Amato Fratello purtroppo viviamo in un contesto
culturale e sociale dove il potere della parola, la sua capacità di
declinazione in guisa del contesto in cui viene scandita, si è oramai quasi del
tutto perduto. Sia in ambito religioso, che in ambito iniziatico, quella che un
tempo era la Parola Sacra sembra essere stata sostituita da inutile e
soffocante verbosità. Dove al vibrare della parola divina capace di portare
mutamento in virtù della sua rivelazione, si è sostituita una cacofonia di
pensieri, di espressioni che non sottintendono al sacro, bensì all’ego di chi
le pronuncia o a questioni che trovano radice nella morale, e nello spirito dei
tempi.
Eppure non
sempre è stato così, la stessa cultura popolare rimanda, nei suoi proverbi ed
espressioni, ad un tempo, non tanto remoto, dove le persone impegnavano se
stesse in virtù di una parola, nei testi religiosi troviamo come il nome di Dio
poteva scatenare tempeste, distruzioni o essere balsamo per gli uomini. Ancora
nei testi iniziatici di ogni tradizione troviamo il potere di certe parole, in
grado di agire sul piano manifestativo e sull’uomo stesso. Parole necessarie
per accedere ai sacri templi, per scandire i tempi e gli effetti dei rituali e
per porre il Magister in comunione, e attraverso di lui tutti i fratelli, con
la manifestazione divina.
Tutte le tradizioni rimandano alla parola, al verbo,
al suono, come il momento in cui ha avuto germoglio e luce la creazione delle
cose tutte. Del resto riflettiamo come in assenza di parola, di suono, i nostri
pensieri rimangono celati al mondo. Certo alle volte sarebbe bene sposare con
maggior convincimento la regola del silenzio, onde preservare la parola stessa
dal degrado e dall’eccesso.
Riflettiamo su come sussista un altro elemento
fondamentale che associato alla parola le dona valore di imperio, di semplice
enunciazione, o di altro che andremo a vedere. Questo elemento è la volontà che
implica sempre un grado di consapevolezza, in quanto chi non è consapevole di
ciò che è e di ciò che desidera non ha volontà, e la volontà stessa è misura
della consapevolezza di noi stessi, e delle cose tutte.
In virtù di quanto sopra detto la preghiera, che come ho sottolineato è
elemento neutro, può assumere, in relazione
all‘inflessione dell‘operatore, carattere devozionale, invocativo o evocativo.
Attorno
all’aspetto devozionale è possibile affermare che è in genere l’aspetto che i
più colgono nell’atto dell’atto di pregare. Dove l’uomo cerca attraverso la
preghiera soluzione ad uno stato d’animo o di bisogno in cui versa. Richiedendo,
in modo interessato, l’aiuto e il conforto divino, riconoscendo alla preghiera
stessa funzione di corretto strumento di collegamento fra se stesso e il sacro.
Evidentemente il fedele riconosce l’esistenza di una Potenza esterna con cui è
capace di comunicare e che al contempo è in grado di dare soluzione alla sua
afflizione. Questo è l’atto devozionale compiutamente inteso. Personalmente
provo enorme tristezza per certi grassi affabulatori di cose esoteriche ed
iniziatiche, che non hanno di meglio da fare, invece di misurare i propri
insuccessi, che denigrare coloro che ardentemente ed umilmente pregano.
Incapaci di comprendere che forse la signora anziana che tutte le mattine con
devozione recita il rosario, è assai più vicina alla tradizione che loro con le
astrazioni fetide nelle quali sono immersi.
Terminata la breve disanima sotto l’aspetto
devozionale, affrontiamo adesso i due aspetti della preghiera che maggiormente
rientrano nella nostra sfera di interesse. Benchè identica sia la radice,
invocazione ed evocazione
sono atti e fatti, aventi natura che attiene a sfere diverse sia
dell‘agire che delle capacità dell‘adepto. Ovviamente la preghiera, minimo
comun denominatore ad entrambi, qui
intesa e posta in opera, non riveste
quel significato devozionale che abbiamo in precedenza visto, ma bensì di attivo e consapevole dialogo e comunione con il divino che vive in noi. Un dialogo teso
alla manifestazione nella Potenza-Intelligenza
interpellata tramite un’irruzione diretta su questo piano o l’influsso ed
attribuzione di una sua qualità.
