L’argomento esposto nella presente relazione è tratto
dal libro “La Saggezza velata – il femminile nella Torà” - edizione Giuntina -scritto da Yarona
Pinhas, ricercatrice presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, Il libro è la
sintesi scritta di un ciclo di conferenze che l’autrice ha tenuto presso il
Centro Pitigliani, a Roma nel 2000.
Yarona Pinhas è nata in Eritrea da una famiglia
yemenita della città di Aden. Ha conseguito la laurea in Linguistica e storia
dell’arte. Intorno agli anni ’90 si è trasferita in Italia dove ha insegnato
ebraico all’università Orientale di Napoli.
Il suo interesse per i temi riguardanti la Tradizione
orale
ebraica la spinge verso l’attività di docente di mistica ebraica, con
particolare attenzione “al femminile”
della Torà.
La lettura di questo libro è una opportunità per
accostarsi al pensiero di una donna a noi contemporanea, che vive il nostro
tempo e cerca di trasmettere le
conoscenze acquisite sulla Tradizione Ebraica con una sua modalità personale.
La sua voce si inserisce in un contesto sociale e
comportamentale per molto tempo fortemente condizionato dal pensiero
patriarcale attualmente costretto ad
affrontare i grandi cambiamenti in atto,
generati anche dal bisogno sempre più pressante che le donne hanno di
esprimersi e di raccontare.
La presente relazione ha per oggetto il secondo
capitolo del testo richiamato e si intitola: “L’essere umano: un
archetipo duale” .
I successivi capitoli trattano i seguenti argomenti :
3. “Benedetto il Signore che non mi ha fatto donna”
4. Mishnà, Talmud e donna
5. Lo “s-velato” nel “velato”. Il lato oscuro di Eva
6. Il pozzo di Miriam, simbolo delle acque viventi,
della sapienza e della guarigione
7. La donna tra silenzio e parola
Prima di passare all’illustrazione degli argomenti trattati
in questo secondo capitolo se ne espone il contenuto in modo sintetico al fine
di meglio comprendere l’itinerario che l’autrice ha voluto percorrere.
In questo capitolo, partendo dal fatto che con il termine
“Adamo” viene designato “l’archetipo dell’essere umano primordiale”, ovvero
l’essere “androgino” , maschile e femminile, e, considerata l’importanza che i
saggi hanno da sempre attribuito alla correlazione fra “dualismo” ed “unità”,
tra il mondo materiale e quello spirituale, tra il microcosmo ed il macrocosmo
l’autrice analizza i versetti della Bibbia, i racconti del Midrash, le feste
ebraiche ed i poemi che sono caratterizzati dalla presenza di figure femminili di grande rilievo.
La sua indagine è stata effettuata con lo scopo di fare luce
su alcune caratteristiche dell’aspetto femminile che a suo avviso è sempre
correlato con quello maschile e che rimanda all’archetipo della dualità, della
coppia e del doppio.
In questo modo l’autrice ci offre la possibilità di
riflettere sulla coppia Lilit-Eva e del loro rapporto con l’Adamo, ci fa
scoprire che ogni figlio di Giacobbe ha una sorella gemella e che le sorelle
erano tredici in tutto poiché Beniamino a differenza degli altri fratelli aveva
due sorelle gemelle; spiega il sistema simbolico dei segni astrologici
individuando le funzioni maschili e femminili dei due luminari; si sofferma
sulla storia di Hadassa che occulta la sua vera identità perché agisce sotto le
mentite spoglie di Ester ed infine ci parla del percorso “spinoso” per
realizzare l’amore descritto nel Cantico dei Cantici.
Il capitolo intitolato “L’essere umano: un archetipo duale”
sviluppa i seguenti argomenti: “Lilit e Eva”, “Le tredici figlie smarrite di
Giacobbe”, “Le tredici sorelle e le stelle”, “Ester, la stella; Hadassa, il
mirto”ed “il cantico della rosa
sublime”.
