venerdì 23 settembre 2016

“LO SCOPO DELLA CREAZIONE E L’ALBERO DELLA VITA”

Il Creatore si manifesta attraverso la creazione nel duplice aspetto della Natura e della Torà, e, l’uomo e la donna, rappresentano la massima espressione della creazione stessa.
I principi che il Creatore ha stabilito per la Natura non possono essere modificati e soprattutto non sono influenzati dalla volontà umana. L’uomo vi si deve adattare nel rispetto dell’ordine che gli è stato dato di custodire e coltivare la Terra  che gli è stata data in dono, ma non gli appartiene.
L’autrice ribadisce che “La Torà, parola di Dio,è la Natura dello Spirito e le sue leggi sono il nutrimento dell’anima”. (pag.15 – “La Saggezza Velata” – edizione Giuntina 2004)
L’uomo deve prendersi cura di ciò che è materiale e di ciò che è spirituale in quanto da entrambe trae cibo per il corpo e per l’anima.
L’uomo non è obbligato ad assolvere a questi compiti in quanto può scegliere avendo ricevuto la facoltà  di esercitare il libero arbitrio. L’uomo può valutare se osservare le Leggi o allontanarsene, “costruire o distruggere, progredire o regredire”.
Il libero arbitrio è tuttavia limitato dal tempo (non si sa quanto lunga è la nostra vita) e dall’ignoranza degli effetti delle azioni, delle parole e dei pensieri che vengono posti in essere.
L’uomo al cospetto di Dio è limitato, finito, e imperfetto mentre Dio è espressione della potenza senza limiti, una potenza irraggiungibile per l’uomo che pur avendo in se stesso racchiusa la scintilla divina incontra difficoltà a riunirsi con il suo Creatore perché soverchiato dal proprio ego.
La creazione è un processo dinamico che si rinnova continuamente ed è intenzionalmente un atto imperfetto in continuo divenire.
In ogni istante il Creatore agisce lasciando all’uomo il compito di integrare la sua opera e per questo gli dona tutto l’amore necessario. Nel processo della creazione il Creatore e la creatura devono interagire ciascuno con le proprie qualità.
Come è avvenuta la creazione? Quali passi sono stati compiuti?
Anteriormente alla creazione del mondo manifesto, l’Or En Sof (la Luce Illimitata) inondava il tutto senza limiti di tempo né di spazio; Dio concentrò parzialmente la Sua Luce, attivando un processo chiamato tzimtzum (restrizione) e la fece confluire in un punto. Successivamente diede luogo all’espansione, il big bang, e creò le dimensioni di spazio e tempo, i punti cardinali e l’albero della vita.
Il Creatore, che fino a quel momento era con  il Suo Nome una sola cosa, ha fatto spazio, ha separato la sua Luce per accogliere e riversare il suo amore infinito in altre manifestazioni.
La separazione della Luce e la molteplicità delle Sue manifestazioni originò l’attribuzione di “Nomi” differenti.
Analogamente questo processo avviene quando l’uomo e la donna concepiscono con amore una nuova vita, una nuova creatura. Il sentimento di amore che unisce l’uomo e la donna porta ad una nuova creazione per la quale ciascuno rinuncia ad una parte del proprio spazio a vantaggio dell’altro e più profondo è il legame della coppia, più si indebolisce la voce dell’ego. Con il concepimento di un figlio, la coppia trasferisce gratuitamente e abbondantemente amore in un altro essere. La donna accoglie la creatura che cresce nel suo stesso corpo fino a quando trascorsi nove mesi si verificherà il big bang, lo strappo, che condurrà alla luce una nuova “dimensione”.
La creatura è dunque il frutto dell’espansione dell’amore e della restrizione dell’ego. In questo processo prodigioso avviene una permutazione in quanto l’anì (alef-nun-yod), l’Io individuale, si trasforma in ain (alef –yod-nun, le stesse lettere di anì ma permutate), che significa nulla. Si verifica cioè la magia “dell’espansione infinita” di se stessi che è una delle fasi della creazione.