La parola
invocazione deriva dal latino, e il suo significato è un rafforzamento della
parola vocare che esprime il concetto di chiamare a sé. Ecco quindi che
invocare ha come significato quello di chiamare con forza e volontà a noi un
qualcosa. Nella ritualità cristiana,
rappresenta un genere di preghiera
che si recita durante il canone della messa. In tale occasione si richiede l‘assistenza della
divinità, nelle forme di potenza,
saggezza e benevolenza, affinchè
essa sia favorevole al nostro operato. L‘uomo si rimette quindi ad una qualità o funzione del divino, o ad
una intercessione di una potenza minore, che sia da tramite con una maggiore, oppure che permetta
il passo in regioni altrimenti
precluse. Troviamo l’invocazione in numerosi rituali di loggia o individuali,
dove si richiede la benedizione divina sui fratelli e le sorelle, a conclusione
del rituale. In genere lo stesso rituale è congegnato in modo da rappresentare
un percorso di riconoscimento e purificazione, in modo da poter essere degni di
raccogliere l’influsso superiore.
Riporto, a titolo di esempio, due
invocazioni presenti nella rituali degli Eletti Cohen:
1. O Saggezza, che è
uscita dalla bocca dell'Altissimo; che giunge con forza da un'estremità
all'altra, e che dispone di tutte le cose con meravigliosa dolcezza, vieni ad
insegnarci la strada della Verità. 2. O Capo della casa d'Israele, che sei
apparso a Mosé sotto le apparenze di un roveto ardente; e che gli hai dato la
fede sul monte Sinai, vieni a dispiegare la potenza del tuo braccio, per
liberarci. 3. O virgulto di Jesse, o Tu che sei esposto come oggetto di
ammirazione all'attenzione di tutti i popoli! Tu, che sarai visto con stupore e
silenzio dai Re; e che riceverai le preghiere ed i voti delle Nazioni; vieni a
liberarci, e non tardare oltre! 4. O chiave di Davide, o scettro della casa
d'Israele! O Tu, che apri e che chiudi tale sorta di porta, che quando tu la
apri, nessuno la può chiudere; e quando la chiudi, nessuno la può aprire; vieni
a liberare dei prigionieri e porre in libertà i prigionieri che si trovano
nelle tenebre. 5. O Oriente! O splendore della luce eterna! O Sole di
giustizia! Vieni ad illuminare coloro che si trovano nelle tenebre e nell'ombra
della morte! 6. O Re di gloria! O Desiderato dalle nazioni! O pietra angolare
che unisce insieme le due nature; vieni a salvare l'uomo che è stato formato
dal limo della terra. 7. O nostro Re e nostro legislatore! O attesa e Salvatore
delle Nazioni! Vieni o Dio nostro Signore, vieni a salvarci. 8. O Croce di
Gesù-Cristo mia unica speranza! Fa che in questo cuore elementare una fede
ferma, una speranza incrollabile ed una carità ardente mi preparino al
godimento delle Tue ineffabili dolcezze. Amen. Amen. Amen. Amen.
Invocazione del Santo Nome di Gesù-Cristo O Gesù, sii l'oggetto di tutta la
mia tenerezza! Gesù, sii il mio sapere, la mia forza e la mia saggezza! Gesù,
sii il mio soccorso, la mia difesa ed il mio re! Gesù, sii la mia grandezza, il
mio esempio e la mia legge! Gesù, sii la mia speranza! Gesù, sii la mia
condivisione! Gesù, sii il mio tesoro, la mia pace, la mia eredità! Gesù, sii
la mia dolcezza, il mio sapore ed i miei desideri! Gesù, sii il mio riposo, la
mia fortuna, i miei piaceri! Gesù, sii nel mio cuore! Gesù, sii la mia bocca!
Gesù, sii il mio sentiero! Gesù, guida i miei passi! Gesù, sii me, Gesù, il
giorno del mio trapasso! Amen. Amen. Amen. Amen.
La parola evocazione
deriva anch‘essa dal latino
e significa chiamare fuori. Essa fa direttamente riferimento a quei rituali dove venivano “direttamente“ invocate le divinità, creando quindi un passaggio fra il
nostro piano manifestativo e piani più sottili ed incorporei. Attraverso l’evocazione
si richiede non tanto un influsso superiore, quanto piuttosto la presenta
dell’entità con cui si intende operare. All’interno della liturgia cattolica
possiamo vedere nel messale eucaristico tale atto, dove in virtù del potere del
rituale il vino e il pane divengono il sangue e il corpo del Cristo. I quali
successivamente verranno assimilati dal sacerdote e dai fedeli.
Riportiamo a titolo di esempio due preghiere evocative presenti all’interno
dei rituali del Sovrano Ordine Gnostico Martinista.
Ego sacerdos sum in aeternum
secundum ordinem Melchisedech.
Veni Eon Christe hoc in mundo, Dux noster es
Come è possibile notare
l’operatore/sacerdote, in forza di un suo reale potere, chiede la
manifestazione su questo piano della Potenza invocata. Oppure è Egli stesso il
luogo dove essa si manifesta. Nel primo caso egli svolge funzione di
canalizzatore e nel secondo caso di catalizzatore.
