Il rituale giornaliero
di catena è la costante e laboriosa opera di edificazione del tempio martinista (Sovrano Ordine Gnostico Martinista)
1. Introduzione
Ovviamente non è desiderio del presente lavoro di enunciare nello
specifico l'esatta composizione e strutturazione del rituale giornaliero
martinista, ed in particolare quello del N.V.O. Ciò in relazione sia
all'evidenza pubblica che il presente scritto ha, quindi non circoscritta
all'ambito iniziatico, sia per una certa varianza formale che il rituale
giornaliero presenta in relazione ai vari ordini, raggruppamenti, o linee di
liberi iniziatori.
E' sempre
bene ricordare, ed è doveroso farlo in premessa, come l'Iniziatore martinista è
comunque libero di riformulare l'espressione rituale in rapporto funzionale
alla propria naturale inclinazione, seppur rimanendo sempre all'interno del
perimetro tradizionale del martinismo. Avremo quindi che un iniziatore con
un'impronta maggiormente legata alla cabala inserirà elementi di tale branca
del sapere iniziatico all'interno del rituale, mentre colui che sarà
maggiormente legato ad un patrimonio mistico cristiano, o gnostico, o ermetico,
sempre nel rispetto del perimetro martinista, provvederà a dare un'impronta ad
essi consona.
Risulta
altrettanto ovvio, e questo non è in contraddizione con quanto sopra enunciato,
che in quelle realtà che raccolgono più iniziatori vi è l'esigenza di avere un
impianto comune di ritualistica, onde meglio esaltare il lavoro energetico
individuale, di gruppo ed egregorico. In assenza di tale impianto comune, siamo
in presenza di un’orchestra dove non solo manca il direttore, ma dove ognuno
dei musici suona un diverso spartito.
L’iniziazione
rituale, il rito di Luna Nuova e il rito giornaliero, sono gli elementi
basilari e necessari dell’identità martinista. In assenza dei quali, nella loro
complementarietà, assistiamo ad una virtualità che si estrinseca nella forma di
una verbosa massoneria povera. Risulta implicito che quanto andremo ad esporre
è rispondente a quelle realtà mariniste regolari. Dove con regolare
correttamente dobbiamo intendere laddove l’iniziatore è tale in forza di un
lineare e progressivo percorso che lo ha portato a formarsi doceticamente ed
operativamente. Altrimenti siamo in presenza di fantasiose e rocambolesche
investiture, spesso prezzolate, prive di ogni sostanzialità, che ci conducano
fuori dall’ambito dell’iniziazione e dell’opera, per entrare in quello della
carnevalata eogica.
In breve:
1. La reale iniziazione martinista,
conferita in virtù di un effettivo potere iniziatico, è condizione sostanziale
ed inderogabile dell’essere martinista.
2. Il rito di Luna Nuova consente
l’indispensabile rinnovamento del patto con l’Egregore dell’Ordine Martinista.
Tale rinnovamento perpetua le condizioni che consentono il riconoscimento e la
conseguente accettazione dell’adepto da parte dell’Egregore.
3. Il rito giornaliero è la pietra
d’angolo su cui si basa l’operatività martinista. La sua funzione primaria è
quella di "legare" tutti i membri dell’Ordine … “Ut unun
sint” …, tramite la corrente magica e spirituale dell’Eggregore Martinista,
supremo Ente e Vettore di unificazione.
Se la reale
iniziazione martinista porta l’uomo di desiderio all’interno della fratellanza,
e se il rito di luna nuova ne rinnova la comunione, è il rito giornaliero che
dà senso e vita alla sua aspirazione spirituale.
Già da quanto
sopra esposta si comprende come il rituale giornaliero sia parte integrante
dell’identità martinista, e come questa sia composta da elementi che riguardano la generalità del martinismo,
come la particolarità della struttura in cui si opera.
