venerdì 23 settembre 2016

“LA SAGGEZZA VELATA – IL FEMMINILE NELLA TORÀ. L’ESSERE UMANO: UN ARCHETIPO DUALE”

L’argomento esposto nella presente relazione è tratto dal libro “La Saggezza velata – il femminile nella Torà”  - edizione Giuntina -scritto da Yarona Pinhas, ricercatrice presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, Il libro è la sintesi scritta di un ciclo di conferenze che l’autrice ha tenuto presso il Centro Pitigliani, a Roma nel 2000.
Yarona Pinhas è nata in Eritrea da una famiglia yemenita della città di Aden. Ha conseguito la laurea in Linguistica e storia dell’arte. Intorno agli anni ’90 si è trasferita in Italia dove ha insegnato ebraico all’università Orientale di Napoli.
Il suo interesse per i temi riguardanti la Tradizione orale ebraica la spinge verso l’attività di docente di mistica ebraica, con particolare attenzione  “al femminile” della Torà.
La lettura di questo libro è una opportunità per accostarsi al pensiero di una donna a noi contemporanea, che vive il nostro tempo e  cerca di trasmettere le conoscenze acquisite sulla Tradizione Ebraica con una sua modalità personale.
La sua voce si inserisce in un contesto sociale e comportamentale per molto tempo fortemente condizionato dal pensiero patriarcale attualmente costretto ad  affrontare i grandi cambiamenti in atto,  generati anche dal bisogno sempre più pressante che le donne hanno di esprimersi e di raccontare.
La presente relazione ha per oggetto il secondo capitolo del testo richiamato e si intitola: “L’essere umano: un archetipo duale” .
I successivi capitoli trattano i seguenti argomenti :
3. “Benedetto il Signore che non mi ha fatto donna”
4. Mishnà, Talmud e donna
5. Lo “s-velato” nel “velato”. Il lato oscuro di Eva
6. Il pozzo di Miriam, simbolo delle acque viventi, della sapienza e della guarigione
7. La donna tra silenzio e parola
Prima di passare all’illustrazione degli argomenti trattati in questo secondo capitolo se ne espone il contenuto in modo sintetico al fine di meglio comprendere l’itinerario che l’autrice ha voluto percorrere.
Yarona Pinhas è una appassionata ricercatrice e studiosa della Tradizione ebraica scritta ed orale che ha affrontato il tema della spiritualità femminile ebraica per evidenziarne il valore e per mettere maggiormente in evidenza le figure femminili in quanto nella Torà esse non hanno ricevuto lo stesso risalto che invece è stato attribuito alle figure maschili.
In questo capitolo, partendo dal fatto che con il termine “Adamo” viene designato “l’archetipo dell’essere umano primordiale”, ovvero l’essere “androgino” , maschile e femminile, e, considerata l’importanza che i saggi hanno da sempre attribuito alla correlazione fra “dualismo” ed “unità”, tra il mondo materiale e quello spirituale, tra il microcosmo ed il macrocosmo l’autrice analizza i versetti della Bibbia, i racconti del Midrash, le feste ebraiche ed i poemi che sono caratterizzati dalla presenza di  figure femminili di grande rilievo.
La sua indagine è stata effettuata con lo scopo di fare luce su alcune caratteristiche dell’aspetto femminile che a suo avviso è sempre correlato con quello maschile e che rimanda all’archetipo della dualità, della coppia e del doppio.
In questo modo l’autrice ci offre la possibilità di riflettere sulla coppia Lilit-Eva e del loro rapporto con l’Adamo, ci fa scoprire che ogni figlio di Giacobbe ha una sorella gemella e che le sorelle erano tredici in tutto poiché Beniamino a differenza degli altri fratelli aveva due sorelle gemelle; spiega il sistema simbolico dei segni astrologici individuando le funzioni maschili e femminili dei due luminari; si sofferma sulla storia di Hadassa che occulta la sua vera identità perché agisce sotto le mentite spoglie di Ester ed infine ci parla del percorso “spinoso” per realizzare l’amore descritto nel Cantico dei Cantici.
Il capitolo intitolato “L’essere umano: un archetipo duale” sviluppa i seguenti argomenti: “Lilit e Eva”, “Le tredici figlie smarrite di Giacobbe”, “Le tredici sorelle e le stelle”, “Ester, la stella; Hadassa, il mirto”ed  “il cantico della rosa sublime”.