L’uomo che non riconosce il valore delle leggi della Torà e della natura e non assolve al dovere di dare e ricevere, si nutre del lechem bizaion, il  “pane dell’oltraggio” poiché riceve senza dare mai e non partecipa al processo evolutivo.
L’uomo è considerato la “corona della creazione” in quanto nella scala della creazione è l’ultimo essere creato. Egli è l’unica creatura che ha facoltà di pensiero e di parola, ha la possibilità di spiritualizzare la materia ed ha inoltre il libero arbitrio grazie al quale può scegliere liberamente. Pervaso dal mondo fisico svelato e dotato dei soli cinque sensi l’uomo deve tuttavia compiere uno sforzo immane per varcare la soglia che lo separa dal mondo velato dello spirito.
Attraverso la Conoscenza, Da’at, e con il sacrificio della ricerca del “Nome” potrà aprire e superare la porta che separa lo svelato dal velato e realizzare il punto di unione ovvero l’amore cui l’anima anela per tutta la durata della vita. Il punto di unione è dunque il cuore, la via che riunisce gli opposti, il punto dell’unità.
“Il Signore Iddio fece germogliare dal terreno tutti gli alberi dall’aspetto piacevole e dal frutto buono da mangiarsi, l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi 2.9).
Una interpretazione letterale farebbe pensare alla presenza di due alberi,  in effetti la congiunzione “e” ne avvalora l’ipotesi, tuttavia rileggendo attentamente si comprende che l’albero indicato è uno solo.
Il fatto importante è che nella frase è chiaramente espressa la proibizione di mangiarne i frutti: 
“Il Signore Iddio diede all’uomo questo ordine: Mangia pure di qualsiasi albero del giardino; ma non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché nel giorno in cui tu ne mangiassi, moriresti” (Genesi 2,16).
Il verbo “moriresti” sta qui ad indicare che qualora l’uomo ne mangiasse perderebbe la sua origine unitaria cadrebbe nel mondo della separazione e della dualità. Mangiando i frutti l’uomo ha rinunciato all’Eden, all’unità perfetta con il suo Creatore, subendone tutte le conseguenze in quanto sa di dover soggiacere alla materia, alla caducità della vita e alla morte, ma sa anche che solo con un suo atto di volontà potrà ritrovare la perduta unità attraverso il sacrificio di un cammino spirituale.
Nella Genesi però è Eva che mangia il frutto proibito. Come mai Eva compie questo passo?
“La donna, vedendo che l’albero era buono da mangiare, piacevole a vedersi e desiderabile perché faceva acquistare intelligenza, prese del frutto e mangiò” (Genesi 3,6).
Perché Eva, sedotta dall’astuzia del serpente, nachash, guarda l’albero e percepisce che i suoi frutti sono buoni?
Adamo ed Eva fino a quel momento erano nella espansione infinita della totalità, erano inconsapevoli di se stessi. Erano fatti di Luce ed erano nudi, trasparenti e non si vergognavano. Dopo la trasgressione Dio cuce per loro delle tuniche di pelle che saranno la barriera tra il corpo fisico e quello spirituale.
Eva con il suo atto di volontà sceglie di uscire dalla totalità e di sperimentare l’unità. Questa sua scelta è però sia una condanna che una promessa e definisce i limiti angusti della condizione umana il cui destino si svolge nelle dimensioni del tempo e dello spazio.
Eva decide di passare dalla massima espansione, l’infinito divino ain, alla restrizione dell’io, il finito umano anì, aprendo le porte all’ego. Eva vuole conoscersi, vuole una conoscenza limitata in quanto pone al centro il proprio sé aderendo al dualismo che separa ed oppone.
Questa scelta ha fatto nascere la necessità di ricostruire l’interezza della nostra coscienza continuamente sopraffatta dall’azione dell’ego.
Eva ha dunque trasgredito in virtù del libero arbitrio che Dio ha concesso all’uomo affinché potesse scegliere liberamente se seguire la parola del serpente o la parola di dio. Eva decide di ascoltare la parola del serpente. Se non vi fosse stato il serpente non si sarebbe posto il problema della scelta.
