giovedì 24 novembre 2016

Le Dieci Preghiere di Louis Claude de Saint-Martin (nuova traduzione)



Introduzione
Altopascio, 20 Novembre 2016
Carissimo e paziente lettore giunto a te nel presentarti questa nuova traduzione delle “Dieci Preghiere” di Louis Claude de Saint-Martin. Tralascio in questo momento una qualsiasi nota biografica attorno all’importanza dell’autore, rimandando all’appendice di questo piccolo libro, per soffermarmi attorno ad alcune semplici ed umili riflessioni in merito a questo testo.
Sovente l’importanza della preghiera all’interno di un percorso realizzativo dell’Essere, che nel martinismo assume la forma di reintegrazione dell’uomo nell’uomo e dell’uomo nel divino, viene sminuita, quando addirittura rimossa con frettolosa superficialità. Tale atteggiamento in molti è frutto di un riflesso condizionato, di un antagonismo, nei confronti del fenomeno religioso. Quando non si tratta, e spesso lo è, di un autentico sentimento di superiorità nei confronti di un atto ritenuto di sottomissione e popolare.
Andrebbe però considerato come la preghiera, così come qualsiasi strumento spirituale, non è vivo in quanto tale, ma bensì in guisa della prospettiva e della forza ad essa impressa. Colui che lo riterrà meccanismo d’opera, capace di porlo in contatto con stati dell’essere profondi e canale di influenze sottili, certamente si pone fuori da un contesto meramente devozionale. Egli tenderà a vedere la preghiera come uno strumento avente finalità invocative ed evocative. Del resto amo sovente ricordare come lo stesso rituale Teurgico è composto di numerosi e significativi atti configurabili, se osservati singolarmente, come preghiere. Sono la capacità, il genio e la volontà operativa del Teurgo che, fondendo i vari elementi ritualistici in un unicum, determinano un viatico fra l’uomo immerso nel quaternario e l’uomo coagente della divina volontà (che è in Lui). Amico mio, via teurgica e via cardiaca non sono altro che i due risvolti della medesima medaglia: la ricerca da parte dell’uomo di una manifestazione, di uno stato, del divino.
Portando adesso l’attenzione a questo lavoro di Louis Claude de Saint-Maritn, vorrei evidenziare alcuni elementi che sono fondamentali per comprenderne, e spero implementare in un atto di opera, la fatica filosofica. Il mito fondativo di riferimento del Filosofo Incognito consiste in una caduta da uno stato edenico dell’uomo, a causa di un atto di ribellione, di superbia nei confronti del suo Creatore. A differenza di altre creature in precedente condannate a medesima sorte, è però riservata all’uomo, tramite il pentimento per quanto commesso e il riconoscimento della volontà divina, la possibilità di riconquistare il ruolo di creatura prediletta.
E’ la reintegrazione che permette all’uomo di riabilitarsi e riconquistare quanto un tempo era sua prerogativa e potenza. Tale processo trova, per il Filosofo Incognito, inizio con una presa di conoscenza attorno alla propria misera condizione di essere transeunte e sottoposto alla mercè di forze a lui superiori. Forze che lo hanno infettato, e reso a sua volta elemento di contaminazione. Tale rivelazione interiore spinge l’Uomo di Desiderio a chiedere, strappando il Dio Inneffabile dalla sua incuranza per le sorti della creature, l’invio di uno spirito, di un agente sostanziale, di verità e di luce.
Il Dio che Louis Claude de Saint-Martin ci offre è ineffabile, estraneo a questa “terra di prova” (così come indicato proprio in queste preghiere dal Filosofo). Terra in cui l’uomo inconsapevole, cieco innanzi all’errore, è ghermito, schernito e abusato dai “Prevaricatori”. I quali sono le creature spirituali cadute prima dell’uomo stesso, e a cui è stata negata la possibilità di essere riammesse alla condizione originaria, per esse inesorabilmente perduta. Ecco quindi che l’uomo stesso non è altro che un campo di battaglia fra l’azione di questi spiriti di separazione, la forza della potenze naturali e la medesima volontà spirituale umana di riconciliarsi con il proprio Creatore. “Sorgente eterna di tutto ciò che è, Tu che invii ai prevaricatori degli spiriti di errore e di tenebre che li separano dal Tuo amore, invia a colui che Ti cerca uno spirito di verità, che lo riconcili a Te per sempre” E’ significativo, come sopra proposto, che la prima preghiera si apra proprio con tale “supplica”, la quale altro non è che la CHOSE, la manifestazione divina tanto ricercata nella pratica degli Eletti Cohen di cui lo stesso Louis Claude de Saint-Martin era stato esponente di indubbio rango e spessore.
