venerdì 23 settembre 2016

LA CABBALA. IL SOFFIO DI DIO

Inquadramento Storico

Chiunque si sia cimentato nella lettura di un testo di esoterismo si è imbattuto nel termine Cabbala. Certamente tutti i presenti conoscono il termine ed il suo significato, ma il più delle volte in maniera superficiale o dando la conoscenza della Cabbala per scontato, tanto da non riuscire a compenetrare alla perfezione il testo da cui il termine è scaturito. Il mio, ovviamente, non vuole essere un lavoro esaustivo, né tanto meno completo, non ne ho la capacita, né tanto meno il tempo, voglio solo incidere un lavoro breve e di facile consultazione che possa dirimere le nebbie in cui la Cabbala è avvolta per la maggior parte di noi. Io non sono né di cultura né di religione ebraica, e questo se da un lato può essere un difetto, in quanto sicuramente commetterò alcuni errori nella stesura della Tavola, dall’altro può essere anche un vantaggio in quanto questo mio lavoro è inciso per i Gentili Per gli ebrei, erano coloro che non discendevano da Giacobbe, oggi per estensione si intende tutti i non ebrei., e quindi potrà forse risultare più comprensibile, dal momento che più difficilmente darò per scontate delle cose che per un ebreo sono palesi, ma che potrebbero non esserlo per colui che ebreo non è.
Il termine deriva dalla radice Quf Beit Lamed che compare solo due volte nella Torah; estremamente interessante e indicativa del modo di lavorare della Cabbala è l’analisi della grafia della radice stessa: Quf si estende con una gamba al di sotto della linea inferiore del rigo sul quale sono scritte le lettere ebraiche, Lamed, al contrario si innalza al di sopra della linea superiore, Beit posta al centro al centro vale due volte, come i due aspetti di ogni cosa creata, è inoltre la prima lettera della Torah, quindi la lettera con la quale Dio creò il mondo. Questa disposizione richiama una stretta correlazione tra ciò che sta in alto e ciò che sta in basso concetto che mirabilmente espresso anche nella Tavola Smerladina testo fondamentale dell’Ermetismo; tale analogia, come vedremo, pervade sottilmente tutta la Cabbala, lo stesso Zohar afferma “Allungò la mano destra e creò il mondo sovrastante./ Allungò la mano sinistra e creò questo mondo…./ Creò questo mondo perché fosse ugual a quello soprastante, e ciò/ che esiste lassù ha la sua controparte quaggiù”. Ma passiamo al significato del termine:
“[…] Kabbala che in ebraico significa appunto “ciò che è stato ricevuto”, “ciò che proviene d’altrove”, “ciò che si passa di mano in mano“” Donato Piantanida: “La chiave perduta”; Atanor, 1996 pag. 48 nota 8, non significa in realtà altro che “Tradizione”, e tale termine viene inizialmente usato solo con tale significato, ma ben presto verrà utilizzato per indicare una dottrina segreta della tradizione ebraica, una specie di gnosi ebraica. “”Cabbala” è il termine tradizionale più comunemente usato per indicare il patrimonio degli insegnamenti esoterici del Giudaismo e del misticismo giudaico, in particolare le forme che quest’ultimo assunse durante il Medioevo a partire dal secolo XII. Nel suo senso più ampio, indica tutti i successivi movimenti esoterici nell’ambito del Giudaismo che si evolvettero dalla fine del periodo del Secondo Tempio e divennero fattori attivi della storia ebraica” Gershom Scolem: “La Cabala”; Ed. Mediterranee, Roma, 1982. Pertanto potremo definirla la componente mistica dell’Ebraismo Per “misticismo”, intendiamo un’insieme di conoscenze e di insegnamenti, il cui scopo è quello di portare le persone ad un contatto intimo e diretto col Divino, più ricco e completo di quanto la sola mente umana possa stabilire.. La possibilità di raggiungere veri e propri stati di illuminazione profetica, o di estasi mistica, è confermata da numerosi brani della Bibbia. In base a tale testo però, solitamente è Dio a mostrarsi alle persone da Lui scelte, di volta in volta. Ciò può avviene in modo diretto, oppure tramite angeli, o sogni, o visioni. Tale processo segue dunque una direzione dall’alto al basso. Nella Cabbala, invece, si cerca, con tecniche opportune, di far sì che sia la persona stessa a prepararsi ad un simile incontro. La direzione seguita è dunque quella dal basso all’alto; nel contempo, non si deve avere la pretesa di arrivare ai vertici delle esperienze e visioni descritte nella Torah. Di tale dottrina ne abbiamo notizia fin dal II secolo a.C. (anche se i mistici ebrei sostengono che la cabala risale ad Adamo), ma ha iniziato ad affiorare in maniera apprezzabile solo nel XII o XIII secolo; in realtà il termine comprende due forme di esperienza mistica, da una parte una forma moderata di speculazione teosofica e detta anche Cabbala speculativa, che attraverso lo studio della Torah porta il mistico a contatto con i segreti della Torah stessa, la quale preesiste all’eternità, e quindi a contemplare ed interagire con la divinità stessa; dall’altra la forma intensiva detta anche Cabbala pratica che attraverso parole magiche e combinazioni delle lettere formanti il nome di Dio pronunciate in determinati modi, conduceva al rapimento estatico del mistico.
Prima di procedere oltre è bene chiarire cosa si intende per Torah: letteralmente il termine significa “Dottrina”, ma solitamente viene intesa nel termine più ristretto di “Legge” che nell’Antico testamento indica una norma insostituibile del rapporto Uomo-Dio; si distingue una Legge scritta, e una Legge orale, entrambe consegnate da Dio a Mosé sul monte Sinai. Col termine Legge scritta, gli ebrei indicano la Bibbia, o meglio una parte del testo sacro, il così detto Pentateuco costituito dalla Genesi, l’Esodo, il Levitico, i Numeri e il Deuteronomio. Il Pentateuco, che in greco significa “cinque astucci per libri”, inizialmente si pensava fosse stato scritto interamente da Mosé, in realtà sembra sia costituito da una raccolta di testi e di tradizioni orali risalenti dal IX al V secolo a.C.. La tradizione orale è rappresentata dalla Mishnà, o meglio dalla componente legislativa della Mishnà, detta Halakhà. La Mishnà è stata raccolta per la prima volta dal patriarca Jehudà ha-Nasi intorno al 200 d.C. e comprende un vero e proprio codice legislativo e di comportamento fino ad allora trasmesso solo oralmente per l’intero rabbinato; è costituita da sei sezioni tematiche: Semenze, Festività, Donne, Danni, Cose sacre. “La Mishnah profila una situazione a-storica esemplare o ideale, nella quale i diversi atti di santificazione della vita dell’uomo vengono compiuti sulla base di modelli debitamente stabiliti. L’opera dell’agricoltore è consacrata dalla presenza di Dio e dal lavoro (ritualizzato)” (Mircea Eliade). La Halakhà è un codice vincolante ed indica l’insieme delle pratiche e dei precetti che ogni ebreo deve seguire nella vita pubblica e privata per operare la volontà di Dio. La Torah è quindi la manifestazione della volontà di Dio e quindi è il massimo dono che Dio ha fatto al Suo popolo. Infine il Talmud (che significa studio, quindi Talmud-Torah è lo studio della legge) indica una raccolta di commenti, di studi e di ampliamenti alla Mishnà stessa; si compone di due opere il Talmud di Gerusalemme e il Talmud babilonese. Infine la Torah è composta da 613 precetti, di essi 248 contengono precetti positivi e 365 sono interdizioni.
Ma torniamo alla Cabbala. Solamente nella seconda metà del primo millennio si è iniziato a studiare in maniera più approfondita il problema della creazione del mondo, ovvero i dettami contenuti nella Genesi; tale studio, originato in dalle sette gnostico-giudaiche fiorenti nell’Egitto ellenistico ed in Palestina Arturo Schwarz: “Cabbalà e Alchimia”; Ed. Giuntina, Firenze, 1999 pag. 12., ben presto si diffonde in ogni regione interessata dalla diaspora Con tale termine si intende la dispersione del popolo ebraico nel mondo iniziata dopo la distruzione del Primo Tempio al tempo dell’esilio babilonese 520 a.C. (?), e diventata più evidente dopo la distruzione del Secondo Tempio da parte di Tito (70 d.C.) e soprattutto dopo l’eccidio di Massala e la distruzione di Gerusalemme (130 d.C.)., ma in particolare in Spagna (Gerona e Barcellona), nella Francia meriodionale e della Linguadoca (Narbone, Arles, Marsiglia) dove, soprattutto nei secoli XII e XIV, assume una diffusione formidabile; forse non è un caso che nello stesso periodo, nello stesso luogo sul versante Cattolico si sviluppi la gnosi catara! Sempre nella terra d’oc ha origine il testo base per lo studio della Cabbala, lo Zohar (1240-1280), e che pone la distinzione fra l’aspetto rivelato e nascosto della divinità, ed espone i dieci attributi o forze di Dio ed i gradi della rivelazione divina. Più o meno contemporaneamente la Spagna dona i natali a colui che forse viene considerato il più grande cabalista, Abraham Abulafia di Saragozza. Abulafia faceva parte di quella corrente filosofica detta estasica che si contrapponeva alla scuola teosofica di Gerona; sviluppò una tecnica meditativa detta Hokmath ha-Zeruf (scienza della combinazione delle lettere). Mediante questa tecnica era possibile creare combinazioni di lettere dell’alfabeto, ed in particolare del Tetragammaton Per gli ebrei il nome di Dio è impronunciabile, quando ci si riferisce a Lui è necessario utilizzare o il nome generico di Dio o il Tetragrammaton costituito dalle quattro lettere simboliche YHWE la cui giusta pronuncia è oggetto di studio della cabbala., che non necessariamente formavano parole di senso compiuto, ma che rappresentavano l’espressione di un linguaggio spirituale, molto prossimo alla musica e che facilitava la liberazione dai vincoli umani e favoriva la concentrazione sulla natura divina.
Ben presto si fa strada nel movimento cabbalistico una concezione neoplatonica-speculativa a forte impronta ascetica, che culminerà in una rigorosa religiosità della Torah interpretata in senso mistico; ovvero, la Torah è l’unica legge cosmica, in essa vi sono celati tutti i misteri e le conoscenze del mondo, che quindi possono essere compresi solo attraverso un accurato studio della Legge stessa, inoltre, secondo tale interpretazione, l’ebraico è la “lingua ufficiale” della creazione del mondo.
Il movimento cabbalistico raggiunge il suo massimo splendore nel periodo che va dal XIV secolo al XVII secolo, ma soprattutto in seguito dell’espulsione degli ebrei dal regno di Spagna (1492) tale movimento assume un carattere messianico escatologico raggiungendo tutti i luoghi della diaspora. Tale diffusione trova molto favore soprattutto nell’Europa centrale dove la Riforma protestante crea un movimento penitenziale di attesa messianica, ed è proprio in questo contesto che la Cabbala tende a perdere la sua iniziale connotazione esoterica. Su questo terreno fertile l’essoterismo cabbalistico dà luogo anche a superstizioni popolari quali demoni, magia delle lettere e l’uomo artificiale, il Golem Per Golem si intende una creatura di sembianze umane cretate dalla materia informe (più spesso argilla) generato per mezzo di una formula magica derivante da una combinazione cabbalistica del Tetragrammaton. La leggenda popolare na attribuisce la creazione al rabbino di Praga, Judah Loew ben Bezalel..
Il misticismo della Cabbala non è mai stato visto di buon occhio dall’ortodossia giudaica Nel caso dell’ebraismo per ortodossia ed ortoprassia dobbiamo intendere il significato strettamente etimologico di retta dottrina e retta via, ovvero la retta stada, il retto cammino che l’ebreo deve compiere sotto gli insegnamenti della Torah. e sempre accusato, condannato, e solo talvolta addomesticato ed inglobato, al contrario di quanto è avvenuto nelle altre religioni messianiche dove il misticismo è stato posto a fondamento dell’intera religione come ad esempio nelle religioni di origine indiana.
Se il cabbalismo spagnolo ha profondamente influenzato la cultura non solo della penisola iberica, ma di tutta l’Europa centrale, quello palestinese non è certo stato da meno. A Safed si trova la scuola cabbalistica del leggendario “santo leone” Iishaq ben Shelomò Luria (1534-1572) nato a Gerusalemme, ma che operò prima in Egitto e poi a Safed dove fondò la sua celebre scuola; Luria sviluppa una tecnica di meditazione sulle singole lettere della Torah per determinare una unione con il divino. Si deve, inoltre, proprio a questo autore l’infiltrazione di concezioni gnostiche nella cabala, e nell’ebraismo ortodosso. Le scintille di Luce con la diaspora sono disperse per il mondo, e solo una loro riunificazione, un loro ritorno allo stato iniziale possono riportare all’armonia divina.
L’eccessiva aspettativa messianica che pervade la cabala del XVI e XVII secolo porterà all’esaurimento del movimento, in quanto, basandosi sulla Cabbala luriana, un certo Shebbetaj Zevi si fece proclamare Messia, ma durante un suo pellegrinaggio ad Istanbul, fu incarcerato e, una volta messo di fronte alla scelta o morte o conversione, si converte all’Islam. Ugualmente dopo circa 70 anni un certi Jakob Frank si presenta come la reincarnazione di Shebbetaj Zevi, ma dopo numerose peripezie che gli comporteranno anche la “scomunica” rabbinica, e due conversioni una all’Islam ed una al cattolicesimo, morì come seguace dell’ortodossia russa. Questi avvenimenti screditeranno enormemente il cabbalismo agli occhi degli ebrei, tanto che il suo destino appare segnato definitivamente. Oggi il movimento cabalista sopravvive solamente nel chassidismo dell’Europa orientale Movimento sviluppatosi nella seconda metà del XVIII secolo, nell’Europa orientale, detto dei pii (chassidim) sotto la guida del traumaturgo Eliezer Baal Shem Tov ed incrementato da rabbi Nachman di Brazlav. Secondo tale movimento le speculazioni gnostiche sui misteri di Dio vengono svilippati in senso morale, in enunciazioni sull’uomo e sul suo cammino morale per raggiungere Dio, che può essere trovato ovunque, anche nei posti più profani.. La cabala, proprio per il suo particolare sviluppo nel corso della storia e nella diaspora, non è costituita da un sistema univoco, ma da una molteplicità di sistemi di approccio al simbolismo, diversi e talvolta contraddittori. Comunque due gradi sistemi si sono evoluti nel corso della storia: la gamma dei simboli come sono elaborati nel periodo di Safed e cristallizzati a Gerona e che trova la sua massima espressione nello Zohar o “Libro dello splendore”, e la gamma dei simboli della cabala luriana facente capo a Jizchaq Luria. A questi due sistemi dobbiamo aggiungere Moses Cordovero la cui dottrina, pur facente capo allo Zohar rappresenta un sommario e uno sviluppo delle diverse tendenze della Cabbala, e la sua opera è un interessante tentativo di sintetizzare e costruire un sistema cabalistici speculativo.
Un successivo sviluppo della Cabbala si ebbe nel XVIII secolo con Israel ben Eliezer noto come Baal Shem Tov (il portatore del buon nome) fondatore del chassidismo (dall’ebraico chassidim “devoto”).
I Libri della Cabbala
Fra i numerosi testi di cabbalismo i principali si riducono a sei tutti scritti dal 1200 alla metà del secolo seguente:
· Sefer Yetzirà: Libro della Formazione o della Creazione. È forse il libro più antico, contiene la descrizione della dieci Sephiroth o emanazioni, sembra sia anteriore al IV secolo da Rabbi Akiba;
· Sefer Ha Zohar: Libro dello Splendore. È forse il più importante libro sulla Cabbalah, origina dalla scuola spagnola scritto, sembra dal rabbino Moses de Léon fra il 1240 e il 1280 o forse solo tradotto da un testo più antico le cui origini risalirebbero ad un discepolo di Rabbi Akiba detto Rabbi Simon; appare come un commento al Panteteuco, è un libro estremamente poetico ricco di immagini simboliche e di passaggi intuitivi spesso molto difficili “Lo Zohar deve essere visto come un grande compendio dl pensiero cabbalistico esso precedente, pensiero rielaborato e integrato nell’immaginazione poetica dell’autore. I concetti contenuti in semplici indizi o in goffe espressioni nelle generazioni a lui precedenti, ora emergono chiaramente come parte dell’antica saggezza” Arthur Green: “The Zohar”.. Sfortunatamente non ne esiste una traduzione italiana;
· Sefer Ha Bahir: libro della Luce Chiara o dell’Illuminazione, è un libro estremamente sintetico composto da un centinaio di aforismi attribuito a Nehuniyà ben ha-Qanà.
· Shzqel ha-qodesh: scritto da Moshé de Leon.
· Iggeret ha-qodesh: o la Lettera Santa scritto da Yosef Giqatilla;
· Gli scritti dell’Arizal rappresenta il fondamento della Cabbala moderna e sono nati come commento allo Zohar.