In meritò
all'identità generale il Martinismo diremo che esso è una scuola d'opera
fattiva e non di speculazione. Ciò non significa ovviamente che il martinista è
escluso da una dimensione filosofica, ma solamente come quest'ultima, nei
giusti modi e giusti tempi, è tesa ad esaltare e contribuire alla pratica
stessa. Lo studio deve fornire all'iniziato quei riferimenti culturali,
simbolici, e immaginifici che gli permettono di riattivare la memoria
spirituale, e fornire un proficuo indirizzo alla pratica stessa. Sempre
rimanendo all'interno di una prospettiva generale, dobbiamo altresì ricordare
la matrice evidentemente cristiana del martinismo. Louis Claude de Saint-Martin
era un mistico ed esoterista cristiano, così il Papus, e gli altri padri
storici della nostra scuola tradizionale. Quindi in tale ottica, volta a
mantenere il martinismo ben connesso alla propria radice spirituale, è ovvio
che il rituale giornaliero, così come ogni altro elemento strumentale e
filosofico, debba mantenere traccia evidente della sua natura spirituale
cristiana. Ciò per impedire il suo degenerare in una deriva relativistica tanto
cara allo spirito dei tempi, causandone da un lato il completo snaturamento, e
dall’altro la perdita di ogni qualsiasi sostanza e vitalità spirituale.
In merito
all'identità particolare questa è frutto della specificità formale scelta
dall’iniziatore per trasmettere l’iniziazione martinista, e predisporre e
trasmettere gli strumenti di reintegrazione. Ecco quindi che il rituale, nella
sua strutturazione complessiva o in alcune parti di esso, avrà l'impronta
filosofico-operativa di colui che è il reggitore della catena. Gli iniziati ad
esso collegati, in virtù dell'opera fattiva e del crisma iniziatico,
disporranno strumenti affinati alla particolare cadenza e natura del lavoro che
individualmente e collettivamente andranno a svolgere. Prendiamo ad esempio un
elemento di cui non è mistero la presenza nei lavori di gran parte delle strutture
mariniste, quale la croce cabalistica. Questa avrà valenza diversa in
ragione della prospettiva data ai lavori rituali: “In un'ottica meramente
cerimonialista sarà strumento di apertura-chiusura o di bando, oppure potrà
avere impiego come attivatore di centri energetici, ed infine di
"identificazione" dell'operatore con particolari attributi del divino
sul piano della manifestazione. “
3. Rituale
giornaliero di catena, e sua scomposizione nei singoli momenti (apertura,
operatività, chiusura)
Il rituale
giornaliero di catena, come tutti i riti di natura magico-operativa, si
articola in tre distinti momenti: apertura, svolgimento operativo e chiusura
dei lavori. Una tripartizione, questa, che sussiste solo a livello
docetico-illustrativo, in quanto tale scomposizione non ha spazio nell’armonia
operativa che non solo rende il rito come Ente in se indiviso, ma addirittura
unisce l’operatore a tutti i fratelli e le sorelle in catena e quindi
all’Egregore.
Le tre Croci
cabalistiche di apertura hanno come finalità quella di creare uno spazio sacro,
rimettendo l’operatore al mondo del Divino, dell’ultrasensibile. Le quattro
Croci conclusive del rito indicano la chiusura dei lavori e la riconsegna al
mondo profano del luogo che ha visto la celebrazione del rito. Lo strumento
cabalistico è uno dei fondamentali linguaggi operativi ermetici, strumento di
interazione e correlazione fra il martinista e l'Egregore. La Croce viene dal
martinista stesso vivificata, in quanto è essa è tracciata sulla propria carne,
mente ed anima.
La Croce
quale simbolo di spazialità, ma anche di determinazione fra l’ascesa verticale
dello Spirito e il dispiegamento orizzontale del fisico e della mente.
Il totale
delle croci cabalistiche da il numero 7, simboleggiante la regola creativa
(sette le note, sette i giorni, sette i colori, ecc..) che governa la nostra
manifestazione. E’ questa regola che determina ogni relazione sussistente fra
gli elementi della creazione.