Lilit ed Eva
L’argomento
che l’autrice vuole trattare è anticipato nel titolo assegnato al capitolo.
Quando pronunciamo la parola “io” abbiamo la certezza di riferirci ad un essere
ben definito e identificato, ma quando ci soffermiamo a riflettere su chi è
quell’io incominciamo a dubitare ed ecco che quella parola diventa un termine incerto e inafferrabile e che probabilmente non ci si
può riferire ad un singolo essere ma alla compresenza di differenti essenze.
L’autrice in
questo testo fa riferimento alla Genesi e nel prenderne in considerazione
alcuni aspetti ce ne fornisce una personale e particolare interpretazione
simbolica non sempre facile da comprendere perché fa riferimento ad una cultura
complessa.
Adamo è
considerato l’archetipo dell’essere umano primordiale ed accoglie dentro di sé
due essenze femminili identificate con quelle di Lilit e di Eva. Queste due
figure femminili hanno sensibilità differenti: Lilit agisce nell’interiorità,
Eva nell’esteriorità.
Lilit è poco
conosciuta e nella Bibbia viene menzionata una sola volta e precisamente in
Isaia (34,14), dove le viene assegnato l’aspetto di un démone che si aggira tra
le rovine. Secondo il Midrash Lilit sarebbe la prima moglie di Adamo, anch’essa
fatta di terra, creata dopo Adamo, alla fine del sesto giorno ma prima che
iniziasse il sabato. Dal punto di vista simbolico Lilit incarna la donna
che mette in atto la seduzione ed ha un
potere distruttivo, è la donna che sentendosi uguale all’uomo non ne accetta il
dominio e la supremazia e per tali caratteristiche è stata raffigurata con le
sembianze di un démone femminile alato. Probabilmente questa rappresentazione è
stata tratta da immagini della mitologia babilonese.
Eva essendo
stata tratta dalla costola di Adamo può essere intesa come la sua “gemella” che
ha con lui una relazione particolare in quanto fisicamente gli è molto legata
essendo stata creata per lui ma al contempo è anche legata al serpente che
riesce a persuaderla a mangiare il frutto proibito dall’albero del bene e del
male. Eva in un certo senso si affranca dal controllo di Adamo perché segue i
suoi istinti personali.
Eva è la
compagna dell’uomo, è la conoscenza mentale ed è legata alle ossa e alla carne.
Lilit invece
è la conoscenza naturale slegata dai processi mentali ed è la conoscenza che contraddistingue
la donna selvaggia legata alla terra, al sangue all’animalità e che, come
alcuni animali possono anche allontanare da sé la prole che hanno portato nel
proprio grembo.
Lilit
simbolicamente rappresenta la forza creatrice che ha il compito di sorreggere
il tutto, è l’alveo che accoglie e protegge il seme senza però farsi carico del
frutto.
Eva è
simbolicamente colei che educa la prole e cura con intelligenza i figli
affinchè essi possano individuare qual è la loro vera struttura e il proprio spirito.
Tuttavia
queste due figure pur essendo diverse hanno un sentimento in comune: la
ribellione.
Sia Lilit
che Eva non accettano le limitazioni che derivano dai ruoli ad esse assegnati e
per tale ragione si oppongono e si ribellano ciascuna a suo modo.
Lilit sà di
non essere inferiore ad Adamo, sà di avere la sua stessa dignità di ispirazione
divina e con forza la rivendica ribellandosi sottraendosi alla potestà di
Adamo.
Per Lilith
la maternità non può essere una imposizione o un controllo sulla sua
sessualità. Poiché però la libertà di scelta le viene negata lei vi rinuncia ed
abbandona Adamo ma da quel momento essa viene demonizzata e diventa la moglie
di Sama-el, l’angelo della morte che simbolicamente è l’opposto della Shekinà.