E’ quindi inevitabile che il “semplice messaggio” di cui è portatore il Filosofo Incognito, non possa che essere raccolto in tali elementi e simboli formali. Non sarebbe stato possibile, non sarebbe stato concepibile altrimenti. Un messaggio spirituale è elemento sottile per eccellenza, impalpabile e in se stesso incomunicabile; necessita di elemento grossolano comunicativo per essere seminato, prima nella mente e poi nel cuore, di colui che è meritevole di riceverlo. Come tutti i semi, esso necessita poi dell’opera del buono e solerte contadino, capace di cogliere le necessità della terra e l’azione degli elementi, affinchè il seme possa fruttare ed essere nutrimento supersostanziale.
Procedendo lungo la sofferta via della presa di coscienza interiore, comprendendo l’errore ancestrale commesso, l’uomo, con il sostegno del Padre, da succube diviene campione del divino, opponendosi all’azione degli agenti di prevaricazione. Tale titanica lotta trova espressione nell’arrendersi alla volontà divina, la quale colma l’uomo nel momento in cui, e solamente in tale istante, l’uomo rinuncia alla propria volontà contingente ed impermanente. Come mi permettevo di far notare ad una cara persona, dobbiamo comprendere, quando siamo innanzi ad un testo a carattere spirituale, che il messaggio in esso raccolto è custodito all’interno di una forma comunicativa. La quale risente, ovviamente e non potrebbe essere altrimenti, del linguaggio tipico del tempo, della formazione culturale dell’estensore e di coloro che ne dovrebbero beneficiare. Il Filosofo Incognito vive ed opera in una Francia stravolta dalla rivoluzione e dal regno del terrore che segue a tale epocale evento. Una Francia ancora intrisa della narrazione e dei simboli cattolici, i quali erano, e sono, patrimonio comune, substrato immaginifico e culturale degli “amici” da cui è circondato e di cui è imbevuto egli stesso.
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In estrema conclusione, ti porgo, caro amico, due ulteriori pensieri in merito a quest’opera del Filosofo Incognito. La mia sensibilità, il mio studio, ed infine la pratica che da tutto ciò è derivata mi porta a riconoscere negli scritti di Louis Claude de Saint-Martin una profonda venatura gnostica. La quale vede l’uomo, nella sua condizione di caducità, profondamente e mortalmente lontano dalla sua radice spirituale: il Pleroma Gnostico. Sottoposto all'azione di questi terribili ed invasivi agenti di separazione che sono i Prevaricatori e che nello gnosticismo assumono la denominazione degli Arconti. Lo stesso “spirito di verità” trova rimembranza nell'azione salvifica della Gnosi la quale è forma e veicolo di redenzione. Concludo poi soffermando sul numero 10, il numero di queste preghiere, il quale non solo rappresenta la completezza e la perfezione divina, ma anche l’eterno nuovo inizio di colui che è consapevole. Oltre ovviamente ad essere la somma dei primi quattro numeri, che alchemicamente possiamo leggere, e giustamente comprendere, come i quattro elementi. Questa semplice premessa ha avuto come unico obiettivo quello di sottoporti sotto una diversa valenza non solo l’opera del Filosofo Incognito, ma la stessa preghiera quale valido e formidabile strumento di opera interiore. Introduzione al testo "Le Dieci Preghiere di Louis Claude de Saint-Martin"


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