Lilit ed Eva

L’argomento che l’autrice vuole trattare è anticipato nel titolo assegnato al capitolo. Quando pronunciamo la parola “io” abbiamo la certezza di riferirci ad un essere ben definito e identificato, ma quando ci soffermiamo a riflettere su chi è quell’io incominciamo a dubitare ed ecco che quella parola  diventa un termine incerto e  inafferrabile e che probabilmente non ci si può riferire ad un singolo essere ma alla compresenza di differenti essenze.
L’autrice in questo testo fa riferimento alla Genesi e nel prenderne in considerazione alcuni aspetti ce ne fornisce una personale e particolare interpretazione simbolica non sempre facile da comprendere perché fa riferimento ad una cultura complessa.
Adamo è considerato l’archetipo dell’essere umano primordiale ed accoglie dentro di sé due essenze femminili identificate con quelle di Lilit e di Eva. Queste due figure femminili hanno sensibilità differenti: Lilit agisce nell’interiorità, Eva nell’esteriorità.
Lilit è poco conosciuta e nella Bibbia viene menzionata una sola volta e precisamente in Isaia (34,14), dove le viene assegnato l’aspetto di un démone che si aggira tra le rovine. Secondo il Midrash Lilit sarebbe la prima moglie di Adamo, anch’essa fatta di terra, creata dopo Adamo, alla fine del sesto giorno ma prima che iniziasse il sabato. Dal punto di vista simbolico Lilit incarna la donna che  mette in atto la seduzione ed ha un potere distruttivo, è la donna che sentendosi uguale all’uomo non ne accetta il dominio e la supremazia e per tali caratteristiche è stata raffigurata con le sembianze di un démone femminile alato. Probabilmente questa rappresentazione è stata tratta da immagini della mitologia babilonese.
Eva essendo stata tratta dalla costola di Adamo può essere intesa come la sua “gemella” che ha con lui una relazione particolare in quanto fisicamente gli è molto legata essendo stata creata per lui ma al contempo è anche legata al serpente che riesce a persuaderla a mangiare il frutto proibito dall’albero del bene e del male. Eva in un certo senso si affranca dal controllo di Adamo perché segue i suoi istinti personali.
Eva è la compagna dell’uomo, è la conoscenza mentale ed è legata alle ossa e alla carne.
Lilit invece è la conoscenza naturale slegata dai processi mentali ed è la conoscenza che contraddistingue la donna selvaggia legata alla terra, al sangue all’animalità e che, come alcuni animali possono anche allontanare da sé la prole che hanno portato nel proprio grembo.
Lilit simbolicamente rappresenta la forza creatrice che ha il compito di sorreggere il tutto, è l’alveo che accoglie e protegge il seme senza però farsi carico del frutto.