Eva invece
non si ribella all’uomo in quanto tale bensì ad una condizione esistenziale
costituita dalla immutabilità delle situazioni e al non-tempo dell’Eden ed
agisce trasgredendo al divieto imposto di mangiare il frutto dell’albero della
conoscenza.
La sua
disubbidienza e la sua cacciata dall’Eden la fa diventare una madre fertile
come la terra facendole assumere una caratteristica tipica di Lilit.
Con la
disubbidienza Eva si avvicina
all’essenza istintuale di Lilit da quando inizia a parlare con il
serpente e quindi a comunicare con i suoi istinti.
Con questa
trasformazione Eva diventa la congiunzione tra Adamo e Lilit ovvero tra il
conscio e l’inconscio, tra l’individuo e la sua ombra; Eva è il punto di
incontro tra gli opposti è il ponte di collegamento fra nature differenti.
Spetta
all’uomo il compito di creare continuamente il ponte della
riconciliazione-redenzione. Nel corso della sua vita l’uomo deve attraversare
differenti ponti per poter collegare le sue molteplici terre interiori e
collegare queste con le terre esterne. Ogni traversata è un’avventura che
spesso viene frenata dalla paura e, molte volte, piuttosto di attraversare il
ponte l’uomo si ferma perché non vuole scoprire nuove opportunità negandosi in
tal modo nuove esperienze.
Questo
conflitto turba l’essere umano che oscilla continuamente tra Eva e Lilit poiché
nel suo intimo le desidera entrambi, egli vorrebbe vicino a sé sias la moglie
legittima (Eva-Shekinà) che l’amante segreta (Lilit-l’altra).
Si può dire
cheAdamo, Lilit ed Eva sono gli archetipi di tre momenti dello sviluppo
dell’anima primigenia, rappresentano livelli differenti, superiori, inferiori
ed interconnessi che non si negano e non si contrappongono ma si avvicendano
tra loro secondo il processo evolutivo dell’anima che è in perpetuo movimento passando incessantemente da un livello
all’altro.
Accade che
al livello di nefesh, l’anima inferiore e sede delle pulsioni,
seguono le fasi di ruach, lo spirito, o l’anima intermedia sede
dei desideri che funge da ponte con i livelli superiori, e le fasi di neshamà,
l’anima superiore dove ha sede l’intelligenza cognitiva.
Oltre a nefesh,
ruach e neshamà vi sono livelli dell’anima ancora
più elevati chiamati chayà e yechidà, che soltanto
pochi riescono a percepire.
Rabbi Shneur
Zalman di Ljadi (1745-1813) afferma che il livello di nefesh si
suddivide in nefesh behemit (anima inferiore, animale) e nefesh
Elohit (anima divina). In nefesh behemit dimorano gli
istinti corporei, il centro della sessualità, le pulsioni rimosse o represse e
l’irrazionalità. Nefesh Elohit è il livello superiore che
permette di acquisire la conoscenza e indica come dirigere e reintegrare le
forze dell’anima inferiore. Nefesh behemit e nefesh Elohit
non sono in opposizione fra loro ma sono complementari per consentire un armonioso
processo evolutivo.
Adamo con il
suo risveglio prende coscienza della sua anima ed entra in relazione con il suo
femminile, con Eva.
Accogliere
Eva vuol dire unirsi alla “madre di tutti i viventi” (Genesi
3,20), madre che conduce all’incontro con Adamo, lo spirito vitale il nishmat
chaim, Dio gli ha soffiato perché diventasse “un essere vivente, nefesh
chaià” (Genesi, 2,7). Il ritrovamento del “femminile” ricongiunge
l’uomo al suo archetipo androgino originario: “… l’uomo abbandona padre e
madre e si unisce con la moglie e diviene con lei come un essere solo”
(Genesi, 2,24), crea un rapporto consapevole uomo-donna, lasciandosi alle
spalle ciò che già conosce per scoprire quelle parti di sé che ancora non
conosce o che non ha voluto conoscere.