Essa trova la
sua massima espressione nella settima Lama degli Arcani Maggiori (Il Carro),
dove l’auriga guida due cavalli dall’interno di un cocchio formato da quattro
colonne (1+2+4=7) che richiamano il simbolismo dei quattro elementi fondanti la
creazione. Elementi che il filosofo Empedocle di Agrigento (nato nel 492 a.
C) chiama "radici" e afferma che sono quattro: fuoco,
aria, terra e acqua. L’unione di tali radici determina la nascita delle
cose, la loro separazione la morte. Si tratta perciò, sempre seguendo il
pensiero di Empedocle, di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che
l’Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in
continua trasformazione che trova direzione solo attraverso la volontà che
guida la forza positiva e la forza negativa. L’auriga guida consapevolmente il
carro, domina i due cavalli (ragione e magia, conscio ed inconscio, ecc..),
verso la conoscenza. Così è l’iniziato che consapevolmente esegue il rito nella
sua duplicità formale e sostanziale. L’iniziato consapevole non subisce il
rito, non rimane immobile; bensì ne comprende le dinamiche e le regole che lo
formano e lo animano.
L’accensione
della candela è crogiuolo di molteplici simboli. Essa è in primo luogo un
autentico atto magico che investe la materia attraverso la discesa del fuoco
vivificatore. E’ la luce della conoscenza che brilla nella notte
dell’ignoranza, è testimonianza del fuoco mistico che tutto arde, è monito
della spoliazione cui il martinista si consegna ed, infine, espressione
dell’atto di volontà magica del martinista.
Passo successivo è il collegamento telepatico con gli altri
fratelli, nelle ore prestabilite (in cadenza di sette), governate dalla
potenza e dalla gloria dell’Angelo del giorno, quale tramite fra l’operatore e
il mondo superiore.
La
visualizzazione dei fratelli e la rappresentazione psichica e materiale del
sigillo dell'Ordine collocano "volontariamente" l’operatore
all’interno della fratellanza che lo ha accolto e di cui è membra congiunte.
Unione in virtù della forza vitale eggregorica, sacro sangue che anima tutto
l’Ordine e che assume la veste delle sacerdotesse che, assieme ad Iside,
ricomposero il corpo mutilato di Osiride (in questo caso magnificamente
rappresentato dalla continuità passata, presente e futura di tutto l’Ordine
Martinista).
La
visualizzazione e il tracciamento del sigillo sono dunque l’attivo ordinarsi
all’interno della fratellanza, il consegnare spontaneamente la propria
individualità ad un’Entità superiore.
Movenze,
queste, che devono essere compiute con la sacralità e il trasporto amoroso con
cui lo Sposo e la Sposa si consegnano l’uno all’altro. A compimento
dell’apertura dei lavori vi è la batteria e il segno. Essi altro non sono che
il presentarsi del martinista all'Egregore. Leggiamo ciò come il voler essere
riconosciuto, da parte del martinista, da chi è in grado di riconoscerlo,
l’Egregore. Al contempo la batteria e il gesto simboleggiano il giungere ad una
soglia sempre presente, ma non per tutti aperta. In assenza del riconoscimento
e della coesistenza dei requisisti essenziali (iniziazione e purificazione),
l’operatore è illuso o si illude di far parte della catena, mentre ne è
realmente escluso.
Edificato lo
spazio sacro, il martinista intona la recita dei tre salmi, dando così inizio
alla fase operativa del rito.
Tradizionalmente
ogni cerimonia magica si snoda in una fraterna unione, il primo salmo: Ecce
quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!; a un’attestazione
della condizione di grazia, il secondo salmo: Beatus vir, qui non abiit in
consilio impiorum; ed, infine, da un’invocazione e/o evocazione, il terzo
salmo: Ecce nunc benedicite Dominum.