Eva è simbolicamente colei che educa la prole e cura con intelligenza i figli affinchè essi possano individuare qual è la loro vera struttura e il proprio spirito.
Tuttavia queste due figure pur essendo diverse hanno un sentimento in comune: la ribellione.
Sia Lilit che Eva non accettano le limitazioni che derivano dai ruoli ad esse assegnati e per tale ragione si oppongono e si ribellano ciascuna a suo modo.
Lilit sà di non essere inferiore ad Adamo, sà di avere la sua stessa dignità di ispirazione divina e con forza la rivendica ribellandosi sottraendosi alla potestà di Adamo.
Per Lilith la maternità non può essere una imposizione o un controllo sulla sua sessualità. Poiché però la libertà di scelta le viene negata lei vi rinuncia ed abbandona Adamo ma da quel momento essa viene demonizzata e diventa la moglie di Sama-el, l’angelo della morte che simbolicamente è l’opposto della Shekinà.
Eva invece non si ribella all’uomo in quanto tale bensì ad una condizione esistenziale costituita dalla immutabilità delle situazioni e al non-tempo dell’Eden ed agisce trasgredendo al divieto imposto di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza.
La sua disubbidienza e la sua cacciata dall’Eden la fa diventare una madre fertile come la terra facendole assumere una caratteristica tipica di Lilit.
Con la disubbidienza Eva si avvicina  all’essenza istintuale di Lilit da quando inizia a parlare con il serpente e quindi a comunicare con i suoi istinti.
Con questa trasformazione Eva diventa la congiunzione tra Adamo e Lilit ovvero tra il conscio e l’inconscio, tra l’individuo e la sua ombra; Eva è il punto di incontro tra gli opposti è il ponte di collegamento fra nature differenti.
Spetta all’uomo il compito di creare continuamente il ponte della riconciliazione-redenzione. Nel corso della sua vita l’uomo deve attraversare differenti ponti per poter collegare le sue molteplici terre interiori e collegare queste con le terre esterne. Ogni traversata è un’avventura che spesso viene frenata dalla paura e, molte volte, piuttosto di attraversare il ponte l’uomo si ferma perché non vuole scoprire nuove opportunità negandosi in tal modo nuove esperienze.
Questo conflitto turba l’essere umano che oscilla continuamente tra Eva e Lilit poiché nel suo intimo le desidera entrambi, egli vorrebbe vicino a sé sias la moglie legittima (Eva-Shekinà) che l’amante segreta (Lilit-l’altra).
Si può dire cheAdamo, Lilit ed Eva sono gli archetipi di tre momenti dello sviluppo dell’anima primigenia, rappresentano livelli differenti, superiori, inferiori ed interconnessi che non si negano e non si contrappongono ma si avvicendano tra loro secondo il processo evolutivo dell’anima che è in perpetuo movimento  passando incessantemente da un livello all’altro.