L’incontro
tra il maschile ed il femminile diventa in tal modo una vera benedizione
soprattutto quando si è conosciuta la tristezza della solitudine.
Proseguendo
nella Genesi, l’unione fra uomo e donna viene espressa con la parola yadà’
(conobbe, verbo che esprime la conoscenza che si realizza mediante
l’intelligenza Da’at), interpretata inoltre come unione sessuale
dalla quale nasce un nuovo io: “l’uomo conobbe Eva, sua moglie, ed essa
rimase incinta” (Genesi, 4,1). In questo versetto viene evidenziato
come la psiche, che fino ad allora non aveva forma, si definisce come
caratteristica propriamente umana: il nulla, ain, (alef, yod,
nun) genera l’io, anì (alef, nun yod).
La fuga
dall’Egitto (Mitzraim ovvero “luoghi stretti”), la fuga dalla schiavitù, e la
traversata del mare sono immagini metaforiche che descrivono i passaggi
necessari per giungere nella Terra Promessa dopo essersi liberati da se stessi,
avendo attraversato il mare dell’inconscio collettivo ed il nulla del proprio
deserto.
La Terra
Promessa è il nuovo io, è il frutto del lavoro interiore.
Per poter
ritrovare la Terra Promessa con una nuova consapevolezza è necessario soffrire
il proprio esilio, sentirsi stranieri e schiavi, ma è proprio questo percorso
che aiuta a trovare la forza di reagire per decidere di voler imboccare la via
del ritorno.
L’autrice
mette in rilievo come la “Genesi” è l’espressione simbolica del processo della
creazione dell’anima dell’essere archetipale costretto ad abbandonare l’Eden.
Quì Adamo, Lilit ed Eva non devono essere intesi come tre esseri distinti ma
tre aspetti dello stesso essere in formazione, dell’unico essere androgino al
quale si deve tendere per ritornare allo stato originario. Lilit, Eva e Adamo
sono figure stratificate in differenti livelli, di cui quelli superiori sono
contenuti in quelli inferiori.
Per spiegare
questo processo la Bibbia ricorre all’analogia, utilizzando espressioni ed
immagini allegoriche affinchè ognuno tragga il necessario insegnamento.
Le parole
utilizzate non sono state scelte a caso, nella lingua ebraica ogni parola ha
una valenza specifica.
Per
esprimere il processo spirituale compiuto dalla prima coppia Adamo-Eva sono
state utilizzate delle parole che derivano dalla stessa radice. Questa è una
caratteristica particolare della lingua ebraica nella quale le radici delle
parole sono di norma formate da tre lettere consonanti che, attraverso la
permutazione, danno origine a differenti combinazioni, significati e collegamenti.
Ad esempio
“uomo” è ish (alef,yod,scin) mentre donna è ishà
(alef,scin he), queste due parole, che indicano il maschile ed il
femminile, contengono una delle lettere del Tetragramma. Infatti nella parola
“uomo” è contenuta la yod mentre nella parola “donna” è contenuta
la he.
Le due
parole però hanno in comune due lettere: scin e alef, se si uniscono queste due
lettere si ottiene la parola esh (alef,scin) che significa
“fuoco”.
Quindi la
coppia Adamo-Eva è l’unione di Adamo, che è fatto di terra, acqua e l’aria del
soffio vitale, con Eva che è il “fuoco” ovvero il quarto elemento che consente
di realizzare simultaneamente l’unione
terrestre e quella divina. I nomi “ish” e “ishà”,
uomo-donna, sono quindi l’espressione dell’unione tra il cielo (la yod)
e la terra (la he) e viceversa.
Le tredici figlie smarrite di Giacobbe
In questo
paragrafo l’autrice espone una interpretazione molto particolare della
discendenza di Giacobbe nella quale si fa riferimento al fatto che Giacobbe
oltre ai dodici figli maschi ha generato tredici figlie. Secondo gli studi
effettuati da Rabbi Shlomo Itzchai (Francia 1040-1105), grande studioso dei
testi biblici e del Talmud, si era giunti all’interpretazione secondo la quale “….
