delle operazioni preparatorie a quelle riservate esclusivamente ai REAU+ (ultimo grado
della scala). Essi infatti avevano i poteri e le funzioni degli esorcisti. Si legge che
«operano il mercoledì ed il sabato di ciascuna settimana, tutti i mesi dell'anno ed in tutte le
circostanze pericolose quando il caso lo richiede» «imponendo le loro mani a squadra su tutte le
cose che sono oggetto delle loro operazioni» cioè esorcizzando oggetti o persone per mezzo
della imposizione delle mani. Inoltre essi sono tenuti a servire il loro Potentissimo
Maestro «sei giorni per i due equinozi, dodici giorni per i due solstizi, quattordici giorni per la
perfetta operazione dei due equinozi, quattordici giorni per quelle dei due solstizi». I Grandi
Architetti quindi lavoravano alle operazioni equinoziali e solstiziali solo nella fase
preparatoria sapendo combattere gli spiriti perversi, ma nulla conoscendo dell'arte di
chiamare quelli positivi, «perché non sono altro che degli esseri temporali (prigionieri cioè
del quaternario) e non potranno ottenere la potenza necessaria se non divenendo esseri
spirituali». Era per questo richiesto uno stage di sette anni.
Le operazioni dei REAU+, oltre quella di ordinazione erano:
1. La invocazione giornaliera che consisteva:
a) tracciamento del cerchio con al centro la W ed un geroglifico di un protettore;
b) accensione del cero della presenza che si poneva sopra la W;
c) invocazione al proprio « angelo ».
2. Operazione (lunare) o dei tre giorni. Nel primo quarto della luna crescente:
d) tracciamento del cerchio con la W e dei segni di «geni» positivi (a scelta
dell'operatore);
e) incensamento del cerchio con la seguente miscela di profumi: zafferano,
incenso maschio, fiori di zolfo, grani di papavero bianco e nero. chiodi di garofano,
cannella bianca in bastoni, lacrime di mastice, di sandracea, di noce moscata;
f) accensione del cero di presenza e messa in situ;
g) invocazioni e scongiuri.
3. Operazioni equinoziali e solstiziali (I° tipo).
a. Preparazione:
1. Regime alimentare ecc... come già detto. L'operazione veniva
ripetuta per tre sere consecutive con la sola variante
dell'orientamento del pentacolo di difesa.
2. Tutte le mattine recita dell'Ufficio dello Spirito Santo.
3. Inizio ore 22.
4. Preambolo: recita dei sette salmi penitenziali e delle litanie.
5. Tracciamento del cerchio operatorio ad est (a quarto di cer chio in
quanto le operazioni venivano eseguite in gruppi di quattro
contemporaneamente). Tracciamento del cerchio di ritirata ad ovest.
6. Piazzamento di 8 candele.
7. A mezzanotte:
· Assunzione della posizione del «morto vivente» (allungato a terra
ed avambracci incrociati tra di loro, per sorreggere la fronte) per 6
minuti.
· Accensione del «fuoco» e delle candele.
· Assunzione della posizione in ginocchio nel «cerchio di ritirata».
· Pronuncia dei nomi sacri scritti nei cerchi operatori.
· Richiesta di grazia.
· Richiesta del segno o del «passo». Fumigazioni ed incensamento.
Estinzione delle luci salvo una.
· Recita delle invocazioni.
· Attesa del segno sino alle due e mezzo del mattino.
8. Cancellazione dei cerchi e dei geroglifici accompagnate da
invocazioni e scongiuri.
4. Operazioni equinoziali e solstiziali (II° tipo).
a. Come al N. 3;
b. come al N. 3 b/1, b/2;
c. recita dello scongiuro del Mezzogiorno ripetuto 4 volte per Satana,
Belzebuth, Baran e Leviatan;
d. invocazione speciale;
e. invocazione dei tre giorni (il terzo giorno veniva al suo posto detto «Il
Grande Scongiuro del Serpente»;
f. tracciamento del cerchio operatorio composto di un quarto di cerchio
all'angolo Est contenente il Grande Cerchio di Comunicazione; del Cerchio di
ritirata all'angolo Ovest e di sette piccoli cerchi. Nei cerchi si scrivevano i