I Fondamenti Della Cabbala

Data l’estrema frammentarietà della cultura ebraica, dovuta alla diaspora, la Cabbala non rappresenta un sistema univoco, anche i principi fondamentali possono apparire contraddittori. Comunque sono evidenziabili due fasi nello sviluppo del pensiero cabbalistico:
· La gamma dei simboli della Cabbala primitiva fino al periodo di Safed incluso, cioè la teoria delle Sefiroth che si cristallizzò a Gerona;
· La gamma dei simboli creati dalla Cabbala lurianica che dominò il pensiero cabbalistico del XVII secolo fino a tempi più recenti.
Secondo la Cabbala, la Torah contiene insegnamenti fondamentali per la comprensione del cosmo, ma tali insegnamenti sono scritti secondo un codice inaccessibile ai più, codice che però può essere reso palese mediante l’applicazione dei sistemi di interpretazione cabbalistici. Le Sacre Scritture presentano pertanto diversi livelli di interpretazione tutti egualmente validi ed importanti:
· Semplice o letterale;
· Simbolico;
· Filosofico e morale;
· Esoterico o segreto.
La Cabbala occupandosi dell’ultimo livello interpretativo tenta di dare una risposta alle seguenti domande.:
· L’esistenza di Dio
· I segreti della creazione
· La natura dell’anima umana, e come modificarne il carattere;
· Il perché della dualità bene-male;
· Lo scopo della vita terrena e di quella futura.
La Cabbala quindi può essere considerata un sistema metafisico, un sistema di insegnamento per rendere più profonda, sincera ed efficace la vita spirituale mediante la meditazione e la preghiera e non cerca assolutamente di modificare lo stato delle cose mediante una manipolazione delle forze segrete della ceazione, né di piegare, mediante la preghiera o particolari ritualità, la volontà della divinità, e questo concetto è estremamente importante in quanto si mette in contrasto con altre sistemi mistici quali la magia e il martinismo.
All’interno della Cabbala stessa possiamo distinguere tre componenti:
· Metafisica o teorica
· Meditativa
· Pratica
La componente metafisica si occupa prevalentemente della cosmogonia e dei vari livelli dell’anima; è a tale livello che vengono studiate le Sephiroth (di cui parleremo più avanti), e il testo Biblico con tutte le sue correlazione ed interpretazioni. È caratterizzata da un linguaggio estremamente complesso e oltremodo specialistico, ma è anche in grado di portare lo studioso esperto ad altissime scoperte ed intuizioni.
La componente meditativa si base prevalentemente su una meditazione che permette di liberare la mente ed il cuore dalle preoccupazioni di tutti i giorni in modo da poter soffermarsi con mente e cuore liberi sulle varie combinazioni delle lettere ebraiche che formano le parole ed in particolare i nomi di Dio. Lo scopo è quello di liberare il corpo sottile da quello spesso, per utilizzare forse a sproposito un termine magico, e raggiungere una maggiore apertura nei confronti dell’insegnamento Divino. Tale metodo è stato usato da grandissimi cabbalisti quali Abulafia.
La Cabbala pratica si occupa della creazione di cammei o sigilli composti da lamine di metallo e frammenti di pergamena su cui venivano incise o scritte formule di esorcismo e di evocazione. Gli scopi di questa componente sono essenzialmente di protezione o di guarigione. Origina proprio da questa componente la leggenda del Golem.
Ma ancora la Cabbala può essere distinta in due opere:
· Maasè Bereshit
· Maasè Merkavà
Il Maasè bereshit, o opera della creazione, comprende quella parte della Cabbala che si occupa della cosmogonia, prende in esame i vari stadi della creazione, ovvero contiene la mappa della creazione.
Il Maasè meravà comprende la parte più propriamente mistica, tramite la conoscenza e la ricombinazione delle varie lettere formanti i vari nomi di Dio, l’anima intraprende un viaggio attraverso le sfere celesti al fine di avvicinarsi alla Luce risplendente di Dio stesso.
Queste sono i principali momenti in cui viene distinta la Cabbala, ma ne esistono ancora come il Pardes, su cui però non è possibile soffermarci. Di estrema importanza ci appare sottolineare come, nonostante le “classificazioni” la Cabbala risulta essere un unico corpus; ovvero non è possibile soffermarci su un unico aspetto, ma è necessario comprenderla nella sua interezza. Anzi una conoscenza parziale, il soffermarsi su di un determinato gradino può essere estremamente pericoloso “se la persona è meritevole, essa (la Torhah) diventa per lui medicina vitale (sam chaim); se non merita essa (la Torah) diventa per lui un veleno mortale (sam mavet)” Yoma 72B. Un avvertimento chiaro ed esplicito sulla pericolosità di avventurarsi in questo studio con animo pravo, avvertimento senza dubbio più imperioso del nostro multi vocati sunt, pauci eletti.