I nostri rabbini hanno spiegato che ciascun figlio di Giacobbe era nato con una
sorella gemella, mentre Beniamino nacque con due sorelle gemelle”.
Nella Bibbia
queste tredici figlie non vengono menzionate in modo diretto, ma in modo
generico nel versetto 46, 6-15 della Genesi.
Quale
significato assumono queste figure “doppie”?
L’autrice
giunge alla conclusione che le gemelle sono il simbolo della Shekinà,
l’anima, che deve restare nella terra di Canaan, e rappresentano il centro
spirituale invisibile della Terra.
La voce
delle sorelle è sempre viva, il loro richiamo raggiunge i fratelli ovunque essi
si trovino. Quando i fratelli ritornano nella Terra di Canaan e si riuniscono
con le sorelle si realizza il “ricongiungimento con l’anima” e viene superata
la separazione. Quando il maschile si unisce al femminile si supera la dualità
e si entra nell’Uno.
Le sorelle
“assenti” simboleggiano dunque il processo della riunificazione.
Le tredici sorelle e le stelle
I figli di
Giacobbe erano dodici, la Bibbia, seppure allusivamente, parla anche di tredici
sorelle gemelle e ciò può apparire come una incongruenza che però l’autrice
chiarisce prendendo in esame una descrizione tratta dal Midrash, che viene
riportato integralmente per non modificarne il contenuto assai interessante:
“L’uomo è paragonato alle 12 costellazioni. Alla nascita è puro
come un agnello (Ariete), poi si irrobustisce come un Toro. Quindi cresce e
diventa Gemelli, teomim, vale a dire completo (tam), e la tendenza al male
cresce in lui. All’inizio è debole come il Cancro; in seguito, matura e diviene
forte come il Leone. Se commette peccato, agisce come una Vergine, e se egli
aggiunge peccato a peccato, questi vengono pesati con una Bilancia; se egli
persiste nella sua ribellione verrà gettato negli abissi dello Sheol (inferi)
come lo Scorpione che risiede nella terra; ma se si pente, sia scagliato in
alto come una freccia scoccata da un arco (Sagittario). Ed ecco diventa pulito
e mite come il capretto (Capricorno), puro come al momento della nascita. Pura
acqua viene versata su di lui dall’anfora (Acquario) ed egli cresce con gaudio
come i Pesci che nuotano felici nell’acqua e perciò egli compie il lavacro ad
ogni ora in fiumi di balsamo e nel latte e nell’olio e nel miele ed egli è
sempre nutrito dall’Albero della Vita, risiede in mezzo ai giusti e vive in
eterno” (Tanchùma
Haazinu 1). (pag.36)
Questo brano
è una chiara espressione simbolica del processo evolutivo spirituale umano,
individuale e collettivo che ha uno stretto legame con due fattori: il tempo e
lo spazio.
Come si
possono collegare i dodici mesi con la coppia uomo-donna?
I dodici
figli di Israele simboleggiano il ciclo annuale solare ovvero il periodo
necessario affinchè la terra effettui la sua orbita intorno al Sole.
L’alternarsi delle stagioni è visibile e svelato.
Le tredici
sorelle sono invece il ciclo mensile lunare. La Luna ruota intorno alla Terra
con cadenza mensile, nel velato.
I Pianeti,
le Costellazioni e gli Astri hanno peculiarità e forze maschili e femminili. Le
forze maschili sono legate alle qualità del fuoco, dell’aria, del
movimento, le forze femminili alla
terra, all’acqua e sono ricettive e feconde.
Il Sole è il
padre, il calore, la legge, il dominio, l’attivo, la chiarezza, l’intelligenza.
La Luna
è la madre, l’inconscio collettivo del
femminile, la passività, l’umidità, l’istintualità, i desideri, il mistero, la
sensualità.