nomi divini, delle potenze planetarie, dei geni protettori ecc...;
g. piazzamento di nove candele;
h. recita dei sette salmi di David;
i. sette prosternazioni ed accensione delle candele;
j. accensione dei profumi ed incensamenti (28 volte);
k. spegnimento delle candele dei cerchi piccoli e pronuncia dei nomi
rispettivi;
l. piazzamento nel cerchio di comunicazione ed invocazione dei quattro
rettori delle regioni celesti;
m. invocazione;
n. piazzamento nel Cerchio di ritirata ed osservazione dei passi n;
o. cancellazione di ogni segno, invocazioni, scongiuri ed abbandono del
luogo operatorio.
Queste — salvo alcune varianti — le operazioni teurgiche dei Cohen o meglio
dei Reau+. Ovviamente qui abbiamo dato semplicemente una traccia e
praticamente abbiamo taciuto tutti i dettagli poiché la struttura delle presenti note
esula dalla operatività Cohen in senso estensivo.
Aggiungeremo solo che il piano operatorio (i cerchi operatori cioè) erano per
quest'ultimo tipo di operazioni, lo schema dell'universo immateriale ove il teurgo si
accingeva ad entrare per mezzo della sua aspirazione, delle sue preghiere e della sua
preparazione rituale. La comparsa dei «passi», al termine del lavoro teurgico
rappresentava la manifestazione della presenza della «potenza» con la quale il
mondo «spirituale» rispondeva al celebrante.
Ci è giocoforza, a questo punto, sottolineare ancora una volta che il Cristo di
Martinez ed il suo cristianesimo non erano che una vernice atta a rendere accettabile la
sua dottrina segreta nell'ambiente massonico in cui svolgeva il suo servizio.
Il Cristo di Martinez, non ha niente a che vedere con il Cristo dei cristiani,
perché in realtà è UNO DEI NUMEROSI AVATAR DEL RICONCILIATORE, Spirito
emanato a diverse riprese dal cerchio della Divinità che per compiere la sua missione
ogni volta animava un corpo di materia apparente. La prova evidente di ciò, la prova
che con la parola Cristo Martinez intendeva il Riconciliatore (qualunque abito esso
avesse vestito o vestisse in futuro) e non il Gesù storico, si ha nel fatto ch'esso fa
parte di una schiera di eguali, di Uomini-Dio, che comincia con Enoc ed include Noè,
Melkisedek, Giuseppe, Mosè, David, Salomone, Zorobabele.
Una lampante dimostrazione dell'essere il cristianesimo di Martinez una vernice, ci
viene dal fatto che operativamente ai nomi dei Geni e degli Angeli della tradizione
magica, sostituisce quelli dei Patriarchi, degli Apostoli, dei Santi e dei soli Angeli
ammessi dalla Chiesa, per esempio il Quaternario vede al posto dei 4 angeli i 4
evangelisti, il settenario vede al posto dei sette pianeti con i rispettivi angeli i sette
vescovi delle sette chiese della Apocalisse, i geni delle dodici costellazioni sono
sostituiti dai dodici Apostoli e perfino i 360 geni dei giorni solari sono sostituiti da
365 santi e così via...

lunedì 22 luglio 2013

Lex Aurea 48



E' disponibile il nuvo numero della rivista digitale Lex Aurea. L'indirizzo internet dove potete trovarla, gratuitamente ed in formato pdf, è il seguente:

link della pagine con i vari numeri: http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea.htm
link diretto: http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea48.pdf

Rubriche:

La Cattedrale Gotica p.2.
Il Mito Gnostico
Mundus Imanginalis
Il Centro Vacuo della Contemporaneità
Lo Zodiaco Alchemico p.4
Perseo e Medusa
Sulla Massoneria
La Purificazione
La Narrazione Mitologica
La Pietra Eraclea in Aion di C.G.Jung


Approfondimenti e Contributi

Catechismo della Stella Fiammeggiante
Appunti sull’Operatività Muratoria

per informazioni o collaborazioni:

lexaurea@fuocosacro.com
fuocosacroinforma@fuocosacro.com