E’ interessante ricordare che il divieto di mangiare i frutti dell’albero è stato impartito da Dio solo ad Adamo, e che però la Torà verrà consegnata prima alle donne, a Bet Ya’aqov, “casa di Giacobbe”, e dopo ai Bené Israel, ai “figli di Israele” in quanto il compito della riparazione era rivolto alle donne.
La donna deve essere la prima a riparare poiché è stata la prima a trasgredire. Come mai l’essere femminile decide di voler conoscere attraverso la trasgressione e la disubbidienza? Perché è proprio Eva a misurarsi con il serpente piuttosto che Adamo?
L’autrice giustifica questo comportamento con il fatto che “..in Eva (in aramaico, “serpente”) il serpente trova risonanza ed eco in quanto essa è l’unico interlocutore in grado di coglierne la provocazione: la donna ha in sé il bagaglio di sapienza occultata di cui il serpente è il portatore e simbolo.
Eva, Chavà, la “madre di tutti i viventi”, voleva Essere e non solo Vivere.
In ebraico, la parola chavaia (heth-waw-yod-he), che non ha corrispettivo in italiano ma che approssimativamente indica un’esperienza rivelatrice e portatrice di nuova vita, è composta da Chavà, Eva (heth-waw-he) e da Ya (yod-he), forma contratta del nome di Dio: nuova vita concessami da Dio, sono grazie a Dio”. (pag.19 op.cit.)
Il significato simbolico del serpente è molto profondo e presenta degli aspetti ambigui in quanto da un lato ad esso si ricollega un’idea negativa ma dall’altro lato rappresenta un mezzo di conoscenza occulta e profonda assimilabile a “Da’at”.
La funzione simbolica del serpente, nachash, è frequentemente richiamata   nei racconti biblici. Le sue tre lettere radicali n-ch-sh  consentono la formazione di molte parole come ad esempio “indovinare”, lenachesh, “determinazione”, nechishùt, “rame”, nechoshet  ed il suo utilizzo si riscontra nella narrazione di storie che hanno per oggetto profonde trasformazioni  interiori.
Nelle storie narrate nella Bibbia si può notare che l’effetto provocato dal serpente è simile a quello prodotto da un “enzima” in quanto si assiste a reazioni spirituali e fisiche. Si possono citare a titolo di esempio il bastone di Mosé che a volte assume le sembianze di un rettile sinuoso, oppure si presenta come uno scettro; il nachash hanechoshet, serpente di rame, utile per guarire i morsi velenosi; oppure il pettorale del Sommo Sacerdote, choshen (stesse lettere), che viene usato per comunicare con i mondi superiori.
Ora ci si pone un altro interrogativo: visto che il serpente è simbolicamente il depositario della conoscenza più profonda come mai l’incontro tra  esso ed Eva anziché portare alla conoscenza ha portato all’allontanamento dallo stato originario?
L’autrice trova la risposta nello spirito di prevaricazione esercitata dall’uomo e nella sua incapacità di attenersi al compito che Dio gli aveva assegnato con la conseguenza che l’uomo, fortemente spinto dal desiderio di conoscenza e dall’ego ha cercato di avvicinarsi alla natura di Elohim prima del tempo e anziché progredire è caduto nella involuzione.
“Il Signore Iddio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Genesi 2,15)
Adamo avrebbe dovuto limitarsi a coltivare e custodire la sapienza della Torà di Luce che invece per effetto della trasgressione venne “occultata in un rotolo di pelle e nelle mitzvòt, precetti”.
La Creazione era stata appena compiuta, il Bene ed il Male erano ancora allo stato puro e per l’essere umano era troppo presto sporgersi sull’abisso.
Il Male era una potenzialità non manifesta, Eva con il suo libero arbitrio ha messo in comunicazione il bene ed il male ma ignorava che così facendo avrebbe attivato l’opposizione violenta di due forze antitetiche, due polarità che avrebbero segnato il destino dell’umanità.