Queste due grandi
Luci hanno anch’esse il loro lato ombra: il Sole nero e la Luna nera, che si
manifesta rispettivamente con l’egocentrismo, il narcisismo, la violenza,
l’odio, le guerre, per il primo luminare e con l’immobilità, l’incapacità di
agire per eccessiva introspezione, eccessivo attaccamento alle esperienze
passate, la repressione della femminilità per il secondo.
Per
conciliare queste due forze così potenti e complesse nel calendario ebraico il
conteggio del tempo è stato implementato in modo da farli operare
congiuntamente. Per fare questo si è stabilito che l’anno è “solare” poichè
viene rispettato l’alternarsi delle stagioni; i mesi invece incominciano con il
primo novilunio e si concludono con il novilunio successivo in modo che durante
l’anno il numero dei mesi può essere di 12 o di 13.
Nella
tradizione ebraica ogni inizio mese viene festeggiato e vi sono molte
ricorrenze che vengono fatte coincidere con le fasi di luna piena o nuova. In
questo modo ogni mese è un nuovo inizio, è un rinnovamento del ciclo perpetuo
nascita-morte.
Sempre nella
tradizione ebraica ogni due o tre anni si aggiunge un tredicesimo mese per far
coincidere la decorrenza dei mesi con le stagioni. Il tredicesimo si ottiene
dalla scissione in due parti del mese di Adar che in tal modo genera i mesi di
Adar Alef e Adar Bet.
Il
tredicesimo mese è molto importante perché è il mezzo attraverso il quale viene
ristabilita la giusta relazione fra il ritmo solare e quello lunare e per
questa ragione esso manifesta la presenza divina.
L’anno bisestile,
shanà me’uberet, è chiamato l’anno “gravido” perché porta con sé
un mese in più.
L’importanza
del femminile viene sottolineata
dall’autrice in quanto “…la donna è il simbolo della presenza immanente
di Dio, della Shekinà che accompagnava le 12 tribù nel loro viaggio attraverso
il deserto” (pag.38)
Nella
tradizione ebraica il collegamento fra il 12 ed il 13 riferito al maschile e al
femminile viene applicato nei riti che riguardano il passaggio all’età adulta
che è fissata ai tredici anni per i maschi e a dodici anni per le femmine. Si
può notare che le esperienze sono invertite: il figlio dovrà fare esperienza
delle 13 lune, dell’amore e della unità espressa nella Torà, mentre la figlia
affronta l’incontro con il suo maschile con il numero 12.
Da quanto è
stato detto si può osservare che non esiste un unico calendario, infatti quello
ebraico è solare e lunare, il calendario occidentale è esclusivamente solare
mentre quello islamico è unicamente lunare.
Il
calendario ebraico abbraccia le due polarità integrandole con una scansione
aggiuntiva che fa da ponte. In tal modo si concilia la forza del sole che
brilla ed è visibile con quella della luna che a volte non è interamente
percepibile. Però per comprendere la luna bisogna sforzarsi di recepire la qualità
delle quattro fasi lunari, luna crescente, luna piena, luna calante e luna
assente, delle quali quest’ultima è la misteriosa luna nera o nuova.
L’autrice
conclude questa parte ribadendo che “l’amore fra uomo e donna, fra
maschile e femminile, è il mezzo per ricollegarsi all’Uno, all’unico Dio,
all’Uni-verso” (pag.39).
Ester, la stella e Hadassa il mirto.
Nella parte
precedente si è parlato di una coppia molto importante: Lilit ed Eva che
rappresentano due aspetti della femminilità che operano alternandosi l’un
l’altra in un processo di sdoppiamento. La donna con la sua capacità di
scindersi e adattarsi agisce su differenti livelli soprattutto nei momenti di
grande mutamento nei quali deve necessariamente impiegare tutte le capacità di
cui dispone.
Quando Lilit
compie un passo indietro emerge Eva che con il suo agire ha provocato l’uscita
dall’Eden cambiando per sempre il destino dell’umanità.