Ein-Sof

Centro fondamentale di studio della Cabbala è Dio, che viene definito Ein-Sof, ovvero Infinito. Ci sono due metodi di studio dell’Infinito, uno consiste nello studio di Dio in rapporto alla sua creazione, l’altro è lo studio dell’Essenza Intrinseca, dell’Essenza stessa di Dio, ma poiché l’Essenza assoluta trascende ogni comprensione speculativa perfino estasica, è impossibile per la mente umana giungere a tale conoscenza, non a caso i termini usati per descriverlo sono “ciò che il pensiero non può raggiungere”, la “luce nascosta”, “l’occultamento della segretezza”, “superfluità”, “l’unità indistinguibile”, “la causa di tutte le cose”, la radice di tutte le radici” il fattore comune a tutti questi termini è che Ein-Sof e i suoi sinonimi sono al di sopra o al di là del pensiero, come può infatti la mente finita dell’uomo contenere l’Infinito? In base a tale concezione possiamo quindi distinguere un Dio Celato ed un Dio Rivelato. Ein-Sof è la perfezione assoluta, incomprensibile e inviolabile, ma presente in tutte le cose della natura finita, e quindi attraverso la contemplazione e lo studio della natura stessa è possibile la comprensione non di Ein-Sof, ma solo del suo rapporto con la creatura. Infatti Dio è in tutte le cose, ma la somma di tutte le cose non è in grado di definire Dio, in ultima analisi tutto proviene all’Uno, e tutto ritorna all’Uno. Potremo avventurarci su un terreno pericoloso affermando che ciò che è unito, ciò che è uno è bene, ciò che è separato dall’uno è male. Da questo concetto deriva il termine Satana cioè colui che divide l’unità creando l’individualità e quindi il caos.
L’Infinito si rivela al momento della creazione, ma, la sua esistenza e il suo essere non hanno bisogno della creazione, cioè l’Eterno esiste a prescindere dalla sua creazione, la rivelazione è quindi una pura decisione disinteressata mossa solo dalla bontà di Dio, non da una sua necessità, è una libera decisione che rimane un mistero costante e impenetrabile. Secondo la Cabala luriana il primo momento della creazione è un ritorno (regressus) di Dio nel profondo di Se Stesso, una concentrazione dello Spirito Divino dal quale scaturiranno le luci supreme dette “splendori” (zahazahot) a loro volta generanti le emanazioni e quindi superiori ad ogni altra emanazione; le radici delle prime tre Sefiroth Con il termine Sefirah (singolare, Sefiroth plurare), ovvero zaffiro, si intendono le emanazioni dello splendore di Dio. Per definire le emanazioni possono essere utilizzati diversi nomi: shemot (nomi), orot (luci), ketarim (corone), sitrin (aspetti).. I concetto di “contrazione” deriva dal fatto che se Dio è omnipresente e tutto è io, non c'è spazio per la creazione; il regressus avrebbe proprio la funzione di liberare lo spazio che verrà occupato dalla creazione stessa. La trinità delle zahazahot nasce dall’esigenza di confermare le dieci Sefiroth con i 13 attributi predicati di Dio. Ma se a Ein-Sof è negato ogni attributo, deve essere separato dalla Volontà Divina, anche se intimamente connesso con essa, Ein-Sof agisce tramite la Volontà Primeva che è circondata ed intimamente unita a Lui, distinta, ma ugualmente eterna, senza inizio e senza fine.
Secondo alcuni cabbalisti la Volontà sarebbe indentificata con la seconda Sefirah, ma ciò comporterebbe di identificare la prima Sefirah con Ein-Sof, ma tra i cabbalisti di Safed si sviluppa l’opinione contraria, ovvero che la Ein-Sof e la Volontà sarebbe nettamente distinti dalle emanazioni, il contrario sarebbe addirittura una eresia, in quanto permetterebbe di definire Ein-Sof. L’evoluzione estrema di tale pensiero porta a non parlare mai di Ein-Sof, ma esclusivamente della Volontà Primeva. A complicare ulteriormente il problema interviene il concetto di pensiero. Alcuni autori identificano La Volontà con il pensiero, perciò la prima fonte di ogni emanazione sarebbe “Puro Pensiero”, quindi la Creazione sarebbe più un atto intellettivo che volitivo. I Cabalisti di Gerona pongono il Pensiero in maniera subalterna alla Volontà parlando di Volontà del Pensiero e mai viceversa, identificandolo con la Divina Saggezza, intenta a contemplare se stessa e la sua Creatura.
Il concetto di primo passo di Ein-Sof verso la manifestazione è estremamente ardito, se infatti tale passo non è sondabile o comprensibile da creatura umana, può essere considerato come il nulla (ayin o afisah). Questa affermazione fa si che la dottrina esoterica contenuta nella famosa frase creatio ex nihilo sia completamente ribaltata rispetto al significato essoterico della frase stessa. Al contrario di quanto apparentemente affermato, quindi Dio avrebbe creato il mondo non dalla materia primordiale, dal caos, bensì la creazione sarebbe avvenuto all’interno di Dio stesso; questo concetto sarebbe rimasto come una credenza segreta nascosta sotto la forma ortodossa della creatio ex nihilo.

Le Sefiroth

Nucleo essenziale della Cabbala è la teoria delle emanazioni o Sefiroth. Le emanazioni sono degli attributi di Ein-Sof che rappresentano il modus operandi dell’Infinito, le potenze che costituiscono la divinità attiva, ciò nonostante in esso sono contenute; le emanazioni stanno a Dio come la luce sta al fuoco, due entità separate, ma unite, ma al contrario della luce che esaurisce progressivamente il fuoco, le emanazioni non diminuiscono la potenza di Dio; lo Zohar così definisce tale rapporto: “Lui è loro e loro sono Lui, come una fiamma a un tizzone ardente dove non esiste divisione” o ancora come “una lampada dalla quale le luci si diffondono in ogni direzione, ma quando ci avviciniamo per esaminare da vicino tali luci, scopriamo che esiste solo la lampada”. Se quindi le Sefiroth svolgono un ruolo di primissimo piano nella creazione del mondo, possiamo assimilare il Dio rivelato, ovvero il solo che può essere oggetto di speculazione, con la prima emanazione. Le Sefhiroth, pur essendo state create da Dio, fanno pur sempre parte di Dio stesso, e quindi “tutto ciò che sta al di sotto dell’ultima Sefirah è soggetto al tempo ed è chiamato beri’ah (creazione) poiché è al di fuori (le-var della divinità)” G.Scholem op. cit.pag. 123..“Le Sefiroth, collettivamente, rapresentano dunque i dieci aspetti e gradi dell’En’sof; formano insieme un mondo di luce e sono concepite come una unità dinamica. Il ritmo di sviluppo delle Sefirot rispecchia quello del processo creativo” Arturo Schwarz: op.cit pag.119.
Perché Dio ha creato le Safiroth? “Ein Sof, il Dio nascosto che vive nelle profondità del proprio essere, cerca di rivelare Se Stesso e di liberarare i Suo poteri nascosti. La sua volontà si realizza attraverso l’emanazione di raggi provenienti dalla Sua luce, che erompono dal loro nacondiglio e vengono disposti nell’ordine delle sefiroth, il mondo di emanazione divina”. Tishby: “Wisdom of the Zohar” in Elisabeth Clare Prophet: “Cabala: la chiave del potere interiore”; Armenia Ed., Milano, 1999, pag.29Le Sefiroth possono essere paragonati a contenitori collegati tra di loro di vetro che contengono il soffio divino, la prima Sefirah essendo più vicina alla fonte della Luce sarà sottoposta ad uno sforzo maggiore, via via che il soffio defluisce da un contenitore all’altro ridurrà la su energia.
La prima e più alta emanazione è la Volontà Primeva; secondo gli autori dello Zohar, la Volontà, pur essendo strettamente unita ad Ein-Sof è stata creata, ovvero vi era un tempo in cui Ein-Sof esisteva senza la Volontà di creazione, mentre secondo altri sistemi cabalisti la Volontà è eterna, senza inizio e senza fine, e quindi non sarebbe una semplice emanazione - che, invece, avrebbe inizio con la seconda Sefirah -, bensì parte integrante di Dio stesso; secondo questa concezione Keter, la prima Sefirah sarebbe paragonabile ad una sfera che tutto comprende, la cui superficie esterna è chiamata Keter, o Volontà, o Corona, e la superficie interna Ein-Sof. Col passare degli anni, specialmente a Gerona e a Safer, si è comunque tentato sempre di porre una distinzione fra Ein-Sof e la prima emanazione. Una spiegazione abbastanza chiara della prima Sefirah ci è fornita da Isaac ibn Latif: “La volontà primordiale non è completamente identica con Dio, ma è una veste che aderisce da ogni parte alla sostanza del portatore. Fu la prima cosa ad essere emanata dal vero Essere preesistente”.
Keter, essendo il primo atto di Dio nella creazione della natura finita, è anche il più alto livello di conoscenza che può essere raggiunta dall’uomo con la preghiera.
Ma prima di Keter all’interno di Ein-Sof si ritrovano tre luci, dette zahzahot che costituiscono in realtà un tutt’uno, infinitamente nascoste, e che si irradiano all’interno dell’Emanatore stesso, e considerate come la radice delle Sefiroth stesse. Questo rappresenta una ulteriore complicazione della concezione delle Sefiroth che sembra essere introdotto per correggere l’apparente discrepanza numerica fra i tredici Attributi di Dio e le dieci Sefiroth.
Le Emanazioni o Sefiroth, come abbiamo visto, sono dieci, ognuna con un proprio nome: la prima si chiama Keter (corona), la seconda Hokmah (saggezza), la terza Binah (intelligenza), la quarta Gedullah (grandezza) o Hesed (amore), la quinta Gevurah (potere) o Din (giudizio o anche rigore), la sesta Tiferet (bellezza) o Rahamim (compassione), la settima Nezah (costanza), l’ottava Hod (maestà), la nona Zaddik (giusto, virtuoso) o Yesod Olam (fondamento del mondo), la decima Malkhut (regno). Come si può facilmente notare alcune Sefiroth hanno due nomi, lo stesso termine Sefiroth può essere sostituito con un infinità di altri termini i cui significati possono essere estremamente diversi: sfere, detti, nomi, luci, poteri, corone, stadi, germogli, fonti, vesti ecc…; è proprio questa capacità di definire lo stesso concetto con nomi diversi a seconda delle circostanze nonché il simbolismo estremamente complesso, che rende particolarmente difficile per uno non esperto riuscire a districarsi nei testi Cabbalistici. Questa ambiguità può essere spiegata se si considera che la Cabbala origina come una descrizione di un un’esperienza religioso-contemplativa e non come un sistema teoretico compiuto, quindi il suo linguaggio fortemente figurativo e simbolico quando viene sottoposto al collaudo logico può subire numerose interpretazioni.
Una interpretazione estremamente interessante soprattutto per le sue implicazioni con l’ermetismo è quella dell’interpretazione del linguaggio; secondo tale teoria le Sefiroth non sarebbero altro che attributi di Dio, epiteti che si possono applicare a Lui; il processo di emanazione sarebbe solo una specie di rivelazione dei Nomi di Dio. “Dio che “chiamò” i Suoi poteri perché si rivelassero diede loro nomi e, si potrebbe dire, chiamò Se stesso con nomi appropriati. Il processo con il quale il potere d’emanazione si manifesta dall’occultamento nella rivelazione ha un parallelo nella manifestazione della favella divina dalla sua essenza interiore nel pensiero tramite il suono che ancora non può essere udito, nell’articolazione della favella” G. Scholem op. cit. pag.105. Le implicazioni di tali affermazioni con la “potenza della parola” dell’ermetismo egiziano, e con la “parola perduta” della cultura massonica sono più che evidenti.
Le dieci Sefiroth sono quindi delle emanazioni di Ein-Sof, originano da lui e si propagano nel nulla, ma pur separandosi da Dio ne continuano a fare parte; d’altra parte l’emanazione delle Sefiroth non determina una “diminuzione dello splendore” dell’emanatore. Il processo di emanazione giunge assolutamente a fine con Malkhut, e tutto quello che sta al di sotto, rappresenta un inizio del tutto nuovo, pertanto tutto ciò che si trova al di sotto di Malkhut possiede un’esistenza al di fuori del Divino, e si distingue da esso in quanto creato e non emanato; un abisso separa i due mondi, anche se ciò non toglie che vi sia un legame fra il creato e l’emanato, infatti le cose create presentano i loro archetipi nelle Sefiroth, come esse sono contenuti nella Divinità, impregnando ogni essere al di fuori di essi, quindi ogni oggetto creato presenta le sue radici in Dio stesso, per estensione possiamo affermare che nelle Sefiroth è contenuta la radice di ogni cambiamento; in particolare tutto ciò che fa parte della creazione presenta un suo corrispondente (archetipo?) in Malkhut. Esisterebbe, quindi, nel cabbalismo una netta distinzione fra emanato e creato, anche se talvolta in alcuni testi esiste una certa confusione fra i due termini. Sebbene vi sia una gerarchia stretta nelle varie emanazioni in quanto Ein-sof emanò Keter, Keter emanò Hokhmah e Hokhmah emanò Binah, mentre le restanti Sefiroth ebbero origine da Binah a cominciare da Hesed e Gevurah e per terminare con Malkhut, esse possono essere considerate ontologicamente allo stesso livello, in quanto la distanza fra ciascuna di loro e l’Infinito è uguale.
Ecco quindi che a questo livello la Cabala subisce una delle sue più importanti influenze filosofiche, dal neoplatonismo di Plotino (204-270 d.C.), come del resto avviene per il Cristianesimo, soprattutto grazie a Sant’Agostino, ma anche con lo gnosticismo; diverse correnti cabalistiche tendono addirittura ad interpretare le Sefiroth con gli eoni gnostici. Ma anche l’ermetismo, secondo il quale “ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso”. Anche se, o forse in risposta a ciò, molti cabalisti soprattutto nel XVI affermavano che le emanazioni, derivando direttamente da Dio, fossero effettivamente identiche alla sostanza o essenza di Dio, quindi non sono esseri intermedi come gli eoni, ma Dio stesso. Le Sefiroth ancora una volta si identificano con l’aspetto esterno di Ein-Sof, ovvero quella parte di Dio che può essere oggetto di preghiera e di conoscenza e di indagine religiosa ma fanno sempre parte dell’Essenza divina, in contrasto con il neoplatonismo, secondo il quale gli eoni esisterebbe al di fuori dell’Uno, le Sefiroth pur essendo emanate in successione, esse non lasciano mai il regno divino, questo flusso viene detto hamshakhah (tirare fuori). Secondo alcuni autori le Sefiroth non sarebbero altro che contenitori incapaci di percepire la natura dell’Emanazione, secondo altri sarebbe in grado di pregare Dio; Cordovero riuscì ad unificare entrambe le teorie affermando che le Sefiroth sarebbero composte come gli uomini di due essenze un “contenitore”, il corpo, ed una “essenza”, l’anima, e solo l’unione di entrambi costituirebbero il tutto.
Infine un problema molto discusso è stato il momento di origine delle emanazioni, alcuni autori affermano che la prima Sefirah era situata entro l’Infinito stesso, e quindi senza inizio e senza fine, mentre le altre erano state emanate solo prima della creazione del mondo, ma Cordovero afferma che tutte le Sefiroth vengono emanate in un “tempo non temporale” in cui non esiste le differenziazione in passato, presente e futuro, un tempo definito sempiternas. Ma ancora altri autori affermano che le emanazioni sono sempre esistite nella volontà dell’Infinito, ma emesse solo poco prima dell’atto creativo.

