Molte
volte in passato si è tentato, in Italia, senza, peraltro, mai
riuscirvi, di trovare un punto di coesione fra diversi Ordini
Martinisti. Il più noto, sulla spinta di quello che fu stipulato in
Francia fra Papus (Encosse) e Aurifer (Ambelain), è stato quello che
avvenne, immediatamente dopo, quando, al Convento di Ancona del 1962,
l’Ordine Martinista e l’Ordine Martinista degli Eletti Cohen,
nelle persone, rispettivamente, di Artephius (Zasio) e Nebo
(Brunelli), sottoscrissero un protocollo, dei princìpi da
rispettare, per la riunione dei due Ordini. Un secondo tentativo fu
espletato, nel 1983, fra Libertus (Comin) G.M. dell’Ordine
Martinista Antico e Tradizionale, successore di Nebo, e Vergilius
(Caracciolo) G.M. dell’Ordine Martinista, successore di Aldebaran.
Entrambi i tentativi fallirono, ufficialmente, per diversità
insanabili di impostazione: una visione mistica, quella di Aldebaran
(Ventura), successore di Artephius (Zasio), ed una teurgica, quella
degli Eletti Cohen di cui era G.M. Nebo (Brunelli).
Quello
che sta accadendo, all’indomani del Convento di Ancona, ripropone
una certa riflessione, anche se molta acqua è passata sotto i ponti
e, fortunatamente, oggi tutti sembrano pervasi dalla opportunità, se
non dalla necessità, di creare un qualche cosa di comune che superi
le diverse visioni di impostazione tradizionale, per riconoscersi in
alcuni principi comuni a tutti i Martinismi di qualsiasi scuola.
Vi
sono diversi modi di disporsi, per approcciarsi al mondo iniziatico.
L’atteggiamento di coloro che vi si avvicinano con un atteggiamento
completamente passivo e che reputano principalmente gratificante
sentirsi parte integrante di un circolo, di una associazione,
iniziatica, parainiziatica, esoterica o paraesoterica che sia.
Prendere
parte, alle vicende dell’associazione, gli consente di sentirsi
partecipi di un mondo esclusivo e misterioso, e ciò è sufficiente a
farli sentire realizzati. Costoro realizzano il proprio obiettivo,
nel far parte del mondo iniziatico, con il porsi in attesa, nella
convinzione che otterranno la propria affermazione personale
confidando nel destino, rivelando, in ciò, un atteggiamento
completamente passivo.
Poi
ci sono quelli che, sono convinti di dover fare qualcosa, sanno che,
per ottenere una trasmutazione di se stessi, debbono costruire
qualcosa. Costoro, avendo chiaro lo scopo, per cui hanno cercato
l’appartenenza al mondo dell’iniziazione, pensano di raggiungerlo
facendo ricorso alle più svariate tecniche che, al di la delle
singole particolarità, possono essere identificate, nella loro
generalità, secondo l’accezione più comune, usata dagli studiosi
di esoterismo, come tecniche attive o passive.
Di
questi, tuttavia, soltanto una piccola parte prende coscienza di come
si deve attivare. Nasce allora, nell’affrontare il problema del
come attivarsi, la necessità di considerare che non esistono
particolari tecniche. In realtà, non esistono tecniche che possono
essere definite attive o passive; ma, piuttosto, dobbiamo soltanto
considerare che esistono, semplicemente, due atteggiamenti, uno è
l’atteggiamento completamente passivo, l’altro è l’atteggiamento
attivo, che dovrebbe essere favorito e dinamizzato.
Qualsiasi
tecnica, si voglia seguire, sia essa una tecnica passiva od attiva,
assume una valenza attiva, soltanto in forza della attività che si
pone nel dinamizzarla e nel renderla viva, tanto da farla diventare
operante.
Tuttavia,
forse, è bene chiarire che tutte le dispute, sulla attività o sulla
passività delle tecniche o degli atteggiamenti, come tutte le
diatribe, su quale sia la scuola di pensiero più valida, se la
corrente mistica, o la corrente solare, sono dispute, tanto ridicole
quanto inutili.
Anche
in relazione alla tecnica più attiva di questo mondo, come anche in
relazione all’atteggiamento più attivo, fintanto che si continua a
dissertare, su quale tecnica di realizzazione privilegiare in un
futuro, che non si sa bene quando, e se, verrà, si resta sempre in
un atteggiamento passivo.
Allora,
è, forse, il caso di chiarire che tutte le tecniche di
realizzazione, qualsiasi tecnica, diventa attiva, quando viene
applicata, ed è inesorabilmente passiva quando non si utilizza.
Anche
un atteggiamento attivo, relativo ad una tecnica tradizionale, se non
è seguito da una consapevole attuazione, resta a livello di una mera
espressione filosofica. E dunque, siccome, di queste discussioni, si
sente sempre parlare, diremo, per coloro che vogliono approfondire
il problema, dal punto di vista filosofico, che ci sono interi libri
scritti, a questo proposito, cui è possibile rifarsi.