Analogamente
a Lilit ed Eva vi sono altre due figure femminili che hanno agito nello stesso
modo: Ester e Hadassa dove quest’ultima viene messa in disparte per dare ad
Ester la possibilità di agire e compiere un’azione estrema e necessaria che
salverà il popolo di Israele.
Lilit, Eva,
Ester e Hadassa ci mostrano quali sono le parti della personalità da riconoscere,
risanare e trasformare. Esse indicano il percorso del “Tiqqun” cioè qual’è il
momento in cui bisogna sapere e voler cogliere da un evento negativo e
drammatico la possibilità di “riparare”.
La storia di
Ester e Hadassa è ricca di simbolismo ed è molto istruttiva perché insegna
quali sono le parti della personalità che devono essere guarite, trasformate ed
integrate. Il processo di riparazione deve necessariamente passare attraverso
un evento traumatico che risvegli le parte inconscie per farle affiorare alla
coscienza.
Assuero,
imperatore persiano, dopo aver ripudiato la moglie Vashtì che si era rifiutata
di mostrarsi in pubblico prende in sposa Hadassa che si presentata a corte con
il falso nome di Ester.
Il nome
Hadassa in ebraico significa “mirto” mentre Ester in persiano significa
“stella”.
Hadassa
nascondendo il suo vero nome perde il profumo di mirto, conservandone però il
sapore amaro ma essendo ebrea riesce in tal modo a salvarsi celando la sua vera
identità ad Assuero e alla sua corte.
Accadde però
che il viceré Haman mal sopportando la presenza e l’operato degli ebrei ne
decreta il massacro. L’uccisione doveva essere eseguita nei confronti di tutti
gli ebrei che vivevano nel regno di Assuero senza alcuna distinzione pertanti
giovani e vecchi, donne e bambini erano destinati allo sterminio.
Mordekai è
cugino di Hadassa-Ester e in un incontro segreto al palazzo imperiale la
implora come ebrea di intervenire per salvare il suo popolo.
Hadassa-Ester
messa di fronte ad un terribile dramma che coinvolge non solo se stessa ma
l’intera comunità ebraica con un gesto di grande forza interiore e di estremo
coraggio fa indietreggiare Hadassa per lasciare spazio ad Ester e rivela ad
Assuero la sua vera identità perorando la causa della sua gente. La tragedia
viene evitata ed il decreto di condanna a morte per gli ebrei revocato.
Il gesto di
Ester ricorda quello compiuto da Mosè quando aveva scelto di rivelare la sua
identità “uccidendo” l’egiziano che era in lui.
La storia
del grande gesto compiuto da Ester viene ricordata ogni anno con la festa di Purim
durante la quale si legge la meghillà (rotolo) di Ester. Il
rotolo simboleggia la rotazione della terra e rappresenta il ciclo eterno della
vita e della morte. Con Purim viene ricordato che un evento
altamente drammatico è stato sventato con l’intervento di un’azione umana.
A Purim
l’uomo si maschera, mette la maschera al proprio io, così come la Presenza
divina si “maschera” nella Creazione per operare nel “velato”.
Per
concludere si può ancora dire con l’autrice che “Hadassa, il mirto, la
pianta profumata, è il simbolo della levanà, la luna bianca, ed è colei che
opera nello s-velato mentre l’altra sua faccia, Ester, nominata anche ayelet
hashachar, la stella del mattino, opera nell’oscurità. Da ricordare che quando
per noi la luna non è visibile è perchè il sole illumina l’altra sua faccia. La
luna e le stelle spariscono al sorgere del sole annunciando il giorno, e allo
stesso modo Ester proclama il miracolo, la vittoria del bene: e gli ebrei erano
raggianti di luce, di gioia e di gloria”. (Yomà 29)”. (pag.41).
ASPASIA SUPERIORE INCOGNITO INIZIATORE - SOVRANO ORDINE GNOSTICO MARTINISTA
www.martinismo.net
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