A rafforzare quanto sopra
indicata, desidero riportare questa pregnante frase estratta dai testi dei
nostri maestri gnostici alessandrini:
“«Per la salvezza dell’Uomo Originario mandami, Padre. In possesso dei sigilli io scenderò, attraverso gli Eoni mi aprirò la via, aprirò tutti i misteri, renderò manifeste le forme dei falsi
dèi, i segreti della Via sacra,
conosciuti come Gnosi, io trasmetterò.»
Siamo innanzi ad una invocazione?
Ad una preghiera? Ad una evocazione? Oppure questo breve e pregnante scritto
raccoglie ognuno di questi elementi dando forza e vitalità all’intento magico
in esso raccolto? L’orante (l’Eone Cristo) prega il Padre (Il Dio Occulto degli
Gnostici) di essere inviato sulla Terra (nel mondo di luce ed ombra governanto
dagli arconti), al fine di salvare l’Uomo Originario (lo gnostico) dall’azione
degli spiriti di prevaricazione. Tale proposito salvifico trova attuazione nel
possesso dei sigilli, dei nomi dei falsi dei e della conoscenza (che nello
gnosticismo è forma e veicolo di salvezza). Siamo quindi in presenza, in poche
righe, di una perfetta composizione di ogni espressione legata alla preghiera.
E’ sempre utile ricordare come
qualsiasi rituale tradizionale è composto dalla progressione di queste tre
inflessioni della preghiera. In quanto l’operatore inizialmente darà vita ad
una preghiera tesa alla soppressione del pensiero passivo e reattivo, in modo
che possa affiorare il pensiero del Sé che dimora nelle nostre profondità.
Successivamente, adegutamente purificato, egli invocherà attributi divini
di perfezione o l’amorevole influsso divino nei confronti dei fratelli. Infine,
debitamente purificato e resosi canale del divino, egli ne acquisirà
personalmente qualità o cercherà l’irruzione del medesimo all’interno del
perimetro manifestativo. Nel Martinismo, ad esempio, l’irruzione divina nel
quaternario inferiore è rappresentata dall’Ignea Shin. Essa è lo Spirito che
tutto purifica e vivifica. Rossa gemma incastonata nella nigredo dei quattro
elementi inferiori.
Caro Fratello il nostro
sussistere in questa effimera manifestazione e la sottomissione alla sua legge,
non comprende interamente la nostra natura. La quale oscilla su più piani, e
come una rete sinaptica si estende in un intreccio di relazioni sottili e
multidimensionali. Partendo quindi dal presupposto che tutto è dentro di
noi e che quanto è posto al nostro interno si estende ben oltre i limiti della
nostra carnalità e della nostra mente, possiamo richiamare, per assonanza e
volontà, quelle forze e potenze in grado di estendere il loro influsso sul
nostro lavoro interiore. Ovviamente tutto ciò deve accadere in accordo con la
tradizione di riferimento, cercando di evitare dannosi sincretismi in grado di
rendere sterile il nostro lavoro. Invocazione ed Evocazione assumono quindi un
nuovo significato che è quello di far emergere alla nostra presenza, alla
nostra vigile attenzione, in forme immaginifiche, poteri ed attributi ad esse
associate, enti che sussistono negli strati più profondi del nostro essere.
Enti che compongono la nostra variegata e composita struttura psichica ed
animica, e che senza adeguati strumenti, fra cui la preghiera, non ne riusciamo
a percepire presenza, intelligenza e vitalità. In un iniziato, in una persona
integrata e presente a se stessa, chi comanda e chi ubbidisce si ritrovano in
un medesimo soggetto. Ecco quindi che gli elementi divini o demoniaci non sono
altro che aspetti scissori, o particolari, o settari di noi stessi, e tramite
la nostra attiva azione cerchiamo di ottenere benefico influsso dai primi,
reintegrazione dei secondi, ed infine composizione in un Uno Assoluto di ognuno
di essi. Ecco quindi come nel nostro lavoro giornaliero qualora dobbiamo agire
per contrastare un particolare aspetto della nostra natura, che riteniamo
disfunzionale è necessario invocare quella manifestazione divina che grazie al
proprio influsso è in grado di contenere ed annullare la manifestazione di tale
elemento. Oppure ricorreremo all‘evocazione qualora dobbiamo agire non tanto sulla manifestazione
dell’elemento, quanto piuttosto sulla propria radice. In alcune scuole
iniziatiche sono insegnate particolari tecniche di mantralizzazione da
associare durante il lavoro interiore, per dissolvere determinate strutture scissorie
o disfunzionali interiori. Tutto ciò ha però sempre fondamento nella preghiera,
nelle sue varie inflessioni (devozionale, evocativa, invocativa) e nella
consapevolezza di chi la pone in essere. E’ con la preghiera che entriamo in
contatto con le varie articolazioni del nostro essere.
Elenandro XI S:::I:::I:::