Il martinista
allontana da se ogni umana tribolazione e si compiace nell’unione con i
fratelli d’Opera e nell’amore che essi lega. Assieme a loro si pone nudo
innanzi al cospetto Divino, mostrandosi degno della sua Grazia ed, infine, ne
chiede la Benedizione.
L’invocazione
del Nome pentagrammatico rappresenta l’apice del rito giornaliero, espressione
ultima del lavoro posto in essere, cui segue la chiusura del rituale. Senza
voler entrare troppo nel merito di questa Parola di potere, possiamo dire che
essa non solo simboleggia il Riparatore, nella sua funzione di tramite e di
agente di reintegrazione, ma nella sua quintuplice combinazione ne raccoglie
ogni qualità.
Il Nome
pentagrammatico si ottiene introducendo al centro del tetragramma la scin (Lettera
madre associata al Fuoco). Questo è un fuoco diverso dal fuoco primordiale
della potenza creativa, rappresentato nel Tetragramma dalla iod o vau (a
seconda dei sistemi), questo è il fuoco misurato e costante dell’amore che
è in grado di agire come forza trasmutatrice dei vari elementi. Si noti che il
nostro cuore, sede immaginaria dell’amore, è anch’esso, come la c al centro del
nostro corpo fisico. E’ bene ricordare che sul questo piano quaternario della
nostra esistenza, è proprio il fuoco fisico, dispensato nella giusta
proporzione, che è capace di trasformare gli altri elementi nei vari stadi che
colmano la distanza fra il grossolano e il fine (da stato solido a stato
liquido - da stato liquido a stato gassoso).
Quanto sopra
esposto è l’essenzialità del rituale giornaliero di catena. In esso, fra la
recita dei tre salmi e la professione del nome pentagrammatico, è possibile (su
espressa indicazione del proprio Iniziatore per i primi due gradi, e
sull’assunzione di responsabilità per gli altri fratelli e sorelle elevati al
terzo grado) di inserire un "qualche" elemento di personalizzazione
(preghiera, meditazione, supplica, ecc... ). Ciò risponde a varie logiche,
alcune legate alla contingenza del momento (catena terapeutica, ad esempio),
altre in ragione di un particolare lavoro proposto, ed altre ancore per
consolidare il rapporto egregorico. Ovviamente ognuno di questi inserimenti,
che può essere vissuto anche come rito separato, deve rispondere a criteri di
armonia, e complementarietà.
E’ bene
ricordare, onde evitare scempi e pericolose contaminazioni, quanto segue:
1. L’Ordine non è al servizio del
martinista, ma è il martinista al servizio dell'Ordine. In quanto è il primo
che conferisce al secondo la possibilità e l’utilità di operare, all’interno di
una corrente magica ed attraverso strumenti tradizionali.
2. La Tradizione vuole ed impone che vi sia
concordanza e congruità fra lo strumento, il fine e l’operatore.
3. Ogni
mutamento è una possibile perturbazione, che anche violentemente si può
ripercuotere nella vita del singolo. L’Egregore non è espressione contingente
di un momento, ma una eterna ed intelligente presenza.
4. Ciò che differisce, è sempre responsabilità
individuale.
5. Il fine
essenziale del martinista, così come insegnatoci dai Nostri Maestri, è la
reintegrazione dell'uomo nell'uomo, e dell'uomo nel divino.
4. Finalità del Rituale giornaliero di catena
Il rituale
giornaliero di catena sviluppa una serie di interazioni fra il martinista e se
stesso, e il martinista e gli altri fratelli. Possiamo suddividere queste
relazioni in due categorie:
a) Interne
Il rituale,
nella sua giornaliera ripetizione, è un incentivo e al contempo un ostacolo,
che permette al martinista "anche" di lottare contro la propria
pigrizia. E’ bene sempre ricordare che come sussistono ed insistono agenti che
premono per la rovina dell’uomo celeste, sussiste ed insiste nell’uomo
l’inerzia, forza opponente ad ogni compimento intimo.