Ed
allora, schierarsi per l’attività o per la passività o dibattere
sulla via attiva, via passiva, via solare, via mistica, via umida,
come si voglia chiamarla, non serve a niente. È l’attività del
comportamento che, rendendole indistinguibili, determina la
identificazione delle vie.
Tutto
diventa attivo, quando lo si applica concretamente. Anche la
contemplazione del proprio ombelico può essere attiva, se è
realmente perseguita con continuità e serietà. Se non ci si applica
concretamente, si otterrà soltanto una contemplazione di tipo
orientale, che porta, tutt’al più, alla concentrazione.
Né
si può fare discorso diverso, anche in relazione al massimo concetto
dell’attività, rappresentata proprio dall’atteggiamento alla
teurgia. Del tutto inutili si presentano le discussioni, sulla natura
stessa della reintegrazione, di cui parla Martinez de Pasquallis; non
vale certo la pena discutere, se dobbiamo integrarci o se dobbiamo
reintegrarci, su cui si dividono molte scuole di pensiero. Per taluni
non possiamo parlare di reintegrazione perché non è mai esistita
una caduta, mentre altri naturalmente dicono l’opposto
Che
cosa volete che importi, a colui che desidera veramente progredire,
nel cammino della propria reintegrazione od integrazione, stabilire
se siamo caduti da uno stato edenico primitivo ovvero se sorgiamo con
la terra e vediamo maturare, piano piano, dentro di noi, il fiore
d’oro.
In
realtà il problema è uno solo. Quello della costruzione della
propria personalità, del proprio Sé o della rivelazione del proprio
Sé, già esistente.
Ma,
dico! Per stabilire se costruirlo, ovvero per farlo risplendere se
c’è già, c’è forse bisogno di discutere? C’è, soltanto,
da operare una decantazione delle cose che opprimono o che
impediscono la manifestazione di questo Sé, e basta.
E
però, quando uno ha capito che deve assolutamente fare qualcosa, se
vuole avviarsi verso la sua integrazione - o verso la sua
reintegrazione, non importa – deve, anche, assolutamente,
stabilire dei punti fermi da cui partire.
Prima,
dobbiamo metterci di fronte allo specchio e studiare il nostro
essere, qual è, in questo momento, e quale dovrebbe essere. Qual è
il nostro essere, con i nostri misteri, i nostri istinti, i nostri
desideri; tutta la nostra personalità, tutta insieme, così come
è, e come dovrebbe essere, secondo modelli ideali, che ci siamo
creati, facendo riferimento a coloro che ci hanno preceduto, o che si
sono affacciati nella nostra vita.
Il
secondo punto è studiare com’è il mondo in cui noi siamo - e ci
accorgeremo, magari, che il mondo non è che una semplice
rappresentazione - e poi stabilire quali sono i rapporti tra noi e il
mondo, tra il microcosmo ed il macrocosmo.
È
chiaro che ognuno di noi ambisce a divenire qualcosa di diverso da
quello che è attualmente. Si debbono, quindi, studiare i mezzi per
trasformarci, da come siamo a come desideriamo diventare; per
studiare questi mezzi, bisogna cominciare con il valutare noi
stessi, dove siamo in questo momento.
Si
capisce, così, che gli atteggiamenti, da tenere, sono l’uno in
funzione dell’altro; il momento della attività passiva non si
disgiunge da quella attiva. È abbastanza noto che esiste un legame
segreto, che ci unisce al mondo, che lega il microcosmo al
macrocosmo.
Quando
vogliamo intraprendere un iter iniziatico, quale esso sia, dobbiamo
prendere coscienza di tre basi fondamentali: noi stessi, quali siamo;
ciò che ci circonda ed i rapporti che intercorrono, tra noi e
quello che ci circonda.
Superare
la soglia dell’evidente, immergersi nell’esame delle nostre
emozioni, fino alla contemplazione della soglia, in cui si fissano i
pensieri, fino ad arrivare a riconoscere le varie forze che ci
animano. Prendere coscienza delle forze che animano l’universo, la
natura e la consistenza della manifestazione, per giungere ad una
conferma, più o meno consapevole, che le forze, che ci animano, sono
analoghe a quelle che pervadono la manifestazione.
Questo
percorso, se effettivamente intrapreso, è, in linea di principio, lo
stesso, sia che si affronti con una tecnica meditativa, sia che si
affronti ricorrendo ad una qualunque tecnica teurgica.
La
conseguenza è che si manifesta, come del tutto inutile, stabilire
quale delle due vie sia migliore, e che non ha senso voler convincere
qualcuno, sulla prevalenza dell’una sull’altra. Quello che conta
è operare secondo la Tradizione.
Solo
così potremo lavorare proficuamente per la nostra reintegrazione e,
secondo l’indirizzo di Martinez de Pasquallis, per la
reintegrazione di tutti gli esseri nelle loro primitive proprietà,
virtù e potenza spirituali e divine.
Algol Superiore Incognito Iniziatore e decano del martinismo italiano
www.martinismo.net
eremitadaisette@gmail.com