Tuttavia all’uomo è concessa la possibilità di ricomporre questa frattura, divenendo consapevole, riparando la lacerazione interiore e cosmica per mezzo del tiqqùn (tau-yod-qof-waw-nun), riparazione, osservando i precetti della Torà.
La Torà indica la via per riavvicinarsi al Creatore. Nell’ebraismo il sacro, il qadosch, è “separato” ed incomprensibile nella sua interezza. L’uomo può  riprodurre il processo di separazione e sacralizzazione se impara a rendere rituali i gesti della sua vita ed il tempo, vivendo ad esempio lo Shabbàt, il settimo giorno consacrato al Signore, in modo completamente diverso da come vive gli altri giorni del suo tempo.
Attraverso il rituale della santificazione, qiddushin, può separare e distinguere il vivere profano dal vivere sacro. Nella vita di coppia l’uomo e la donna, consacrati con il matrimonio, possono intraprendere il cammino di riavvicinamento verso Dio poiché svolgono due ruoli differenti ma complementari: il maschile esprime la saggezza razionale, ma non riesce a penetrare nei recessi dell’animo; il femminile, invece, sa scendere nella parte inconscia, per poi eventualmente virare con una spinta verso la risalita.
“Poi il Signore Iddio disse: “Ecco, l’uomo è diventato uno di noi, in quanto conosce il bene e il male; è da evitare che ora stenda la mano, prenda anche dell’albero della vita, ne mangi, e viva in perpetuo”: Il Signore lo mandò via dal giardino dell’Eden, affinché coltivasse la terra da cui era stato tratto. Scacciato l’uomo, collocò a oriente del giardino di Eden i Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante, per custodire la via che portava all’albero della vita”. (Genesi 3,22-24)
Uscito dall’Unità del Giardino di Eden l’uomo sperimenta la dimensione del bene e del male e dovrà, attraverso la conoscenza, individuare una “terza via”, che metta in contatto queste due polarità complementari sebbene opposte.
La Torà viene in soccorso suggerendo di rispettare le mitzvòt (i precetti), chiedendo all’uomo sia l’azione che l’ascolto, na’asé venishmà.
Se la dimensione del “fare” fondata sul razionalismo, sull’egoismo e e sul dualismo si trasforma nella dimensione dell’”ascoltare”, il processo di riparazione si realizza e l’uomo ritorna alla sua pura essenza.
L’attaccamento ai beni materiali ed al potere non saranno più i principi fondanti dell’esistenza, l’uomo sarà finalmente libero e ricongiunto con tutta la sua struttura ossea con il suo Creatore: “E la mia anima esulterà nel Signore, si rallegrerà nella sua salvezza: tutte le mie ossa diranno: Signore, chi è come te …” (Salmi 35,9-10).
I brani della Genesi presi in considerazione riguardano in modo particolare l’albero della vita. L’autrice si sofferma su questo aspetto e ne parla diffusamente fornendo una visione complessiva di grande interesse, collegata ai giorni della creazione e alle figure bibliche.
La posizione assegnata all’albero della vita nel Giardino dell’Eden non è casuale, esso è posto in mezzo al giardino, e metaforicamente si trova nella profondità del cuore degli uomini e in mezzo alla Torà, occultato nell’essenza della parola ed è lì che deve essere cercato.
L’Albero della Vita per l’autrice  “.. è il cuore della Torà, che inizia con la lettera bet di “Bereshit” (In principio) e finisce con la lettera lamed di “Israel”. Le due lettere accostate, ma in ordine invertito, formano la parola lev, cuore”. (pag.22 op.cit.)
L’uomo deve però invertire il cammino poiché dal finito, da lamed (ultima lettera della Torà) deve tendere all’infinito, al beth (principio), attraverso il cuore, lev (lamed – beth). La giusta ghematria di lev è 32 (lamed corrisponde al numero 30 e beth al numero 2), le vie dell’Albero della Vita sono 32 in quanto comprende le dieci sefiròt, e le 22 otiòt (le lettere dell’alfabeto ebraico). L’uomo è dotato di 32 denti per poter nutrire il suo corpo fisico e gli sono state indicate 32 vie spirituali per cibare la sua anima.