Rappresentazione Grafica Delle Sefiroth

La dottrina delle Sefiroth diviene in questo modo la spina dorsale della cabala, e rappresentano quindi l’oggetto di maggiore speculazione e meditazione. Le dieci Sefiroth pur avendo una gerarchia ben precisa sono tutte ugualmente distanti dall’Emittente. La disposizione nel nulla delle Emanazioni è estremamente variabile, le varie combinazioni sia di disposizione nel nulla, sia delle lettere dei nomi, presenta una variabilità enorme, ed ogni situazione presenta un significato ben preciso; l’allegoria più comune, comunque, è quella di un albero con la chioma rivolta verso il basso e irrigato dalla sapienza, dove Keter rappresenta la radice, mentre Hod, Zaddik e Malkhut rappresentano la chioma, tale raffigurazione è detta “albero delle Sefiroth” o “albero inverso”. Un’altra rappresentazione allegorica per le Sefiroth è quella umana, ma mentre l’albero cresce con la chioma in basso, l’uomo è rappresentato con la testa in alto, dove Keter, Hokmah e Binah rappresentano la testa, o meglio le tre cavità del cervello, Gedullah e Gevurah le braccia, Tifereth il tronco, Nezah e Hod le gambe, Zaddik l’organo sessuale ed infine Malkhut l’immagine totale dell’uomo o la femmina, compagna dell’uomo e fondamentale per renderlo essere completo.
Le Sefiroth possono essere distinte in numerosissimi modi con significati sempre diversi, ad esempio Azriel le divide in gruppi di tre: Keter, Hokmah e Binah sono intellettuali, Gedullah, Gevurah e Tifereth, psichiche, Nezah, Hod e Zaddik “naturali”, e pertanto questi tre stadi erano considerate le fonti di regni indipendenti dell’intelletto, dell’anima e della natura. Ma anche in cinque e cinque mantenendo la separazione tra celato e rivelato, in tre e sette, rappresentazione dei sette giorni della creazione, con Malkhut che rappresenta il Sabbath, ovvero non avendo alcuna attività specifica, ma comprendeva la totalità di tutte le Sefiroth. Possono essere distinte in tre colonne, la colonna di destra comprende Hokmah, Gedullah e Nezah, la colonna di sinistra Binah, Gevurah e Hod, mentre la colonna centrale comprende Keter, Tifereth, Yesod e Malkhut. Infine possono essere graficamente descritte come sfere concentriche, quest’ultima rappresentazione coincide con la rappresentazione grafica dei cieli medioevali con i dieci cieli concentrici che circondano la terra.
In base a tutte queste classificazioni e differenziazioni è possibile la combinazione cabbalistica dei nomi di Dio, e delle lettere che formano il nome di Dio. Ad esempio la frase con cui inizia la Bibbia bereshit bara Elohim (in principio Dio creò) può essere interpretato cabbalisticamente con la creazione delle prime tre Sefiroth: il prefisso be è il mezzo messo in relazione con la seconda Sefirah (Hokmah), la prima Sefirah è celata nella parola bara, infine Binah (terza Sefirah) e chiamata anche Elohim. Così come il primo verso della Bibbia, tutto il Panteteuco può essere riletto in forma esoterica. Lo stesso si dica del nome di Dio. “[…] il nome YHWH denota una sola Sefirah (Tiferet) ma contiene in esso tutte le fasi della manifestazione, la punta sopra lo yod rappresenta la fonte di tutto in Ayin (nulla), lo yod è Hokmah, il primo he è Binah, vau è Tiferet e, dato il valore della lettera vau, la totalità delle sei Sefiroth e della he finale è Malkhut”, ma poiché questa rappresenta il compimento della manifestazione dove l’uomo può riferirsi a Dio chiamandolo “Lui” e dandogli del “Tu”, “non ha poteri indipendenti, ma comprende le altre Sefiroth, non può esserle assegnata una lettera sua, ma soltanto la he che è già apparsa all’inizio dell’emanazione della struttura delle Sefiroth e la cui manifestazione ha raggiunto lo sviluppo finale alla fine del processo. Gli altri nomi di Dio nella Bibbia vengono interpretati anch’essi in modo simile: le loro lettere alludono ad un progresso interiore nel processo d’emanazione”.
Ma il simbolismo e l’interpretazione delle Sefiroth è estremamente complesso ed ampio, ne riportiamo ancora un esempio. L’emanazione nel suo complesso è detta Carro Celeste, ad esso sono connessi i Patriarchi, perché Abramo, l’immenso calore (Hesed), Isacco, la giustizia (Din) e Giacobbe, la misericordia (Rahamin), uniti a Davide creatore del regno (Malkhut) costituiscono “le quattro gambe del Trono situato sul carro.
I quattro venti, i quattro elementi, indicano Gedullah, Gevurah, Tiferet e Malkhut, quest’ultimo simbolismo è particolarmente importante perché collega la Cabbala con l’alchimia.
Concludiamo quindi la speculazione sulle Sefiroth con i rapporti che si instaurano fa le varie sfere. Abbiamo già accennato come ogni Sefirah origini per irradiazione dalla precedente, e generi la seguente; tale irradiazione può avvenire per luce riflessa, ovvero ogni Sefirah viene vista come uno specchio che riflette la luce dalla fonte. Ma la luce può essere riflessa non solo dall’alto al basso, ma anche dall’ultima Sefirah alle superiori, e sarà proprio questo intrecciarsi di luce riflessa ad avere una funzione di consolidamento delle potenze. La teoria dei canali afferma, invece, che esistono dei canali preferenziali che uniscono le varie Sefiroth, questi canali sono delle vere e proprie vie di influenza reciproca tra le diverse Sefiroth. L’interruzione di questi canali è detta “rottura dei canali” (shevirath ha-zinnorot) e rappresenta la conseguenza sul mondo inferiore del peccato.

Cosmogonia E Mondi Inferiori

Come già affermato in precedenza le Sefiroth fanno ancora parte dell’Infinito, e quindi non soggette al tempo, create in un momento in cui il tempo non aveva ancora significato, mentre tutto ciò che sta al di sotto di Malkhut è detta creazione ed è soggetta al tempo. Secondo molti cabbalisti la creazione non sarebbe stata unica, bensì prima del nostro sarebbero stati creati numerosi altri mondi non perfettamente equilibrati, e pertanto distrutti, secondo altri autori gli altri mondi non sarebbero altro che schegge impazzite sfuggite durante il processo di creazione, paragonabili alle scintille che sfuggono al fabbro mente batte il ferro caldo, che si disperdono e muoiono. Le influenze negative di questi mondi avrebbero comunque una influenza negativa sulla creazione definitiva. Secondo la teoria delle emanazioni, influenzata anche dal pensiero aristotelico e neoplatonico, l’emanazione creatrice promanata de Ein-sof si svilupperebbe nella creazione di quattro mondi principali : il mondo delle emanazione (o mondo delle Sefiroth), il mondo della creazione (Tono o Carro), il mondo della formazione (o mondo degli angeli), il mondo del fare (il mondo terrestre).
Poiché la Cabbala prospetta una cosmogonia, prevede anche una distruzione del mondo. Il mondo sarebbe durato 49ÿ000 anni durante il quale ognuno dei sette pianeti avrebbe governato per 7ÿ000 anni, nell’ultimo millennio, il cinquantesimo, Dio avrebbe distrutto il mondo e riprodotto il caos, in realtà ogni ciclo sarebbe regolato dalle Sefiroth; ogni ciclo detto shemittah, sarebbe composto da 6ÿ000 anni e da un millennio detto anno sabbatico che ricorderebbe il sabbath della creazione in cui le forze sefirotiche cesserebbero con un ritorno al caos. Successivamente il mondo viene rinnovato con un nuovo flusso di energia prodotto dal movimento delle Sefiroth. Al termine di tutte le shemittot si realizza il “grande giubileo”, il momento nel quale tutti i mondi superiori ed inferiori comprese le sette Sefiroth vengono riassorbite dalla terza Sefirah Binah. Secondo questa visione la stessa Torah subirebbe delle interpretazioni diverse, in ogni shemittah la lettura della Torah sarebbe diversa grazie all’introduzione di una nuova vocale sconosciuta nella precedente e sarebbe caratterizzata da una diversa articolazione del Tetragrammaton, e questo porterebbe ad una evoluzione successiva della conoscenza della rivelazione. Il nostro mondo sarebbe sotto l’influenza di Sefirah Gevurah, o della giustizia rigorosa, e per questo l’interpretazione della Torah sarebbe estremamente restrittiva.
Questa concezione del susseguirsi delle shemittah separate dall’anno sabbatico che comporterebbe un grave periodo di caos in cui i fossio divino abbandonerebbe il mondo della creazione, è molto vicino alla moderna teoria della precessione degli equinozi, secondo la quale ogni 6000 anni si concluderebbe un ciclo di rotazione ……… 