Accade che al livello di nefesh, l’anima inferiore e sede delle pulsioni, seguono le fasi di ruach, lo spirito, o l’anima intermedia sede dei desideri che funge da ponte con i livelli superiori, e le fasi di neshamà, l’anima superiore dove ha sede l’intelligenza cognitiva.
Oltre a nefesh, ruach e neshamà vi sono livelli dell’anima ancora più elevati chiamati chayà e yechidà, che soltanto pochi riescono a percepire.
Rabbi Shneur Zalman di Ljadi (1745-1813) afferma che il livello di nefesh si suddivide in nefesh behemit (anima inferiore, animale) e nefesh Elohit (anima divina). In nefesh behemit dimorano gli istinti corporei, il centro della sessualità, le pulsioni rimosse o represse e l’irrazionalità. Nefesh Elohit è il livello superiore che permette di acquisire la conoscenza e indica come dirigere e reintegrare le forze dell’anima inferiore. Nefesh behemit e nefesh Elohit non sono in opposizione fra loro ma sono complementari per consentire un armonioso processo evolutivo.
Adamo con il suo risveglio prende coscienza della sua anima ed entra in relazione con il suo femminile, con Eva.
Accogliere Eva vuol dire unirsi alla “madre di tutti i viventi” (Genesi 3,20), madre che conduce all’incontro con Adamo, lo spirito vitale il nishmat chaim, Dio gli ha soffiato perché diventasse “un essere vivente, nefesh chaià” (Genesi, 2,7). Il ritrovamento del “femminile” ricongiunge l’uomo al suo archetipo androgino originario: “… l’uomo abbandona padre e madre e si unisce con la moglie e diviene con lei come un essere solo” (Genesi, 2,24), crea un rapporto consapevole uomo-donna, lasciandosi alle spalle ciò che già conosce per scoprire quelle parti di sé che ancora non conosce o che non ha voluto conoscere.
L’incontro tra il maschile ed il femminile diventa in tal modo una vera benedizione soprattutto quando si è conosciuta la tristezza della solitudine.
Proseguendo nella Genesi, l’unione fra uomo e donna viene espressa con la parola yadà’ (conobbe, verbo che esprime la conoscenza che si realizza mediante l’intelligenza Da’at), interpretata inoltre come unione sessuale dalla quale nasce un nuovo io: “l’uomo conobbe Eva, sua moglie, ed essa rimase incinta” (Genesi, 4,1). In questo versetto viene evidenziato come la psiche, che fino ad allora non aveva forma, si definisce come caratteristica propriamente umana: il nulla, ain, (alef, yod, nun)  genera l’io, anì   (alef, nun yod).
La fuga dall’Egitto (Mitzraim ovvero “luoghi stretti”), la fuga dalla schiavitù, e la traversata del mare sono immagini metaforiche che descrivono i passaggi necessari per giungere nella Terra Promessa dopo essersi liberati da se stessi, avendo attraversato il mare dell’inconscio collettivo ed il nulla del proprio deserto.
La Terra Promessa è il nuovo io, è il frutto del lavoro interiore.
Per poter ritrovare la Terra Promessa con una nuova consapevolezza è necessario soffrire il proprio esilio, sentirsi stranieri e schiavi, ma è proprio questo percorso che aiuta a trovare la forza di reagire per decidere di voler imboccare la via del ritorno.
L’autrice mette in rilievo come la “Genesi” è l’espressione simbolica del processo della creazione dell’anima dell’essere archetipale costretto ad abbandonare l’Eden. Quì Adamo, Lilit ed Eva non devono essere intesi come tre esseri distinti ma tre aspetti dello stesso essere in formazione, dell’unico essere androgino al quale si deve tendere per ritornare allo stato originario. Lilit, Eva e Adamo sono figure stratificate in differenti livelli, di cui quelli superiori sono contenuti in quelli inferiori.
Per spiegare questo processo la Bibbia ricorre all’analogia, utilizzando espressioni ed immagini allegoriche affinchè ognuno tragga il necessario insegnamento.
Le parole utilizzate non sono state scelte a caso, nella lingua ebraica ogni parola ha una valenza specifica.
Per esprimere il processo spirituale compiuto dalla prima coppia Adamo-Eva sono state utilizzate delle parole che derivano dalla stessa radice. Questa è una caratteristica particolare della lingua ebraica nella quale le radici delle parole sono di norma formate da tre lettere consonanti che, attraverso la permutazione, danno origine a differenti combinazioni,  significati e collegamenti.
Ad esempio “uomo” è ish     (alef,yod,scin) mentre donna è ishà (alef,scin he), queste due parole, che indicano il maschile ed il femminile, contengono una delle lettere del Tetragramma. Infatti nella parola “uomo” è contenuta la yod mentre nella parola “donna” è contenuta la he.
Le due parole però hanno in comune due lettere: scin e alef, se si uniscono queste due lettere si ottiene la parola esh (alef,scin) che significa “fuoco”.
Quindi la coppia Adamo-Eva è l’unione di Adamo, che è fatto di terra, acqua e l’aria del soffio vitale, con Eva che è il “fuoco” ovvero il quarto elemento che consente di realizzare  simultaneamente l’unione terrestre e quella divina. I nomi “ish” e “ishà”, uomo-donna, sono quindi l’espressione dell’unione tra il cielo (la yod) e la terra (la he) e viceversa.

