martedì 27 giugno 2017

EVOCAZIONE - INVOCAZIONE



Amato Fratello purtroppo viviamo in un contesto culturale e sociale dove il potere della parola, la sua capacità di declinazione in guisa del contesto in cui viene scandita, si è oramai quasi del tutto perduto. Sia in ambito religioso, che in ambito iniziatico, quella che un tempo era la Parola Sacra sembra essere stata sostituita da inutile e soffocante verbosità. Dove al vibrare della parola divina capace di portare mutamento in virtù della sua rivelazione, si è sostituita una cacofonia di pensieri, di espressioni che non sottintendono al sacro, bensì all’ego di chi le pronuncia o a questioni che trovano radice nella morale, e nello spirito dei tempi.
Eppure non sempre è stato così, la stessa cultura popolare rimanda, nei suoi proverbi ed espressioni, ad un tempo, non tanto remoto, dove le persone impegnavano se stesse in virtù di una parola, nei testi religiosi troviamo come il nome di Dio poteva scatenare tempeste, distruzioni o essere balsamo per gli uomini. Ancora nei testi iniziatici di ogni tradizione troviamo il potere di certe parole, in grado di agire sul piano manifestativo e sull’uomo stesso. Parole necessarie per accedere ai sacri templi, per scandire i tempi e gli effetti dei rituali e per porre il Magister in comunione, e attraverso di lui tutti i fratelli, con la manifestazione divina.
Tutte le tradizioni rimandano alla parola, al verbo, al suono, come il momento in cui ha avuto germoglio e luce la creazione delle cose tutte. Del resto riflettiamo come in assenza di parola, di suono, i nostri pensieri rimangono celati al mondo. Certo alle volte sarebbe bene sposare con maggior convincimento la regola del silenzio, onde preservare la parola stessa dal degrado e dall’eccesso.
Riflettiamo su come sussista un altro elemento fondamentale che associato alla parola le dona valore di imperio, di semplice enunciazione, o di altro che andremo a vedere. Questo elemento è la volontà che implica sempre un grado di consapevolezza, in quanto chi non è consapevole di ciò che è e di ciò che desidera non ha volontà, e la volontà stessa è misura della consapevolezza di noi stessi, e delle cose tutte.
In virtù di quanto sopra detto la preghiera, che come ho sottolineato è elemento neutro, può assumere, in relazione all‘inflessione dell‘operatore, carattere devozionale, invocativo o evocativo.
Attorno all’aspetto devozionale è possibile affermare che è in genere l’aspetto che i più colgono nell’atto dell’atto di pregare. Dove l’uomo cerca attraverso la preghiera soluzione ad uno stato d’animo o di bisogno in cui versa. Richiedendo, in modo interessato, l’aiuto e il conforto divino, riconoscendo alla preghiera stessa funzione di corretto strumento di collegamento fra se stesso e il sacro. Evidentemente il fedele riconosce l’esistenza di una Potenza esterna con cui è capace di comunicare e che al contempo è in grado di dare soluzione alla sua afflizione. Questo è l’atto devozionale compiutamente inteso. Personalmente provo enorme tristezza per certi grassi affabulatori di cose esoteriche ed iniziatiche, che non hanno di meglio da fare, invece di misurare i propri insuccessi, che denigrare coloro che ardentemente ed umilmente pregano. Incapaci di comprendere che forse la signora anziana che tutte le mattine con devozione recita il rosario, è assai più vicina alla tradizione che loro con le astrazioni fetide nelle quali sono immersi.
Terminata la breve disanima sotto l’aspetto devozionale, affrontiamo adesso i due aspetti della preghiera che maggiormente rientrano nella nostra sfera di interesse. Benchè identica sia la radice, invocazione ed evocazione sono atti e fatti, aventi natura che attiene a sfere diverse sia dell‘agire che delle capacità dell‘adepto.  Ovviamente la preghiera, minimo comun denominatore ad entrambi, qui intesa e posta in opera, non riveste quel significato devozionale che abbiamo in precedenza visto, ma bensì di attivo e consapevole dialogo e comunione con il divino che vive in noi. Un dialogo teso alla manifestazione nella Potenza-Intelligenza interpellata tramite un’irruzione diretta su questo piano o l’influsso ed attribuzione di una sua qualità.  
La parola invocazione deriva dal latino, e il suo significato è un rafforzamento della parola vocare che esprime il concetto di chiamare a sé. Ecco quindi che invocare ha come significato quello di chiamare con forza e volontà a noi un qualcosa. Nella ritualità cristiana, rappresenta un genere di preghiera che si recita durante il canone della messa. In tale occasione si richiede l‘assistenza della divinità, nelle forme di potenza, saggezza e benevolenza, affinchè essa sia favorevole al nostro operato. L‘uomo si rimette quindi ad una qualità o funzione del divino, o ad una intercessione di una potenza minore, che sia da tramite con una maggiore, oppure che permetta il passo in regioni altrimenti precluse. Troviamo l’invocazione in numerosi rituali di loggia o individuali, dove si richiede la benedizione divina sui fratelli e le sorelle, a conclusione del rituale. In genere lo stesso rituale è congegnato in modo da rappresentare un percorso di riconoscimento e purificazione, in modo da poter essere degni di raccogliere l’influsso superiore.
Riporto, a titolo di esempio, due invocazioni presenti nella rituali degli Eletti Cohen[1]:

1. O Saggezza, che è uscita dalla bocca dell'Altissimo; che giunge con forza da un'estremità all'altra, e che dispone di tutte le cose con meravigliosa dolcezza, vieni ad insegnarci la strada della Verità. 2. O Capo della casa d'Israele, che sei apparso a Mosé sotto le apparenze di un roveto ardente; e che gli hai dato la fede sul monte Sinai, vieni a dispiegare la potenza del tuo braccio, per liberarci. 3. O virgulto di Jesse, o Tu che sei esposto come oggetto di ammirazione all'attenzione di tutti i popoli! Tu, che sarai visto con stupore e silenzio dai Re; e che riceverai le preghiere ed i voti delle Nazioni; vieni a liberarci, e non tardare oltre! 4. O chiave di Davide, o scettro della casa d'Israele! O Tu, che apri e che chiudi tale sorta di porta, che quando tu la apri, nessuno la può chiudere; e quando la chiudi, nessuno la può aprire; vieni a liberare dei prigionieri e porre in libertà i prigionieri che si trovano nelle tenebre. 5. O Oriente! O splendore della luce eterna! O Sole di giustizia! Vieni ad illuminare coloro che si trovano nelle tenebre e nell'ombra della morte! 6. O Re di gloria! O Desiderato dalle nazioni! O pietra angolare che unisce insieme le due nature; vieni a salvare l'uomo che è stato formato dal limo della terra. 7. O nostro Re e nostro legislatore! O attesa e Salvatore delle Nazioni! Vieni o Dio nostro Signore, vieni a salvarci. 8. O Croce di Gesù-Cristo mia unica speranza! Fa che in questo cuore elementare una fede ferma, una speranza incrollabile ed una carità ardente mi preparino al godimento delle Tue ineffabili dolcezze. Amen. Amen. Amen. Amen.
Invocazione del Santo Nome di Gesù-Cristo O Gesù, sii l'oggetto di tutta la mia tenerezza! Gesù, sii il mio sapere, la mia forza e la mia saggezza! Gesù, sii il mio soccorso, la mia difesa ed il mio re! Gesù, sii la mia grandezza, il mio esempio e la mia legge! Gesù, sii la mia speranza! Gesù, sii la mia condivisione! Gesù, sii il mio tesoro, la mia pace, la mia eredità! Gesù, sii la mia dolcezza, il mio sapore ed i miei desideri! Gesù, sii il mio riposo, la mia fortuna, i miei piaceri! Gesù, sii nel mio cuore! Gesù, sii la mia bocca! Gesù, sii il mio sentiero! Gesù, guida i miei passi! Gesù, sii me, Gesù, il giorno del mio trapasso! Amen. Amen. Amen. Amen.

La parola evocazione deriva anch‘essa dal latino e significa chiamare fuori. Essa fa direttamente riferimento a quei rituali dove venivano “direttamente“ invocate le divinità, creando quindi un passaggio fra il nostro piano manifestativo e piani più sottili ed incorporei. Attraverso l’evocazione si richiede non tanto un influsso superiore, quanto piuttosto la presenta dell’entità con cui si intende operare. All’interno della liturgia cattolica possiamo vedere nel messale eucaristico tale atto, dove in virtù del potere del rituale il vino e il pane divengono il sangue e il corpo del Cristo. I quali successivamente verranno assimilati dal sacerdote e dai fedeli.
Riportiamo a titolo di esempio due preghiere evocative presenti all’interno dei rituali del Sovrano Ordine Gnostico Martinista.
Ego sacerdos sum in aeternum secundum ordinem Melchisedech.

Veni Eon Christe hoc in mundo, Dux noster es

Come è possibile notare l’operatore/sacerdote, in forza di un suo reale potere, chiede la manifestazione su questo piano della Potenza invocata. Oppure è Egli stesso il luogo dove essa si manifesta. Nel primo caso egli svolge funzione di canalizzatore e nel secondo caso di catalizzatore.

A rafforzare quanto sopra indicata, desidero riportare questa pregnante frase estratta dai testi dei nostri maestri gnostici alessandrini:

“«Per la salvezza dell’Uomo Originario mandami, Padre.  In possesso dei sigilli io scenderò,  attraverso gli Eoni mi aprirò la via,  aprirò tutti i misteri,  renderò manifeste le forme dei falsi dèi,  i segreti della Via sacra, conosciuti come Gnosi, io trasmetterò.»