Lo studio dell’Albero della Vita  da parte di numerosi Saggi ha consentito la costruzione di un sistema conoscitivo ed una chiave di lettura accessibile a molti. La prima opera mistico-speculativa scritta in ebraico tra il III ed il VI secolo per spiegare come è avvenuta la creazione del cosmo è il “Sefer Yetzirà” o “Libro della Formazione”. Sull’origine del testo vi sono tuttavia diverse interpretazioni, vi è infatti una tradizione che ne attribuisce la paternità al patriarca Abramo.
Il “Sefer Yetzirà” descrive come è avvenuta la creazione del cosmo i cui elementi originari sono i dieci numeri primordiali, le dieci emanazioni divine chiamate sefiroth, e le 22 lettere dell’alfabeto ebraico. Nel libro vi sono anche indicazioni di carattere astronomico, astrologico e con riferimento all’uomo, anatomico e fisiologico. Il mondo è stato costruito utilizzando tre registri: la scrittura, il computo e il discorso.
Secondo la tradizione cabbalistica, l’albero della vita è uno schema costituito da dieci entità, chiamate sefiròt, individualizzate da un nome che ne esprime le differenti proprietà e funzioni.
Le dieci sefiròt sono tra loro collegate e danno vita a processi dinamici in grado di creare nuovi circuiti cerebrali che stimolano l’intelligenza, e scompongono quel circolo chiuso chiamato “destino”.
Le sefiròt sono ripartite in tre gruppi di tre sefiròt ciascuno: maschile, femminile, mentre dall’unione delle due nasce la terza sefirà e così per tre volte. Le sefiròt esprimono principi e concetti pratici, emotivi, spirituali e metafisici e sono disposte in gruppi che corrispondono a differenti mondi.
“La funzione di ogni mondo è quella di accogliere l’abbondanza dell’Or En Sof, la Luce Illimitata, e di “restringerla” fungendo da paralume, in modo che il recipiente che la contiene (ciascuna sefirà) sia adeguato alla quantità di luce ricevuta, dalla massima alla minima, acciochè non abbia a “rompersi””. (pag.23 op.cit.)
Nel quadro complessivo della creazione l’autrice esamina i seguenti cinque mondi partendo da quello inaccessibile alla comprensione umana fino al più basso e materiale:
1)    Il mondo di Adam Qadmon
2)    Il mondo di Atziluth
3)    Il mondo di Brià
4)    Il mondo di Yetzirà
5)    Il mondo di ‘Assià
Il mondo di Adam Qadmon, Uomo Primordiale, è il primo che riceve la luce allo stato puro e illimitato, ed è fuori della portata dell’uomo.
Il mondo di Atzilùt, Emanazione della luce infinita, Or En Sof, è la volontà divina che inizia a svelarsi. In questo mondo ha origine l’albero della vita che gradualmente si amplia verso i mondi inferiori.
Il mondo di Brià, Creazione, ha meno luce di Atzilùt, è formato da tre sefiròt: Keter (Corona), Chokhmà (Sapienza), Binà (Intelligenza). In Brià  si genera la radice dell’anima umana. Da Keter  scaturisce il trascendente, Chokhmà e Binà sono il padre e la madre ovvero l’emisfero destro e sinistro del cervello; a Binà vengono riferite le figure femminili di Sara e Lea. L’azione congiunta di Chokmah e Binà conduce alla Conoscenza, a Da’at.
Keter (Alef), Chokhmà (Mem) e Binà (Scin), sono le prime tre sefiròt compenetrate dal raggio di luce che si irradia nelle sette sefiròt successive, quelle prossime all’essenza umana, così come lo sono le sette note del pentagramma musicale, i sette colori dell’arcobaleno, i sette bracci della menorà, i sette giorni della settimana.
Yetzirà, è il mondo della Formazione ed abbraccia Chesed (Amore), Ghevurà (Forza), Tiferet (Bellezza).