Le tredici figlie smarrite di Giacobbe

In questo paragrafo l’autrice espone una interpretazione molto particolare della discendenza di Giacobbe nella quale si fa riferimento al fatto che Giacobbe oltre ai dodici figli maschi ha generato tredici figlie. Secondo gli studi effettuati da Rabbi Shlomo Itzchai (Francia 1040-1105), grande studioso dei testi biblici e del Talmud, si era giunti all’interpretazione secondo la quale “…. I nostri rabbini hanno spiegato che ciascun figlio di Giacobbe era nato con una sorella gemella, mentre Beniamino nacque con due sorelle gemelle”.
Nella Bibbia queste tredici figlie non vengono menzionate in modo diretto, ma in modo generico nel versetto 46, 6-15 della Genesi.
Quale significato assumono queste figure “doppie”?
L’autrice giunge alla conclusione che le gemelle sono il simbolo della Shekinà, l’anima, che deve restare nella terra di Canaan, e rappresentano il centro spirituale invisibile della Terra.
La voce delle sorelle è sempre viva, il loro richiamo raggiunge i fratelli ovunque essi si trovino. Quando i fratelli ritornano nella Terra di Canaan e si riuniscono con le sorelle si realizza il “ricongiungimento con l’anima” e viene superata la separazione. Quando il maschile si unisce al femminile si supera la dualità e si entra nell’Uno.
Le sorelle “assenti” simboleggiano dunque il processo della riunificazione.

Le tredici sorelle e le stelle

I figli di Giacobbe erano dodici, la Bibbia, seppure allusivamente, parla anche di tredici sorelle gemelle e ciò può apparire come una incongruenza che però l’autrice chiarisce prendendo in esame una descrizione tratta dal Midrash, che viene riportato integralmente per non modificarne il contenuto assai interessante:
“L’uomo è paragonato alle 12 costellazioni. Alla nascita è puro come un agnello (Ariete), poi si irrobustisce come un Toro. Quindi cresce e diventa Gemelli, teomim, vale a dire completo (tam), e la tendenza al male cresce in lui. All’inizio è debole come il Cancro; in seguito, matura e diviene forte come il Leone. Se commette peccato, agisce come una Vergine, e se egli aggiunge peccato a peccato, questi vengono pesati con una Bilancia; se egli persiste nella sua ribellione verrà gettato negli abissi dello Sheol (inferi) come lo Scorpione che risiede nella terra; ma se si pente, sia scagliato in alto come una freccia scoccata da un arco (Sagittario). Ed ecco diventa pulito e mite come il capretto (Capricorno), puro come al momento della nascita. Pura acqua viene versata su di lui dall’anfora (Acquario) ed egli cresce con gaudio come i Pesci che nuotano felici nell’acqua e perciò egli compie il lavacro ad ogni ora in fiumi di balsamo e nel latte e nell’olio e nel miele ed egli è sempre nutrito dall’Albero della Vita, risiede in mezzo ai giusti e vive in eterno” (Tanchùma Haazinu 1). (pag.36)