Siamo innanzi ad una invocazione? Ad una preghiera? Ad una evocazione? Oppure questo breve e pregnante scritto raccoglie ognuno di questi elementi dando forza e vitalità all’intento magico in esso raccolto? L’orante (l’Eone Cristo) prega il Padre (Il Dio Occulto degli Gnostici) di essere inviato sulla Terra (nel mondo di luce ed ombra governanto dagli arconti), al fine di salvare l’Uomo Originario (lo gnostico) dall’azione degli spiriti di prevaricazione. Tale proposito salvifico trova attuazione nel possesso dei sigilli, dei nomi dei falsi dei e della conoscenza (che nello gnosticismo è forma e veicolo di salvezza). Siamo quindi in presenza, in poche righe, di una perfetta composizione di ogni espressione legata alla preghiera.

E’ sempre utile ricordare come qualsiasi rituale tradizionale è composto dalla progressione di queste tre inflessioni della preghiera. In quanto l’operatore inizialmente darà vita ad una preghiera tesa alla soppressione del pensiero passivo e reattivo, in modo che possa affiorare il pensiero del Sé che dimora nelle nostre profondità. Successivamente, adegutamente purificato[2], egli invocherà attributi divini di perfezione o l’amorevole influsso divino nei confronti dei fratelli. Infine, debitamente purificato e resosi canale del divino, egli ne acquisirà personalmente qualità o cercherà l’irruzione del medesimo all’interno del perimetro manifestativo. Nel Martinismo, ad esempio, l’irruzione divina nel quaternario inferiore è rappresentata dall’Ignea Shin. Essa è lo Spirito che tutto purifica e vivifica. Rossa gemma incastonata nella nigredo dei quattro elementi inferiori.
Caro Fratello il nostro sussistere in questa effimera manifestazione e la sottomissione alla sua legge, non comprende interamente la nostra natura. La quale oscilla su più piani, e come una rete sinaptica si estende in un intreccio di relazioni sottili e multidimensionali. Partendo quindi dal presupposto che tutto è dentro di noi e che quanto è posto al nostro interno si estende ben oltre i limiti della nostra carnalità e della nostra mente, possiamo richiamare, per assonanza e volontà, quelle forze e potenze in grado di estendere il loro influsso sul nostro lavoro interiore. Ovviamente tutto ciò deve accadere in accordo con la tradizione di riferimento, cercando di evitare dannosi sincretismi in grado di rendere sterile il nostro lavoro. Invocazione ed Evocazione assumono quindi un nuovo significato che è quello di far emergere alla nostra presenza, alla nostra vigile attenzione, in forme immaginifiche, poteri ed attributi ad esse associate, enti che sussistono negli strati più profondi del nostro essere. Enti che compongono la nostra variegata e composita struttura psichica ed animica, e che senza adeguati strumenti, fra cui la preghiera, non ne riusciamo a percepire presenza, intelligenza e vitalità. In un iniziato, in una persona integrata e presente a se stessa, chi comanda e chi ubbidisce si ritrovano in un medesimo soggetto. Ecco quindi che gli elementi divini o demoniaci non sono altro che aspetti scissori, o particolari, o settari di noi stessi, e tramite la nostra attiva azione cerchiamo di ottenere benefico influsso dai primi, reintegrazione dei secondi, ed infine composizione in un Uno Assoluto di ognuno di essi. Ecco quindi come nel nostro lavoro giornaliero qualora dobbiamo agire per contrastare un particolare aspetto della nostra natura, che riteniamo disfunzionale è necessario invocare quella manifestazione divina che grazie al proprio influsso è in grado di contenere ed annullare la manifestazione di tale elemento. Oppure ricorreremo all‘evocazione qualora dobbiamo agire non tanto sulla manifestazione dell’elemento, quanto piuttosto sulla propria radice. In alcune scuole iniziatiche sono insegnate particolari tecniche di mantralizzazione da associare durante il lavoro interiore, per dissolvere determinate strutture scissorie o disfunzionali interiori. Tutto ciò ha però sempre fondamento nella preghiera, nelle sue varie inflessioni (devozionale, evocativa, invocativa) e nella consapevolezza di chi la pone in essere. E’ con la preghiera che entriamo in contatto con le varie articolazioni del nostro essere.

Elenandro XI S:::I:::I:::



[1] L’ ordine dei cavalieri massoni eletti cohen dell'universo fu fondato da Martinez de Pasqually (1727-1774), dove ai consueti gradi di apprendista-compagno-maestro venivano innestate ulteriori classi di grado. Le quali dovevano portare l’iniziato ad essere coadiuvatore dell’opera divina attraverso lo strumento teurgico. Erano necessari, per conseguire tale mirabile risultato, periodi di profonda purificazione, preghiera e meditazione. In quanto ciò che è impuro genererà sempre impurità.
[2] Purificato significa essere reso netto. La radice di puro (pyr) è identica a quella di fuoco. Il fuoco riduce tutto all’essenza di ciò che è, oltre ogni apparenza.


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