Il Male

Il concetto di male come essenza separata per i cabbalisti non ha senso, il male, infatti, di per se non esiste, ma è solo un processo di separazione dell’uomo dall’influenza delle emanazioni, quando l’uomo si allontana con le sue azioni dall’influenza benefica delle Sefiroth, esso stesso crea il male. Ma, in apparente contraddizione con il concetto precedente, anche il male ha la sua radice nel mondo delle emanazione e precisamente nella Sefirah Gevurah o Din (Giustizia/Giudizio) definita anche “la mano sinistra del Santissimo, che sia benedetto”; la sua azione non è però esclusivamente negativa, ma risulta tale solo se non adeguatamente controbilanciata dalle altre forze sefirotiche ed in particolare di Hesed (Amore/Pietà), esplicandosi nelle forze di giudizio e nei poteri coercitivi e limitanti dell’universo. Al momento della sua emanazione Din affermò “Io governerò”; l’equilibratore delle Sefiroth intervenne prontamente per riportare Din in posizione, ma una quotaparte del potere si disperso e non potè essere recuperato. Questo potere si oganizzò nella formazione di Sitra Ahra ovvero l’Altro Lato che si organizzò in dieci emanazioni disposte a spirale “come un serpente astuto e malvagio per portare il male” Zohar 2:242b.
In realtà il male formava un tutt’unico con l’albero della vita, un unico germoglio univa l’albero della vita con l’albero della conoscenza, fu Adamo, con il suo scellerato atto, definito metaforicamente il “taglio dei germogli” a separare i due alberi, a creare la separazione tra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto, una separazione che viene considerata male anche dall’ermetismo, una separazione fra le cose umane e le cose divine, un allontanamento dall’influenza positiva delle emanazioni.
In realtà nessun cabalista ha ben distinto il male cosmico prodotto dalla dialettica sefirotica e il male terreno prodotto dalle azioni dell’uomo che si allontana dall’insegnamento delle emanazioni. Un concetto importante è l’assenza della personificazione del male, non vi è il concetto di Satana, le uniche figure messe in relazione con il male sono Samael e la sua compagna Lilith, che però stanno al male come Adamo ed Eva stanno a Dio.
In terra il male è rappresentato dalla Giustizia non sufficientemente stemperata dalla Pietà e dall’Amore, il Giudizio, infatti, qualora iniquo perché assoluto e non controbilanciato dall’Amore e dalla Pietà, porta dolore e distruzione, il sangue che scorre fra i popoli è tutto dovuto alla formulazione di giudizi falsi ed ingannevoli. Gesù ha detto “Non giudicate, per non essere giudicati”. L’uomo difficilmente possiede la sufficiente saggezza per emettere giudizi in armonia con la Giustizia Divina, ed ogniqualvolta viene emesso un giudizio iniquo esso genera il male. “Quantunque ciò che tu dimandi sia la giustizia, pensa a questo, che, nella via della giustizia soltanto, nessuno di noi potrebbe vedere la propria salvezza” W. Shakespeare: “Il mercante di Venezia”, atto IV, sc1, versi 197-199.
Il giorno del grande giubileo tutto tornerà a Dio, anche il male, lo stesso Samael tornerà a Binah, cadrà la lettera mem (che simbolizza la morte), per acquistare il nome Sa’el, uno dei 72 Nomi sacri di Dio e la potenza di Dio risplenderà su tutto e tutti cancellando definitivamente il male. Atri autori, invece, affermano che il male sopravviverà al grande giubileo sottoforma del luogo di punizione eterna per i malvagi; Gikatilla afferma: “Dio prenderà l’attributo di [punire] la sfortuna [cioè il potere del male] in un luogo dove non potrà essere maligna”.

La Cabbala Luranica

L’influenza che Isaac Luria ebbe sul pensiero cabbalistico è tale che possibile distinguere una Cabbala prelurianica ed una Cabbala lurianica.Il concetto fondamentale e rivoluzionario di questo pensatore è la “contrazione” o zimzum; se infatti Ein-Sof è infinito e tutto comprende è impossibile pensare ad un luogo che non sia Dio perché ciò comporterebbe una limitazione a Dio stesso; per poter creare il mondo l’Essere Supremo deve come primo atto effettuare una contrazione lasciando quindi uno spazio libero detto tehiru, con un meccanismo simile ad un atto di inspirazione, di concentrazione; quindi il primo atto creativo non è né la rivelazione né l’emanazione, bensì la concentrazione. Il processo di concentrazione determina la formazione di uno spazio libero circolare, o meglio sferico detto reshium all’interno del quale persistono dei residui di Ein-Sof, come delle gocce (reshium) che permangono quando si vuota il recipiente che andranno a concentrarsi formando l’anima che sostiene il mondo la cosiddetta anima mundi dei filosofi. Il compiacimento di Ein-Sof per la autosufficienza autarchica produsse una scossa all’interno dell’Essere stesso che destò la radice di Din che prima era contenuta in Ein-Sof indistinguibilmente unita con le altre forze ed ora acquista una sua essenza “individuale” localizzandosi nel tehiru. Lo spazio lasciato libero verrà poi colmato dall’emanazione di Ein-Sof mediante le dieci Sefiroth con un meccanismo simile a quello visto nella Cabbala tradizionale. L’emanazione divina può essere di due tipi a cerchio e a linea, l’emanazione circolare è quella più naturale in quanto si modella perfettamente allo spazio circolare del reshium, mentre l’emanazione lineare è maggiormente legato alla volontà creatrice in quanto rappresenta l’aspetto ideale dell’uomo. Questa geometria dualista (cerchio-linea) rappresenta la prima forma di geometria iniziatica ed esoterica che si contrappone alla geometria pitagorica.
La concezione dello zimzum rappresenta forse uno dei punti più dibattuti della Cabbala anzi rappresenta un punto di rottura fra la Cabbala di Cordovero e quella di Luria, numerosi autori, quali Sarug, cercarono di ricucire lo strappo con ardite interpretazioni dello zimzum, ma seguire queste strade ci porterebbe veramente troppo lontano.
Comunque il tehiru lasciato libero dallo zimzum deve essere riempito tramite vasi necessari per contenere le emanazioni ed in grado o di scacciare Din che ivi si era insediato o di addolcire e purificare le forze che costituiscono Din.
I vasi rappresentano dei contenitori fondamentali per la creazione ordinata del mondo in quanto permettono di regolare il flusso delle emanazioni, a tale scopo le prime luci emanate in collisione si cristallizzano nella formazione di “contenitori” o vasi. La prima forma che l’emanazione assume dopo la contrazione è quella dell’Uomo Primordiale o Adam Kadmon che rappresenta il primo regno all’interno del quale si sviluppano in cerchi concentrici le dieci Sefiroth, anche nella Cabbala luranica Keter mantiene strettissimi rapporti con Ein-Sof. In seguito le dieci Sefiroth si dispongono in maniera lineare riproducendo lo schema corporeo.

SAUL SUPERIORE INCOGNITO - SOVRANO ORDINE GNOSTICO MARTINISTA

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BASILIDE

BIOGRAFIA

Basilide è nativo di Alessandria di Egitto, dove ha raggiunto la massima notorietà fra il 120 d.c. e il 140 d.c. in corrispondenza degli Imperatori Adriano e Antonio. E' considerato uno dei massimi padri dello Gnosticismo e su testimonianza di Epifanio  sappiamo che la sua dottrina si propagò in tutto l'Egitto, diffondendosi, tramite i suoi discepoli, nel mondo ellenico dell'Impero Romano. Notizie certe ed estese sulla vita di Basilide non vi sono, eccetto quelle derivanti dagli scritti, spesso contrastanti, dei primi eresiologi. Il già citato Epifanio di Salamina afferma che Basilide fu discepolo di Menandro ad Antiochia di Siria, suggerendone quindi una natalità siriana e solo successivamente, trasferendosi ad Alessandria d'Egitto, fondò una propria scuola filosofica. Diversamente Eusebio  e Teodorete  sostengono che la sua patria fosse Alessandria di Egitto. Ancora lo si vorrebbe studente assieme ad un certo Galuco, che professava, di essere stato iniziato ai misteri del Cristo direttamente da San Pietro. Ciò che sicuramente sappiamo è che ebbe un figlio di nome Isidoro, che continuò l'insegnamento paterno.
Pare, così come Pitagora, che Basilide imponesse ai suoi discepoli un voto di raccoglimento e di silenzio dalla durata di cinque anni. Attraverso tale voto, o sigillo, il discepolo doveva pervenire a una sorta di chiusura filosofica in se stesso, attraverso cui acquisire una nuova consapevolezza dei rapporti che legano l’uomo all’universo.
 I Padri della Chiesa lo accusarono di essere suggeritore di apostasia (abbandono della religione cristiana, a favore del politeismo tradizionale), in un periodo in cui era ancora forte la persecuzione religiosa ai danni dei cristiani. In pratica ritenevano che l’insegnamento di Basilide fosse un sistema che coniugava alcuni elementi formalmente cristiani, ma che sostanzialmente avesse una strutturazione pagana. In modo tale da preservare se stesso, e i suoi discepoli, dalle periodiche repressioni religiose che subivano le nascenti comunità cristiane.
Prima di procedere oltre è bene ricordare che Gorge Robert Stow Mead, studioso di religione e spiritualità, nel suo libro lo “Gnosticismo e Cristianesimo delle Origini”, collocò Basilide e il suo insegnamento nel capitolo “La Gnosi Secondo i Suoi Nemici”. Questo perché di Basilide, così come di altri maestri dello gnosticismo, non abbiamo fonte diretta, essendo tutti i suoi scritti andati perduti, ad eccezione fatta delle polemiche nei suoi confronti poste in essere dagli eresiologi.


LA DOTTRINA DI BASILIDE IN IRENEO 

Ireneo ci riporta come la dottrina di Basilide è emanazionistica, e presupponga quindi che da un Punto di Origine Ineffabile e Sconosciuto, dal nome mistico di Abraxas, (In virtù di una non chiarezza delle fonti pervenutaci, altri vorrebbero che Abraxas fosse il "duce" supremo dei 365 cieli) sia nata Nun o Nous (Mente). Da Nun ha preso sostanza il Logos (Verbo) e a seguire Phronesis (Prudenza). Dalla prima triade manifesta è stata emanata una coppia di eoni: Sophia (Saggezza) e Dynamis (Forza). Da questi sono poi stati emanati le Virtù, i Principati, gli Angeli Primi (i costruttori del primo cielo) e in seguito gli altri 365 cieli (uno per i giorni dell'anno). Gli angeli dell'ultimo cielo, che contiene l’intera manifestazione, si divisero il dominio dei popoli della terra. Uno di questi angeli sovrastava tutti gli altri per potenza e forza; era l’angelo che governava il popolo ebraico: il Dio dell’Antico Testamento (יﬣוﬣ). Quest’angelo, animato dal desiderio di conquista, volle così sottomettere tutte le genti del mondo al proprio potere e al popolo a lui devoto. Tale azione mosse l'opposizione di tutti gli altri Domini, da cui derivò perenne agitazione, guerra e confusione. Il Padre Ineffabile per sanare la situazione decise di inviare l'eone Nous (Cristo) sulla Terra. Compito del Cristo, nel sistema di Basilide, era quello di liberare coloro (gli gnostici) che non si erano sottomessi spiritualmente al Dio dell’Antico Testamento.

Essendo il Cristo di Basilide un Eone, un essere spirituale, non poteva essere sottomesso alla legge della materia e della carne. Secondo questa considerazione Basilide elaborò una delle prime forme di docetismo (la doppia natura di Gesù Cristo), asserendo che Egli non fu messo in croce e non patì la passione; pene che invece furono sopportate da Simone Cireneo (Matteo 27:32).  Il Cristo facendosi beffa dei suoi persecutori, e degli angeli di  יּﬣוﬣ, compiuta la missione redentrice ritornò alla dimora del Padre. Per Basilide coloro che credono nella passione e nella morte in Croce, sono essi stessi servi di יּﬣוﬣ e di coloro che racchiusero le anime nei corpi fisici, mentre chi nega la passione e la morte in Croce del Cristo possiede ha ottenuto il sigillo della conoscenza del vero Padre Celeste.