Questo brano è una chiara espressione simbolica del processo evolutivo spirituale umano, individuale e collettivo che ha uno stretto legame con due fattori: il tempo e lo spazio.
Come si possono collegare i dodici mesi con la coppia uomo-donna?
I dodici figli di Israele simboleggiano il ciclo annuale solare ovvero il periodo necessario affinchè la terra effettui la sua orbita intorno al Sole. L’alternarsi delle stagioni è visibile e svelato.
Le tredici sorelle sono invece il ciclo mensile lunare. La Luna ruota intorno alla Terra con cadenza mensile, nel velato.
I Pianeti, le Costellazioni e gli Astri hanno peculiarità e forze maschili e femminili. Le forze maschili sono legate alle qualità del fuoco, dell’aria, del movimento,  le forze femminili alla terra, all’acqua e sono ricettive e feconde.
Il Sole è il padre, il calore, la legge, il dominio, l’attivo, la chiarezza, l’intelligenza.
La Luna è  la madre, l’inconscio collettivo del femminile, la passività, l’umidità, l’istintualità, i desideri, il mistero, la sensualità.
Queste due grandi Luci hanno anch’esse il loro lato ombra: il Sole nero e la Luna nera, che si manifesta rispettivamente con l’egocentrismo, il narcisismo, la violenza, l’odio, le guerre, per il primo luminare e con l’immobilità, l’incapacità di agire per eccessiva introspezione, eccessivo attaccamento alle esperienze passate, la repressione della femminilità per il secondo.
Per conciliare queste due forze così potenti e complesse nel calendario ebraico il conteggio del tempo è stato implementato in modo da farli operare congiuntamente. Per fare questo si è stabilito che l’anno è “solare” poichè viene rispettato l’alternarsi delle stagioni; i mesi invece incominciano con il primo novilunio e si concludono con il novilunio successivo in modo che durante l’anno il numero dei mesi può essere di 12 o di 13.
Nella tradizione ebraica ogni inizio mese viene festeggiato e vi sono molte ricorrenze che vengono fatte coincidere con le fasi di luna piena o nuova. In questo modo ogni mese è un nuovo inizio, è un rinnovamento del ciclo perpetuo nascita-morte.
Sempre nella tradizione ebraica ogni due o tre anni si aggiunge un tredicesimo mese per far coincidere la decorrenza dei mesi con le stagioni. Il tredicesimo si ottiene dalla scissione in due parti del mese di Adar che in tal modo genera i mesi di Adar Alef e Adar Bet.
Il tredicesimo mese è molto importante perché è il mezzo attraverso il quale viene ristabilita la giusta relazione fra il ritmo solare e quello lunare e per questa ragione esso manifesta la presenza divina.
L’anno bisestile, shanà me’uberet, è chiamato l’anno “gravido” perché porta con sé un mese in più.
L’importanza del femminile  viene sottolineata dall’autrice in quanto “…la donna è il simbolo della presenza immanente di Dio, della Shekinà che accompagnava le 12 tribù nel loro viaggio attraverso il deserto” (pag.38)
Nella tradizione ebraica il collegamento fra il 12 ed il 13 riferito al maschile e al femminile viene applicato nei riti che riguardano il passaggio all’età adulta che è fissata ai tredici anni per i maschi e a dodici anni per le femmine. Si può notare che le esperienze sono invertite: il figlio dovrà fare esperienza delle 13 lune, dell’amore e della unità espressa nella Torà, mentre la figlia affronta l’incontro con il suo maschile con il numero 12.
Da quanto è stato detto si può osservare che non esiste un unico calendario, infatti quello ebraico è solare e lunare, il calendario occidentale è esclusivamente solare mentre quello islamico è unicamente lunare.
Il calendario ebraico abbraccia le due polarità integrandole con una scansione aggiuntiva che fa da ponte. In tal modo si concilia la forza del sole che brilla ed è visibile con quella della luna che a volte non è interamente percepibile. Però per comprendere la luna bisogna sforzarsi di recepire la qualità delle quattro fasi lunari, luna crescente, luna piena, luna calante e luna assente, delle quali quest’ultima è la misteriosa luna nera o nuova.
L’autrice conclude questa parte ribadendo che “l’amore fra uomo e donna, fra maschile e femminile, è il mezzo per ricollegarsi all’Uno, all’unico Dio, all’Uni-verso” (pag.39).

Ester, la stella e Hadassa il mirto.