Inutili sono
i propositi di cimento, se non si è in grado di imporre a noi stessi la volontà
che predichiamo di avere.
La continua
proposizione di "identici" gesti e parole nel corso del tempo,
richiede un impegno in attenzione e presenza da parte dell'operatore, affinché
la pratica non divenga monotonia da evitare o espletare in malavoglia. Tale
obiettivo è conseguibile solamente alla presenza di due elementi. Il primo è da
ricercarsi nella vivificazione del rituale, nell’auspicio che dalle parole, in
se morte, si giunga ad un riverberarsi delle stesse nella sfera intima
dell'operatore. Il secondo è la capacità del martinista di divenire parte
integrante della catena, componente del pulsare della corrente psichica dei
fratelli e delle sorelle.
E’ attraverso
il necessario raccoglimento e separazione dal flusso del tempo e dello spazio
profano, che il martinista ha la possibilità di osservare come la propria
psiche reagisce all’operazione posta in essere. Attraverso l’individuazione
degli stati d’animo e del proprio spettro emozionale ed energetico, egli può
valutare il proprio equilibrio, e le mancanze su cui operare. E', infatti,
possibile, con la dovuta capacità di percezione e analisi, determinare
corrispondenze fra le fasi del rito, e la composizione occulta del corpo. In
quanto il rito è tale, in virtù del martinista che è esso stesso rito.
b) Esterne
Il rituale
permette, come accennato, al martinista di essere parte integrante della
catena, attraverso il collegamento egregorico.
La catena non
deve essere percepita nella "ridotta" della loggia o dell’Ordine, ma
quale continuo "giammai" interrotto con i fratelli passati, e futuri,
in virtù della presenza unificatrice dell’Egregore.
La funzione
di questa realtà psichica, consolidata nel tempo, è quella di ricevere dai
mille rivoli rappresentati dalla persistenza dei fratelli. Essi si forgiano in
un’unica "corrente" intelligente e possente, che ovviamente travalica
la sfera del singolo.
E’ quindi per
rinnovare il collegamento con via di
comunicazione e comunione, che è necessario il rito di purificazione durante la
fase della Luna Nera. E’ solo attraverso il retto pensare, l’abluzione
nell’acqua e nei fumi dell’incenso che il martinista espelle da se le scorie
psichiche accumulate nel corso del suo transito, e rinnova volontariamente il
patto con l’Egregore.
Altresì è
necessario che il martinista ricordi il sacro impegno di ricercare la
reintegrazione con la propria sfera divina, in ogni momento della sua vita,
affinché il sentiero di rettitudine sia un atto di volontà. La comunione con i
fratelli permette all’operatore di godere di un’intensificazione dello spazio,
degli strumenti, e dell'attitudine magici, agevolandolo nelle parti
preparatorie ed operative del rito.
5. Rapporti fra il Rituale giornaliero, natura e
qualità del martinista.
Se è vero che
quella martinista è un’iniziazione reale, è altrettanto vero che il rituale
giornaliero è la basilare operatività del martinista. L’iniziazione è il
deporre un seme e l’operatività il lento germogliare dello stesso, fino al
compimento della propria natura. L’essenza del rito giornaliero, come si è
visto, risiede in un vero e proprio atto magico, tradizionalmente tripartito
(fratellanza, testimonianza, invocazione ed evocazioni), la qualità quindi
richiesta al martinista è quella sacerdotale, per i fratelli che hanno tale
ruolo all’interno dell’Ordine, e coadiuvatori del sacerdote per i primi due
gradi. La capacità di purificare e consacrare il tempio (il martinista stesso)
e porvi in essere la celebrazione del rito, differenziano la recita teatrale,
dalla vera Cerimonia, la pantomima dall’Opera, la farsa dalla Realtà, e
l’improvvisazione dalla Tradizione.