Secondo la tradizione orale della Bibbia Abramo è identificato con Chesed, Isacco con Ghevurà e Giacobbe con Tiferet.
Abramo-Chesed è il simbolo della sorgente di vita ovvero della luce creata nel primo giorno. Rappresenta anche il dono di sé stessi e la bontà incondizionata che però deve essere equilibrata dalla Ghevurà/Isacco, ovvero dal senso del giudizio, din, e della ragione, dalla necessità di separare le Acque del secondo giorno della creazione.
L’Amore e la Forza congiunte sfociano in Tiferet/Giacobbe, ovvero nella condizione di armonia, nella quale l’equilibrio ricompone gli opposti, generando il benessere psicofisico che sviluppa la creatività, la comprensione ed aiuta ad incorporare differenti modi di sentire. E’ il terzo giorno della creazione, il tempo in cui la vitalità della natura si esprime. Nel mondo di Yetzirà abitano le creature angeliche.
Le quattro sefiròt inferiori Netzach (Eternità, Vittoria), Hod (Splendore), Yesod (Fondamento) e Malkhùt (Regno) nel loro insieme costituiscono il mondo di ‘Assià, dell’azione e della materia.  E’ il luogo della manifestazione dell’esistenza materiale nelle sue differenti forme di vita: il minerale, il vegetale, l’animale ed il “parlante”, cioè l’uomo.
Netzach , la Vittoria e l’Eternità, si incarna in Mosè che non dubita sull’amore di Dio e sulla possibilità per l’uomo di realizzare la propria auto-consapevolezza. Mosè è l’espressione di colui che impara a superare le difficoltà imprimendo amore in ogni gesto della sua vita, riscoprendo la sacralità del tempo. E’il quarto giorno, quello in cui furono creati i corpi celesti.
Hod, lo Splendore, Aronne che rappresenta il continuo scorrere della vita,  il rispetto dei precetti, mitzvòt, lo spirito di aggregazione. Hod è la “bellezza della creazione” e la hodaià,  lode a Dio. E’ il quinto giorno, quello della creazione di forme primitive di vita animale.
La penultima sefirà è Yesod , il Fondamento, simboleggiato dalla figura di Giuseppe. In Yesod affluiscono tutte le emanazioni delle precedenti sefiròt ed  “…è la fonte di nutrimento del pianeta terra, la dimensione del tempo;  il luogo del sod, del segreto, è il senso della nostra verità, emet. L’inconscio che ci parla attraverso i sogni, come a Giuseppe, lo tzaddìq: “Il giusto è il fondamento del mondo” (Proverbi 10,25): sesto giorno: creazione degli animali e dell’uomo” (pag.24 op.citata).
L’ultima sefirà è Malkhut, simbolo dello Shabbàt, il Sabato, giorno del riposo da dedicare al ricordo di ciò che era prima della creazione. Malkhut è l’espressione materiale e fisica del pensiero divino.
Questa sefirà non ha luce propria ma è estremamente ricettiva. Essa è inondata dall’effusione energetica, un flusso continuo proveniente dalle sefiròt superiori che viene convertito in un movimento di risalita, attraverso il capovolgimento della polarità così che Malkhùt diventa Keter del mondo successivo e ridistribuisce l’energia ricevuta.
In Malkut è evidente il carattere dell’estrema scorrevolezza del movimento e per tale ragione le sono stati attribuiti diversi nomi come ad esempio:  mare, pozzo, sorgente, fiume, recipiente/kelì, sposa/Kallà, Shekhinà nel suo significato di emanazione femminile del divino.
La sfera di Malkhùt è il luogo del Pianeta Terra ad essere chiamato ‘olam ha-tiqqun, ovvero il mondo della riparazione, abitato dall’io maschile e da quello femminile, rappresentati dalle figure bibliche del  re Davide e di Rachele.