Nella parte precedente si è parlato di una coppia molto importante: Lilit ed Eva che rappresentano due aspetti della femminilità che operano alternandosi l’un l’altra in un processo di sdoppiamento. La donna con la sua capacità di scindersi e adattarsi agisce su differenti livelli soprattutto nei momenti di grande mutamento nei quali deve necessariamente impiegare tutte le capacità di cui dispone.
Quando Lilit compie un passo indietro emerge Eva che con il suo agire ha provocato l’uscita dall’Eden cambiando per sempre il destino dell’umanità.
Analogamente a Lilit ed Eva vi sono altre due figure femminili che hanno agito nello stesso modo: Ester e Hadassa dove quest’ultima viene messa in disparte per dare ad Ester la possibilità di agire e compiere un’azione estrema e necessaria che salverà il popolo di Israele.
Lilit, Eva, Ester e Hadassa ci mostrano quali sono le parti della personalità da riconoscere, risanare e trasformare. Esse indicano il percorso del “Tiqqun” cioè qual’è il momento in cui bisogna sapere e voler cogliere da un evento negativo e drammatico la possibilità di “riparare”.
La storia di Ester e Hadassa è ricca di simbolismo ed è molto istruttiva perché insegna quali sono le parti della personalità che devono essere guarite, trasformate ed integrate. Il processo di riparazione deve necessariamente passare attraverso un evento traumatico che risvegli le parte inconscie per farle affiorare alla coscienza.
Assuero, imperatore persiano, dopo aver ripudiato la moglie Vashtì che si era rifiutata di mostrarsi in pubblico prende in sposa Hadassa che si presentata a corte con il falso nome di Ester.
Il nome Hadassa in ebraico significa “mirto” mentre Ester in persiano significa “stella”.
Hadassa nascondendo il suo vero nome perde il profumo di mirto, conservandone però il sapore amaro ma essendo ebrea riesce in tal modo a salvarsi celando la sua vera identità ad Assuero e alla sua corte.
Accadde però che il viceré Haman mal sopportando la presenza e l’operato degli ebrei ne decreta il massacro. L’uccisione doveva essere eseguita nei confronti di tutti gli ebrei che vivevano nel regno di Assuero senza alcuna distinzione pertanti giovani e vecchi, donne e bambini erano destinati allo sterminio.
Mordekai è cugino di Hadassa-Ester e in un incontro segreto al palazzo imperiale la implora come ebrea di intervenire per salvare il suo popolo.
Hadassa-Ester messa di fronte ad un terribile dramma che coinvolge non solo se stessa ma l’intera comunità ebraica con un gesto di grande forza interiore e di estremo coraggio fa indietreggiare Hadassa per lasciare spazio ad Ester e rivela ad Assuero la sua vera identità perorando la causa della sua gente. La tragedia viene evitata ed il decreto di condanna a morte per gli ebrei revocato.
Il gesto di Ester ricorda quello compiuto da Mosè quando aveva scelto di rivelare la sua identità “uccidendo” l’egiziano che era in lui.
La storia del grande gesto compiuto da Ester viene ricordata ogni anno con la festa di Purim durante la quale si legge la meghillà (rotolo) di Ester. Il rotolo simboleggia la rotazione della terra e rappresenta il ciclo eterno della vita e della morte. Con Purim viene ricordato che un evento altamente drammatico è stato sventato con l’intervento di un’azione umana.
A Purim l’uomo si maschera, mette la maschera al proprio io, così come la Presenza divina si “maschera” nella Creazione per operare nel “velato”.

Per concludere si può ancora dire con l’autrice che Hadassa, il mirto, la pianta profumata, è il simbolo della levanà, la luna bianca, ed è colei che opera nello s-velato mentre l’altra sua faccia, Ester, nominata anche ayelet hashachar, la stella del mattino, opera nell’oscurità. Da ricordare che quando per noi la luna non è visibile è perchè il sole illumina l’altra sua faccia. La luna e le stelle spariscono al sorgere del sole annunciando il giorno, e allo stesso modo Ester proclama il miracolo, la vittoria del bene: e gli ebrei erano raggianti di luce, di gioia e di gloria”. (Yomà 29)”. (pag.41).

ASPASIA SUPERIORE INCOGNITO INIZIATORE - SOVRANO ORDINE GNOSTICO MARTINISTA
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