DAL NON ESSERE ALL'ESSERE


Quanto sopra attribuito a Basilide emerge dagli scritti dell’eresiologo Ireneo, vediamo adesso quanto della filosofia del Maestro Gnostico è riportata da Ippolito.  Questo eresiologo in Confutazioni (VII 20-7) pone la gnosi di Basilide in raffronto con il pensiero filosofico di Aristotele.  All'inizio, prima del tempo e dello spazio, non esisteva che il Nulla, allora il «Dio che non esisteva» (ouk on theos: il Dio Inesistente), per Aristotele "Pensato di Pensiero" (noeseos tes noesis), decise di creare il cosmo. A differenze del Dio dell'Antico Testamento non crea le cose a una a una, ma emette un seme che contiene il Tutto. Questo è il Seme del Mondo (Panspermia). Ecco quindi che dal Non Esistente, il Dio Non Ente diede vita al Non Seme che conteneva il tutto. Tali locuzioni stanno a indicare l'impossibilità logica e dialettica di cogliere questi passaggi e movimenti metafisici.
Ancora Ippolito riporta quanto segue: «Ci fu un tempo in cui nulla esisteva, non la sostanza, non la forma, non l'accidente, non il semplice, non il composto, non l'inconoscibile, non l'invisibile, non l'uomo, non l'angelo, non Dio, né alcuna di quelle cose, che sono indicate con nomi; e che sono percepite sia dalla mente, sia dalle facoltà sensitive; Iddio non ente (che Aristotele chiama pensiero del pensiero, e questi eretici non Ente) senza riflessione, senza percezione, senza proposito, senza programma, senza passione, senza cupidigia, volle creare il mondo. Dico volle, tanto per esprimermi; perchè non aveva volontà, né idee, né percezioni; e per mondo, non intendo quello attuale, sorto per estensione e scissione, bensì il seme del mondo. Il seme del mondo, comprendeva in sè, come il grano di senapa, tutte le cose, sorte poi per evoluzione, come le radici, i rami, le foglie, sorgono dal grano della pianta. Era questo il seme che racchiude in sè i semi universali, e che Aristotele indica come il genere suddiviso in infinite specie...».
Basilide spiega il passare dal Non Essere Primordiale all'Essere della manifestazione, attraverso la lenta germinazione del seme spirituale. Una germinazione causata dalla triplice natura del seme universale, consunstanziale al Padre Ineffabile ma da esso separato. Questo seme aveva una filiazione sottile che appena maturata salì immediatamente al Non Essere. Un'altra filiazione era composita e quindi impura. Essa tentò di salire al Non Ente ma non vi riuscì con le sole forze che le erano proprie. Essa maturò ed armandosi di Spirito Santo, come di ali, salì al Non Ente, ma a questo punto lo Spirito Santo non consunstanziale al Padre ne rimase escluso, sospeso fra il mondo inferiore, e la soglia paterna. La terza filiazione era invece grossolana e bisognosa di purificazione e rettificazione, rimase quindi dispersa fra i germi cosmici generici. Durante un numero infinito di Eoni, il firmamento (impregnato dallo Spirito Santo) si squarciò dando vita al Grande Arconte, il Dio degli Ebrei, che per un numero imprecisato di cicli cosmici rimase in solitudine, fino a dimenticare la radice della propria esistenza; giungendo a credersi l'Unico Supremo fra gli Esseri.
Il Grande Arconte plasmando gli elementi che lo circondavano creò la manifestazione, che raccoglie la Natura e l'Uomo e tutti i cieli che sono compresi fra la terra e la soglia divina. Sempre dalla terza figliolanza, il Demiurgo plasma il primo Arconte, e lo pone su di un trono, da questi si generò un altro figlio, e via a seguire dando vita non ad uno schema emanazioni stico ma generazionistico. Quando però la terza filiazione arse dal desiderio di ricongiungersi al Non Ente, ecco che il Vangelo, nella forma del Cristo, discese nel mondo, pervadendo tutti i principati, le dominazioni, le potenze e i nomi di tutte le cose. Come un fuoco che arde ed illumina dal figlio del Demiurgo giunse la narrazione al Demiurgo, che scoprì quindi di non essere il Dio Unico che aveva proferito a Mosè: «Ego Deus Abraham et Isaac et Jacob et nomen Dei non indicavi bis».  Ecco quindi che la funzione redentrice del Cristo è quella di insegnare i misteri oltre la Soglia Terrena. La Gnosi discende dall'alto verso il basso, per permettere così, a coloro che la sapranno accogliere, l'ascesa dal basso verso l'alto. Conoscenza che nello gnosticismo assume forma e veicolo di salvezza: forma in quanto l’uomo di conoscenza è difforme antropologicamente e veicolo in quanto grazie ad essa può ricongiungersi alla Casa del Padre. Momento necessario ed indispensabile è la redenzione; la comprensione dell’errore attorno alla vera natura delle cose. Basilide quindi postula un movimento salvifico dall’altro verso il basso, e successivamente di reintegrazione dal basso verso l’alto. Tale dinamismo spirituale avrà termine solamente quando tutte le scintille saranno ricongiunte al Padre oltre la Soglia, e il mondo semplicemente terminerà di essere in quanto non più animato dal pneuma.


I DUE SISTEMI E UNA POSSIBILE SPIEGAZIONE

Quanto sopra indicato nei precedenti paragrafi è la narrazione del sistema basilidiano da parte degli eresiologi Ireneo ed Ippolito. Indubbiamente ci troviamo innanzi a due sistemi difficilmente compatibili. Abbiamo visto Ireneo che mostra un Basilide dualista e docetista, mentre Ippolito tratteggia un Basilide quasi Panteista. È utile indicare che tali contraddizioni si riscontrano spesso leggendo gli attacchi dei padri della chiesa verso le cosiddette eresie. Ciò dipende sia dalla frammentazione delle fonti a loro disposizione e sia dalla veridicità delle loro asserzioni e del pubblico a cui erano rivolte.
Seppur riportati a grandi linee, lasciando ad altre fonti maggior dettaglio, questi sistemi sono fra loro difficilmente conciliabili, sia per quanto concerne il moto di emanazione, che quello di ricomposizione, oltre al rapporto che lega il Demiurgo o Dio degli Ebrei alla manifestazione. Notiamo come il racconto di Ippolito sia più ampio e dettagliato di Ireneo, ad indicare che i due polemisti hanno attinto da fonti diversi. La ragionevole spiegazione a tali differenze è che in realtà i due padri della Chiesa narrano di due sistemi diversi afferenti l'uno a Basilide e l'altro ad un suo allievo di formazione aristotelica. Del resto caratteristica delle scuole gnostiche era che quando l’allievo raggiungeva la maestria, fondava una propria scuola disgiunta e difforme da quella in cui si era formato.
Ad essi si aggiunge Clemente Alessandrino, che cerca di tracciare la valenza etica del sistema di Basilide. Il quale ci riporta come per Basilide la  fede, e il suo strumento la preghiera, erano fondamento della salvezza; ma la vera fede non era cieca sottomissione, ma anzi una rivelazione superiore insita in alcune anime e giunta loro prima dell'unione con il corpo fisico.  È l'arrivo del Salvatore e della Narrazione che innesca questa forza latente, quasi dimenticata, e mette in moto il processo di salvezza. La fede e il peccato, secondo Basilide, sono insiti nell'uomo, e non sono dovuti tanto all'uso o all’abuso del libero arbitrio quanto piuttosto all’originale preesistenza frutto del movimento emanativo, che dalle sfere spirituali si è protratto fino a quelle grossolane.
I Padri della Chiesa narrano come i basilidiani fossero licenziosi nei costumi, depravati moralmente e scandalosi intellettualmente. Ciò in virtù della loro convinzione che sussisteva una preesistenza e persistenza della rivelazione redentrice in pochi, e che quindi essa fosse disgiunta da ogni condotta morale o socialmente accettabile. A prescindere da tale lettura, a mio avviso legata solamente alla polemica, è utile porre l’accento come la filosofia di Basilide s’inserisce a pieno titolo in un solco tradizionale attorno alla dialettica che lega l'Essere e il Non Essere, il reale e l'irreale e il dualismo che deriva dalla contrapposizione fra conoscenza e ignoranza. Temi questi che ritroviamo nelle filosofie orientali, e che dimostrano la fondamentale importanza dello gnosticismo. Il quale rappresenta uno scrigno filosofico, rituale e operativo ricco di gemme preziose per l’audace cultore.

ELENANDRO XI SUPERIORE INCOGNITO INIZIATORE - SOVRANO ORDINE GNOSTICO MARTINISTA

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“LA SAGGEZZA VELATA – IL FEMMINILE NELLA TORÀ. L’ESSERE UMANO: UN ARCHETIPO DUALE”

L’argomento esposto nella presente relazione è tratto dal libro “La Saggezza velata – il femminile nella Torà”  - edizione Giuntina -scritto da Yarona Pinhas, ricercatrice presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, Il libro è la sintesi scritta di un ciclo di conferenze che l’autrice ha tenuto presso il Centro Pitigliani, a Roma nel 2000.
Yarona Pinhas è nata in Eritrea da una famiglia yemenita della città di Aden. Ha conseguito la laurea in Linguistica e storia dell’arte. Intorno agli anni ’90 si è trasferita in Italia dove ha insegnato ebraico all’università Orientale di Napoli.
Il suo interesse per i temi riguardanti la Tradizione orale ebraica la spinge verso l’attività di docente di mistica ebraica, con particolare attenzione  “al femminile” della Torà.
La lettura di questo libro è una opportunità per accostarsi al pensiero di una donna a noi contemporanea, che vive il nostro tempo e  cerca di trasmettere le conoscenze acquisite sulla Tradizione Ebraica con una sua modalità personale.
La sua voce si inserisce in un contesto sociale e comportamentale per molto tempo fortemente condizionato dal pensiero patriarcale attualmente costretto ad  affrontare i grandi cambiamenti in atto,  generati anche dal bisogno sempre più pressante che le donne hanno di esprimersi e di raccontare.
La presente relazione ha per oggetto il secondo capitolo del testo richiamato e si intitola: “L’essere umano: un archetipo duale” .
I successivi capitoli trattano i seguenti argomenti :
3. “Benedetto il Signore che non mi ha fatto donna”
4. Mishnà, Talmud e donna
5. Lo “s-velato” nel “velato”. Il lato oscuro di Eva
6. Il pozzo di Miriam, simbolo delle acque viventi, della sapienza e della guarigione
7. La donna tra silenzio e parola
Prima di passare all’illustrazione degli argomenti trattati in questo secondo capitolo se ne espone il contenuto in modo sintetico al fine di meglio comprendere l’itinerario che l’autrice ha voluto percorrere.
Yarona Pinhas è una appassionata ricercatrice e studiosa della Tradizione ebraica scritta ed orale che ha affrontato il tema della spiritualità femminile ebraica per evidenziarne il valore e per mettere maggiormente in evidenza le figure femminili in quanto nella Torà esse non hanno ricevuto lo stesso risalto che invece è stato attribuito alle figure maschili.
In questo capitolo, partendo dal fatto che con il termine “Adamo” viene designato “l’archetipo dell’essere umano primordiale”, ovvero l’essere “androgino” , maschile e femminile, e, considerata l’importanza che i saggi hanno da sempre attribuito alla correlazione fra “dualismo” ed “unità”, tra il mondo materiale e quello spirituale, tra il microcosmo ed il macrocosmo l’autrice analizza i versetti della Bibbia, i racconti del Midrash, le feste ebraiche ed i poemi che sono caratterizzati dalla presenza di  figure femminili di grande rilievo.
La sua indagine è stata effettuata con lo scopo di fare luce su alcune caratteristiche dell’aspetto femminile che a suo avviso è sempre correlato con quello maschile e che rimanda all’archetipo della dualità, della coppia e del doppio.
In questo modo l’autrice ci offre la possibilità di riflettere sulla coppia Lilit-Eva e del loro rapporto con l’Adamo, ci fa scoprire che ogni figlio di Giacobbe ha una sorella gemella e che le sorelle erano tredici in tutto poiché Beniamino a differenza degli altri fratelli aveva due sorelle gemelle; spiega il sistema simbolico dei segni astrologici individuando le funzioni maschili e femminili dei due luminari; si sofferma sulla storia di Hadassa che occulta la sua vera identità perché agisce sotto le mentite spoglie di Ester ed infine ci parla del percorso “spinoso” per realizzare l’amore descritto nel Cantico dei Cantici.
Il capitolo intitolato “L’essere umano: un archetipo duale” sviluppa i seguenti argomenti: “Lilit e Eva”, “Le tredici figlie smarrite di Giacobbe”, “Le tredici sorelle e le stelle”, “Ester, la stella; Hadassa, il mirto”ed  “il cantico della rosa sublime”.