Per ottenere
questa naturale inflessione del proprio essere, è richiesto l’integrale
compartecipazione dei tre corpi del martinista.
Il corpo
fisico che deve essere non sottoposto all’azione perturbatrice di sostanze che
lo rendono schiavo.
La mente deve
essere erudita sulla tradizione martinista,
sempre attenta e ricettiva verso l’operazione che si sta compiendo.
L'anima
consacrata alla purificazione e redenzione, non deve essere straziata dai
clamori del mondo profano.
E’ utile
quindi che il martinista approfondisca lo studio dello gnosticismo, della
cabala, della mistica, e del significato di reintegrazione. Riesca ad abbattere
i propri condizionamenti culturali e psicologici nei confronti della preghiera,
che non deve essere vista come passivo atto devozionale, ma sollecitazione
dell’uomo verso il Divino. Deve il martinista interrogarsi sul perché della nascita
del martinismo stesso, e del messaggio di conoscenza che esso incarna. Inoltre
il martinista deve preservare il proprio corpo, avendo la consapevolezza che
esso è involucro necessario al suo agire su questo piano denso e grossolano.
Ancora la
mente deve essere educata, tramite la meditazione e l’esercizio
dell’attenzione. L’armonia, l’erudizione
e l’intuito sono le condizioni necessarie per il mago, come per il sacerdote.
Il rito
giornaliero non deve essere quindi visto come atto dovuto ed impaccio, ma,
tenendo presente quanto detto, come espressione finale di una preparazione
costante e profonda.
6.
Conclusioni
Il rituale
giornaliero, nella sua armonica strutturazione, consiste in un'apertura, una
fase operativa, e una chiusura. Dove elementi simbolici, sonori, e gestuali
trovano una fusione che investe, o dovrebbe investire il martinista, in ogni
espressione del suo essere: sfera fisica, psicologica, ed energetica. La
presenza a noi stessi, e l'attenzione sull'Opera che si sta compiendo, oltre
ovviamente ad una congruità ideale e spirituale alle radici tradizionali del
martinismo, porteranno l'iniziato a non vivere il rituale giornaliero come una
parentesi più o meno ostica all'interno del transitare del tempo, ma ad
organizzare la propria vita attorno al rituale giornaliero stesso. Così come
una ruota trova il proprio centro e ragion d'essere nel perno. La comprensione
delle dinamiche che legano ogni elemento del rituale, porteranno a considerarlo
non come una sequela di elementi fra loro misteriosamente ed artatamente
connessi, bensì come unica e sempre fruttuosa espressione dove lo stesso
martinista è elemento di volontà e d'opera, parte integrante ed indistinta di
un rituale che non è più posto esternamente a sè, ma ne rappresenta una
simbiotica risonanza.
Il rituale giornaliero è uno dei capisaldi dell'identità
martinista, che continuamente ripeto essere di fattiva opera e non di sterile
filosofia, e l'iniziato trova in esso quel nutrimento supersostanziale.
Nutrimento che investe ogni bisogno del proprio essere magico, in virtù della
prospettiva operativa che lo guiderà attraverso l'esercizio della docetica
impartita da propri superiori viventi, e sotto l’influsso benefico dei Maestri
che hanno passato il velo ma che sono sempre presenti.
E’ mia profonda
convinzione che il bene e la longevità dell'Ordine da una maggior comprensione
delle sottili dinamiche e degli strumenti che ci legano, pur nella nostra
specificità, l'un con l'altro. Tale funzione di "legato" è
simboleggiata in massima espressione proprio dal rituale giornaliero, che
assomma in se ogni aspetto dell’opera martinista.
Concludo con
l'auspicio che ogni fratello e sorella abbia sempre attenzione allo studio e
alla pratica, alla comprensione dei sottili dinamismi dell'operatività martinista,
affinché il suo operare sia nobile, e non un mero involucro senza sostanza.
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