Osservando lo schema dell’Albero della Vita e la disposizione delle dieci sefiròt e dei 22 sentieri si può notare che il movimento delle sefiròt genera una spirale. La figura presenta tre pilastri verticali, paralleli e simmetrici dei quali si può dire che “il destro è l’asse dell’espansione e dell’apertura illimitata, del dare, del positivo maschile, della linea, dello spermatozoo e della tesi. Il sinistro è l’asse della contrazione, del ricevere, del negativo femminile, del cerchio, dell’ovulo e dell’antitesi.
Il pilastro centrale è il punto di sintesi, è la spirale che nasce dalla dinamizzazione di linea e cerchio -  la fecondazione”. (pag.25 op.citata)
E’ importante non scambiare la sintesi con il ripiego o con il compromesso poiché l’incontro di differenti qualità non significa diminuire o sminuire un metodo a svantaggio dell’altro. La sintesi deve poter utilizzare entrambi i poli come motori creativi.
L’essere umano incontra difficoltà nello svolgimento di questo processo in quanto essendo preminentemente razionale tende ad assoggettare tutto al suo personale controllo. Il controllo potrebbe però trasformarsi in atteggiamento fobico qualora ad esempio si pretendesse di imporsi su fenomeni naturali, quali ad esempio il battito cardiaco, il respiro, l’alternarsi delle stagioni, o il moto ondoso.
Le Otiot che conducono da una sefirà all’altra insieme ventidue lettere dell’alfabeto, sono dei canali attraverso i quali il flusso energetico scorre e si trasmette. In ebraico “lettera” si dice ot che letteralmente significa “segnale”. Ogni lettera ebraica ha una forma, un valore numerico ed un suono. La lettera ebraica è un vero e proprio codice un veicolo, un senso compiuto e autonomo, un segno sacro, un cosmo perfetto.
Le lettere dell’alfabeto ebraico sono 22, tante quante sono le coppie dei cromosomi ed il numero degli aminoacidi. Questa è la ragione per la quale la Torà non è mai stata modificata. Nel momento in cui una lettera dovesse essere  modificata o eliminata diventerebbe pasùl, ovvero non più adatta a svolgere la funzione per la quale è stata creata.
Al microcosmo, ovvero all’uomo, è assegnato il compito di collegare ed unire i differenti livelli dei mondi del macrocosmo, e gli é possibile farlo in quanto la sua struttura fisica e spirituale è analoga a quella del creato. Infatti  i cinque livelli del mondo, dal più basso al più alto, ‘Assià, Yetzirà, Brià, Atzilùt e Adam Qadmon, sono analoghi e simmetrici ai cinque livelli dell’anima umana: Nefesh, Ruach, Neshamà, Chayà e Yechidà, corrispondenti sia al corpo fisico, emozionale, mentale e spirituale, che ai cinque elementi: terra, aria, fuoco, acqua, etere.
Vi è infine un ulteriore parallelismo che deve essere evidenziato ed è quello per il quale ogni mondo è a sua volta corrispondente ad ogni lettera del Tetragramma. A tale proposito l’autrice nella nota esposta alla pag.26 del testo citato spiega che “Le lettere che compongono il nome divino sono 4, diventano 5 perché la prima lettera, la yod, si divide in due: il trattino della yod e la yod vera e propria. Il trattino corrisponde ad Adam Qadmon (Yechidà), la yod corrisponde ad Atzilùt/Chayà), la he corrisponde a Brià (Neshamà), la vav corrisponde a Yetzirà (Ruach), l’ultima he corrisponde ad ‘Assiah (Nefesh)”.

In conclusione l’uomo racchiude in sé tutti gli elementi della creazione: le dieci sefiròt e i ventidue canali distinti ognuno da una delle lettere dell’alfabeto ebraico, ed i cinque livelli dell’anima sopra richiamati. L’uomo ha dunque una grande responsabilità poiché ogni sua azione, giusta o sbagliata, produce effetti sia nei mondi inferiori che in quelli nei mondi superiori.

                               ASPASIA SUPERIORE INCOGNITO INIZIATORE - SOVRANO ORDINE GNOSTICO MARTINISTA
                                                                                
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