Lilit ed Eva

L’argomento che l’autrice vuole trattare è anticipato nel titolo assegnato al capitolo. Quando pronunciamo la parola “io” abbiamo la certezza di riferirci ad un essere ben definito e identificato, ma quando ci soffermiamo a riflettere su chi è quell’io incominciamo a dubitare ed ecco che quella parola  diventa un termine incerto e  inafferrabile e che probabilmente non ci si può riferire ad un singolo essere ma alla compresenza di differenti essenze.
L’autrice in questo testo fa riferimento alla Genesi e nel prenderne in considerazione alcuni aspetti ce ne fornisce una personale e particolare interpretazione simbolica non sempre facile da comprendere perché fa riferimento ad una cultura complessa.
Adamo è considerato l’archetipo dell’essere umano primordiale ed accoglie dentro di sé due essenze femminili identificate con quelle di Lilit e di Eva. Queste due figure femminili hanno sensibilità differenti: Lilit agisce nell’interiorità, Eva nell’esteriorità.
Lilit è poco conosciuta e nella Bibbia viene menzionata una sola volta e precisamente in Isaia (34,14), dove le viene assegnato l’aspetto di un démone che si aggira tra le rovine. Secondo il Midrash Lilit sarebbe la prima moglie di Adamo, anch’essa fatta di terra, creata dopo Adamo, alla fine del sesto giorno ma prima che iniziasse il sabato. Dal punto di vista simbolico Lilit incarna la donna che  mette in atto la seduzione ed ha un potere distruttivo, è la donna che sentendosi uguale all’uomo non ne accetta il dominio e la supremazia e per tali caratteristiche è stata raffigurata con le sembianze di un démone femminile alato. Probabilmente questa rappresentazione è stata tratta da immagini della mitologia babilonese.
Eva essendo stata tratta dalla costola di Adamo può essere intesa come la sua “gemella” che ha con lui una relazione particolare in quanto fisicamente gli è molto legata essendo stata creata per lui ma al contempo è anche legata al serpente che riesce a persuaderla a mangiare il frutto proibito dall’albero del bene e del male. Eva in un certo senso si affranca dal controllo di Adamo perché segue i suoi istinti personali.
Eva è la compagna dell’uomo, è la conoscenza mentale ed è legata alle ossa e alla carne.
Lilit invece è la conoscenza naturale slegata dai processi mentali ed è la conoscenza che contraddistingue la donna selvaggia legata alla terra, al sangue all’animalità e che, come alcuni animali possono anche allontanare da sé la prole che hanno portato nel proprio grembo.
Lilit simbolicamente rappresenta la forza creatrice che ha il compito di sorreggere il tutto, è l’alveo che accoglie e protegge il seme senza però farsi carico del frutto.
Eva è simbolicamente colei che educa la prole e cura con intelligenza i figli affinchè essi possano individuare qual è la loro vera struttura e il proprio spirito.
Tuttavia queste due figure pur essendo diverse hanno un sentimento in comune: la ribellione.
Sia Lilit che Eva non accettano le limitazioni che derivano dai ruoli ad esse assegnati e per tale ragione si oppongono e si ribellano ciascuna a suo modo.
Lilit sà di non essere inferiore ad Adamo, sà di avere la sua stessa dignità di ispirazione divina e con forza la rivendica ribellandosi sottraendosi alla potestà di Adamo.
Per Lilith la maternità non può essere una imposizione o un controllo sulla sua sessualità. Poiché però la libertà di scelta le viene negata lei vi rinuncia ed abbandona Adamo ma da quel momento essa viene demonizzata e diventa la moglie di Sama-el, l’angelo della morte che simbolicamente è l’opposto della Shekinà.
Eva invece non si ribella all’uomo in quanto tale bensì ad una condizione esistenziale costituita dalla immutabilità delle situazioni e al non-tempo dell’Eden ed agisce trasgredendo al divieto imposto di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza.
La sua disubbidienza e la sua cacciata dall’Eden la fa diventare una madre fertile come la terra facendole assumere una caratteristica tipica di Lilit.
Con la disubbidienza Eva si avvicina  all’essenza istintuale di Lilit da quando inizia a parlare con il serpente e quindi a comunicare con i suoi istinti.
Con questa trasformazione Eva diventa la congiunzione tra Adamo e Lilit ovvero tra il conscio e l’inconscio, tra l’individuo e la sua ombra; Eva è il punto di incontro tra gli opposti è il ponte di collegamento fra nature differenti.
Spetta all’uomo il compito di creare continuamente il ponte della riconciliazione-redenzione. Nel corso della sua vita l’uomo deve attraversare differenti ponti per poter collegare le sue molteplici terre interiori e collegare queste con le terre esterne. Ogni traversata è un’avventura che spesso viene frenata dalla paura e, molte volte, piuttosto di attraversare il ponte l’uomo si ferma perché non vuole scoprire nuove opportunità negandosi in tal modo nuove esperienze.
Questo conflitto turba l’essere umano che oscilla continuamente tra Eva e Lilit poiché nel suo intimo le desidera entrambi, egli vorrebbe vicino a sé sias la moglie legittima (Eva-Shekinà) che l’amante segreta (Lilit-l’altra).
Si può dire cheAdamo, Lilit ed Eva sono gli archetipi di tre momenti dello sviluppo dell’anima primigenia, rappresentano livelli differenti, superiori, inferiori ed interconnessi che non si negano e non si contrappongono ma si avvicendano tra loro secondo il processo evolutivo dell’anima che è in perpetuo movimento  passando incessantemente da un livello all’altro.

Accade che al livello di nefesh, l’anima inferiore e sede delle pulsioni, seguono le fasi di ruach, lo spirito, o l’anima intermedia sede dei desideri che funge da ponte con i livelli superiori, e le fasi di neshamà, l’anima superiore dove ha sede l’intelligenza cognitiva.
Oltre a nefesh, ruach e neshamà vi sono livelli dell’anima ancora più elevati chiamati chayà e yechidà, che soltanto pochi riescono a percepire.
Rabbi Shneur Zalman di Ljadi (1745-1813) afferma che il livello di nefesh si suddivide in nefesh behemit (anima inferiore, animale) e nefesh Elohit (anima divina). In nefesh behemit dimorano gli istinti corporei, il centro della sessualità, le pulsioni rimosse o represse e l’irrazionalità. Nefesh Elohit è il livello superiore che permette di acquisire la conoscenza e indica come dirigere e reintegrare le forze dell’anima inferiore. Nefesh behemit e nefesh Elohit non sono in opposizione fra loro ma sono complementari per consentire un armonioso processo evolutivo.
Adamo con il suo risveglio prende coscienza della sua anima ed entra in relazione con il suo femminile, con Eva.
Accogliere Eva vuol dire unirsi alla “madre di tutti i viventi” (Genesi 3,20), madre che conduce all’incontro con Adamo, lo spirito vitale il nishmat chaim, Dio gli ha soffiato perché diventasse “un essere vivente, nefesh chaià” (Genesi, 2,7). Il ritrovamento del “femminile” ricongiunge l’uomo al suo archetipo androgino originario: “… l’uomo abbandona padre e madre e si unisce con la moglie e diviene con lei come un essere solo” (Genesi, 2,24), crea un rapporto consapevole uomo-donna, lasciandosi alle spalle ciò che già conosce per scoprire quelle parti di sé che ancora non conosce o che non ha voluto conoscere.
L’incontro tra il maschile ed il femminile diventa in tal modo una vera benedizione soprattutto quando si è conosciuta la tristezza della solitudine.
Proseguendo nella Genesi, l’unione fra uomo e donna viene espressa con la parola yadà’ (conobbe, verbo che esprime la conoscenza che si realizza mediante l’intelligenza Da’at), interpretata inoltre come unione sessuale dalla quale nasce un nuovo io: “l’uomo conobbe Eva, sua moglie, ed essa rimase incinta” (Genesi, 4,1). In questo versetto viene evidenziato come la psiche, che fino ad allora non aveva forma, si definisce come caratteristica propriamente umana: il nulla, ain, (alef, yod, nun)  genera l’io, anì   (alef, nun yod).
La fuga dall’Egitto (Mitzraim ovvero “luoghi stretti”), la fuga dalla schiavitù, e la traversata del mare sono immagini metaforiche che descrivono i passaggi necessari per giungere nella Terra Promessa dopo essersi liberati da se stessi, avendo attraversato il mare dell’inconscio collettivo ed il nulla del proprio deserto.
La Terra Promessa è il nuovo io, è il frutto del lavoro interiore.
Per poter ritrovare la Terra Promessa con una nuova consapevolezza è necessario soffrire il proprio esilio, sentirsi stranieri e schiavi, ma è proprio questo percorso che aiuta a trovare la forza di reagire per decidere di voler imboccare la via del ritorno.
L’autrice mette in rilievo come la “Genesi” è l’espressione simbolica del processo della creazione dell’anima dell’essere archetipale costretto ad abbandonare l’Eden. Quì Adamo, Lilit ed Eva non devono essere intesi come tre esseri distinti ma tre aspetti dello stesso essere in formazione, dell’unico essere androgino al quale si deve tendere per ritornare allo stato originario. Lilit, Eva e Adamo sono figure stratificate in differenti livelli, di cui quelli superiori sono contenuti in quelli inferiori.
Per spiegare questo processo la Bibbia ricorre all’analogia, utilizzando espressioni ed immagini allegoriche affinchè ognuno tragga il necessario insegnamento.
Le parole utilizzate non sono state scelte a caso, nella lingua ebraica ogni parola ha una valenza specifica.
Per esprimere il processo spirituale compiuto dalla prima coppia Adamo-Eva sono state utilizzate delle parole che derivano dalla stessa radice. Questa è una caratteristica particolare della lingua ebraica nella quale le radici delle parole sono di norma formate da tre lettere consonanti che, attraverso la permutazione, danno origine a differenti combinazioni,  significati e collegamenti.
Ad esempio “uomo” è ish     (alef,yod,scin) mentre donna è ishà (alef,scin he), queste due parole, che indicano il maschile ed il femminile, contengono una delle lettere del Tetragramma. Infatti nella parola “uomo” è contenuta la yod mentre nella parola “donna” è contenuta la he.
Le due parole però hanno in comune due lettere: scin e alef, se si uniscono queste due lettere si ottiene la parola esh (alef,scin) che significa “fuoco”.
Quindi la coppia Adamo-Eva è l’unione di Adamo, che è fatto di terra, acqua e l’aria del soffio vitale, con Eva che è il “fuoco” ovvero il quarto elemento che consente di realizzare  simultaneamente l’unione terrestre e quella divina. I nomi “ish” e “ishà”, uomo-donna, sono quindi l’espressione dell’unione tra il cielo (la yod) e la terra (la he) e viceversa.

Le tredici figlie smarrite di Giacobbe

In questo paragrafo l’autrice espone una interpretazione molto particolare della discendenza di Giacobbe nella quale si fa riferimento al fatto che Giacobbe oltre ai dodici figli maschi ha generato tredici figlie. Secondo gli studi effettuati da Rabbi Shlomo Itzchai (Francia 1040-1105), grande studioso dei testi biblici e del Talmud, si era giunti all’interpretazione secondo la quale “…. I nostri rabbini hanno spiegato che ciascun figlio di Giacobbe era nato con una sorella gemella, mentre Beniamino nacque con due sorelle gemelle”.
Nella Bibbia queste tredici figlie non vengono menzionate in modo diretto, ma in modo generico nel versetto 46, 6-15 della Genesi.
Quale significato assumono queste figure “doppie”?
L’autrice giunge alla conclusione che le gemelle sono il simbolo della Shekinà, l’anima, che deve restare nella terra di Canaan, e rappresentano il centro spirituale invisibile della Terra.
La voce delle sorelle è sempre viva, il loro richiamo raggiunge i fratelli ovunque essi si trovino. Quando i fratelli ritornano nella Terra di Canaan e si riuniscono con le sorelle si realizza il “ricongiungimento con l’anima” e viene superata la separazione. Quando il maschile si unisce al femminile si supera la dualità e si entra nell’Uno.
Le sorelle “assenti” simboleggiano dunque il processo della riunificazione.

Le tredici sorelle e le stelle

I figli di Giacobbe erano dodici, la Bibbia, seppure allusivamente, parla anche di tredici sorelle gemelle e ciò può apparire come una incongruenza che però l’autrice chiarisce prendendo in esame una descrizione tratta dal Midrash, che viene riportato integralmente per non modificarne il contenuto assai interessante:
“L’uomo è paragonato alle 12 costellazioni. Alla nascita è puro come un agnello (Ariete), poi si irrobustisce come un Toro. Quindi cresce e diventa Gemelli, teomim, vale a dire completo (tam), e la tendenza al male cresce in lui. All’inizio è debole come il Cancro; in seguito, matura e diviene forte come il Leone. Se commette peccato, agisce come una Vergine, e se egli aggiunge peccato a peccato, questi vengono pesati con una Bilancia; se egli persiste nella sua ribellione verrà gettato negli abissi dello Sheol (inferi) come lo Scorpione che risiede nella terra; ma se si pente, sia scagliato in alto come una freccia scoccata da un arco (Sagittario). Ed ecco diventa pulito e mite come il capretto (Capricorno), puro come al momento della nascita. Pura acqua viene versata su di lui dall’anfora (Acquario) ed egli cresce con gaudio come i Pesci che nuotano felici nell’acqua e perciò egli compie il lavacro ad ogni ora in fiumi di balsamo e nel latte e nell’olio e nel miele ed egli è sempre nutrito dall’Albero della Vita, risiede in mezzo ai giusti e vive in eterno” (Tanchùma Haazinu 1). (pag.36)

Questo brano è una chiara espressione simbolica del processo evolutivo spirituale umano, individuale e collettivo che ha uno stretto legame con due fattori: il tempo e lo spazio.
Come si possono collegare i dodici mesi con la coppia uomo-donna?
I dodici figli di Israele simboleggiano il ciclo annuale solare ovvero il periodo necessario affinchè la terra effettui la sua orbita intorno al Sole. L’alternarsi delle stagioni è visibile e svelato.
Le tredici sorelle sono invece il ciclo mensile lunare. La Luna ruota intorno alla Terra con cadenza mensile, nel velato.
I Pianeti, le Costellazioni e gli Astri hanno peculiarità e forze maschili e femminili. Le forze maschili sono legate alle qualità del fuoco, dell’aria, del movimento,  le forze femminili alla terra, all’acqua e sono ricettive e feconde.
Il Sole è il padre, il calore, la legge, il dominio, l’attivo, la chiarezza, l’intelligenza.
La Luna è  la madre, l’inconscio collettivo del femminile, la passività, l’umidità, l’istintualità, i desideri, il mistero, la sensualità.
Queste due grandi Luci hanno anch’esse il loro lato ombra: il Sole nero e la Luna nera, che si manifesta rispettivamente con l’egocentrismo, il narcisismo, la violenza, l’odio, le guerre, per il primo luminare e con l’immobilità, l’incapacità di agire per eccessiva introspezione, eccessivo attaccamento alle esperienze passate, la repressione della femminilità per il secondo.
Per conciliare queste due forze così potenti e complesse nel calendario ebraico il conteggio del tempo è stato implementato in modo da farli operare congiuntamente. Per fare questo si è stabilito che l’anno è “solare” poichè viene rispettato l’alternarsi delle stagioni; i mesi invece incominciano con il primo novilunio e si concludono con il novilunio successivo in modo che durante l’anno il numero dei mesi può essere di 12 o di 13.
Nella tradizione ebraica ogni inizio mese viene festeggiato e vi sono molte ricorrenze che vengono fatte coincidere con le fasi di luna piena o nuova. In questo modo ogni mese è un nuovo inizio, è un rinnovamento del ciclo perpetuo nascita-morte.
Sempre nella tradizione ebraica ogni due o tre anni si aggiunge un tredicesimo mese per far coincidere la decorrenza dei mesi con le stagioni. Il tredicesimo si ottiene dalla scissione in due parti del mese di Adar che in tal modo genera i mesi di Adar Alef e Adar Bet.
Il tredicesimo mese è molto importante perché è il mezzo attraverso il quale viene ristabilita la giusta relazione fra il ritmo solare e quello lunare e per questa ragione esso manifesta la presenza divina.
L’anno bisestile, shanà me’uberet, è chiamato l’anno “gravido” perché porta con sé un mese in più.
L’importanza del femminile  viene sottolineata dall’autrice in quanto “…la donna è il simbolo della presenza immanente di Dio, della Shekinà che accompagnava le 12 tribù nel loro viaggio attraverso il deserto” (pag.38)
Nella tradizione ebraica il collegamento fra il 12 ed il 13 riferito al maschile e al femminile viene applicato nei riti che riguardano il passaggio all’età adulta che è fissata ai tredici anni per i maschi e a dodici anni per le femmine. Si può notare che le esperienze sono invertite: il figlio dovrà fare esperienza delle 13 lune, dell’amore e della unità espressa nella Torà, mentre la figlia affronta l’incontro con il suo maschile con il numero 12.
Da quanto è stato detto si può osservare che non esiste un unico calendario, infatti quello ebraico è solare e lunare, il calendario occidentale è esclusivamente solare mentre quello islamico è unicamente lunare.
Il calendario ebraico abbraccia le due polarità integrandole con una scansione aggiuntiva che fa da ponte. In tal modo si concilia la forza del sole che brilla ed è visibile con quella della luna che a volte non è interamente percepibile. Però per comprendere la luna bisogna sforzarsi di recepire la qualità delle quattro fasi lunari, luna crescente, luna piena, luna calante e luna assente, delle quali quest’ultima è la misteriosa luna nera o nuova.
L’autrice conclude questa parte ribadendo che “l’amore fra uomo e donna, fra maschile e femminile, è il mezzo per ricollegarsi all’Uno, all’unico Dio, all’Uni-verso” (pag.39).

Ester, la stella e Hadassa il mirto.

Nella parte precedente si è parlato di una coppia molto importante: Lilit ed Eva che rappresentano due aspetti della femminilità che operano alternandosi l’un l’altra in un processo di sdoppiamento. La donna con la sua capacità di scindersi e adattarsi agisce su differenti livelli soprattutto nei momenti di grande mutamento nei quali deve necessariamente impiegare tutte le capacità di cui dispone.
Quando Lilit compie un passo indietro emerge Eva che con il suo agire ha provocato l’uscita dall’Eden cambiando per sempre il destino dell’umanità.
Analogamente a Lilit ed Eva vi sono altre due figure femminili che hanno agito nello stesso modo: Ester e Hadassa dove quest’ultima viene messa in disparte per dare ad Ester la possibilità di agire e compiere un’azione estrema e necessaria che salverà il popolo di Israele.
Lilit, Eva, Ester e Hadassa ci mostrano quali sono le parti della personalità da riconoscere, risanare e trasformare. Esse indicano il percorso del “Tiqqun” cioè qual’è il momento in cui bisogna sapere e voler cogliere da un evento negativo e drammatico la possibilità di “riparare”.
La storia di Ester e Hadassa è ricca di simbolismo ed è molto istruttiva perché insegna quali sono le parti della personalità che devono essere guarite, trasformate ed integrate. Il processo di riparazione deve necessariamente passare attraverso un evento traumatico che risvegli le parte inconscie per farle affiorare alla coscienza.
Assuero, imperatore persiano, dopo aver ripudiato la moglie Vashtì che si era rifiutata di mostrarsi in pubblico prende in sposa Hadassa che si presentata a corte con il falso nome di Ester.
Il nome Hadassa in ebraico significa “mirto” mentre Ester in persiano significa “stella”.
Hadassa nascondendo il suo vero nome perde il profumo di mirto, conservandone però il sapore amaro ma essendo ebrea riesce in tal modo a salvarsi celando la sua vera identità ad Assuero e alla sua corte.
Accadde però che il viceré Haman mal sopportando la presenza e l’operato degli ebrei ne decreta il massacro. L’uccisione doveva essere eseguita nei confronti di tutti gli ebrei che vivevano nel regno di Assuero senza alcuna distinzione pertanti giovani e vecchi, donne e bambini erano destinati allo sterminio.
Mordekai è cugino di Hadassa-Ester e in un incontro segreto al palazzo imperiale la implora come ebrea di intervenire per salvare il suo popolo.
Hadassa-Ester messa di fronte ad un terribile dramma che coinvolge non solo se stessa ma l’intera comunità ebraica con un gesto di grande forza interiore e di estremo coraggio fa indietreggiare Hadassa per lasciare spazio ad Ester e rivela ad Assuero la sua vera identità perorando la causa della sua gente. La tragedia viene evitata ed il decreto di condanna a morte per gli ebrei revocato.
Il gesto di Ester ricorda quello compiuto da Mosè quando aveva scelto di rivelare la sua identità “uccidendo” l’egiziano che era in lui.
La storia del grande gesto compiuto da Ester viene ricordata ogni anno con la festa di Purim durante la quale si legge la meghillà (rotolo) di Ester. Il rotolo simboleggia la rotazione della terra e rappresenta il ciclo eterno della vita e della morte. Con Purim viene ricordato che un evento altamente drammatico è stato sventato con l’intervento di un’azione umana.
A Purim l’uomo si maschera, mette la maschera al proprio io, così come la Presenza divina si “maschera” nella Creazione per operare nel “velato”.

Per concludere si può ancora dire con l’autrice che Hadassa, il mirto, la pianta profumata, è il simbolo della levanà, la luna bianca, ed è colei che opera nello s-velato mentre l’altra sua faccia, Ester, nominata anche ayelet hashachar, la stella del mattino, opera nell’oscurità. Da ricordare che quando per noi la luna non è visibile è perchè il sole illumina l’altra sua faccia. La luna e le stelle spariscono al sorgere del sole annunciando il giorno, e allo stesso modo Ester proclama il miracolo, la vittoria del bene: e gli ebrei erano raggianti di luce, di gioia e di gloria”. (Yomà 29)”. (pag.41).

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