Il Martinismo
è un sistema iniziatico che si richiama agli insegnamenti ed alle
dottrine di Martinès de Pasqually (1727-1774), Jean-Baptiste Wi
lllermoz (1730-1824) e Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803),
tutti e tre operanti in Francia, in ambito massonico. In effetti il
vero fondatore fu Martinès de P a s q u a l l y, uno tra i
personaggi che maggiormente hanno incuriosito l’Europa alla fine del
XVIII° secolo, ma allo stesso tempo dei meno conosciuti e dei più
misteriosi. Coinvolto nei diversi sistemi degli “alti gradi” della
Massoneria settecentesca, egli, in possesso di una bolla o patente
massonica ereditaria che suo padre aveva avuto da Carlo Eduardo
Stuart, nel 1738, che gli consentiva di iniziare “a vista” massoni e
fondare Logge e Capitoli, e in seguito riconosciuta valida anche in
Francia, creò nel 1754 circa, l’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti
Cohen (dal vocabolo ebraico cohanim che significa
“sacerdoti”)dell’Universo; cioè un sistema in cui dopo i tre
classici gradi di Apprendista, Compagno e Maestro, si inseriscono
una classe del “Portico”, una del “ Tempio” ed una “Segreta”,
corrispondente al grado di Rosa-Croce. Ma già fin dalla classe del
Portico vengono introdotti i primi fondamenti della dottrina di
Martinès, e cioè della Reintegrazione di ogni essere in senso
universale. Questa dottrina è derivante forse dalla religiosità
marrana, da cui egli probabilmente discende, o da quella degli ebrei
sefarditi, nonché da reminiscenze di certi gruppi gnostici o da
lontani echi della tradizione esoterica islamica; ma anche, da
insegnamenti di impronta cabalistica. Con operazioni di tipo
teurgico sempre più complesse e via via più segrete nell’avanzare
dei gradi, e comunque il tutto espresso attraverso una terminologia
cristiana, questa dottrina veniva impartita all’adepto a cui
spettava il compito di apprendere quale fu la sua origine e qual è
la sua destinazione e quali sono le vie comuni della sua caduta e
della sua risalita. La sua rigenerazione dopo la caduta di Adamo
passa attraverso la faticosa ascesi che permette di raggiungere un
Sacerdozio Cohen, durante il quale egli impara ad avere il dominio
di se stesso e, preparato nel silenzio, con la preghiera, il digiuno
ed altre particolari pratiche, ottiene in determinati giorni la
rivelazione soprannaturale di ciò che Martinès indicava con il
termine C h o s e, ossia la “Cosa”. E ciò era possibile in quanto,
secondo uno dei princìpi di Martinès, ogni uomo è nato profeta e,
per conseguenza, egli è obbligato a coltivare in sè il dono della
visione e perciò della conoscenza, cultura questa alla quale doveva
servire la sua scuola. Quest’Ordine degli Eletti Cohen ebbe il
suo massimo sviluppo dopo il 1770; molte furono le Logge
all’obbedienza della Gran Loggia di Francia che vi aderirono;
Bordeaux ne fu uno dei maggiori centri, ma altre se ne ebbero a
Montpellier, ad Av i g n one, a Foix, a Libourne, a La Rochelle, a
Eu, a Parigi ed in altre località ancora. A P a r i g i
aveva pure la sua sede il Tribunale Sovrano e cioè il supremo organo
amministrativo, formato da vari Rosa-Croce con l’appellativo di
Sovrani giudici, tra cui Bacon de La Chevalerie e J.B. Willermoz ed
altri. Nel 1772 Martinès, per una complessa questione ereditaria,
parte per San Domingo, dove per i due anni successivi cerca di
completare le istruzioni per l’Ordine. Qui però muore nel 1774. E
dopo varie successioni, verificatosi l’attenuarsi delle
“manifestazioni” nell’operatività delle Logge a seguito della
scomparsa dal piano fisico del Maestro, viene presa la decisione di
chiudere lavori e Templi, consegnando gli archivi all’Ordine dei
Filaleti ( L’Ordine dei Filateti, presieduto da Savalette de Lange
costituiva un gruppo massonico dedicato alla storia ed alla
archiviazione di tutto ciò che riguardava l’esoterismo della sua
epoca). Dal Martinismo di Pasqually, o meglio dal Martinezismo, si
distingue il sistema di Willermoz che, allievo di Martinès come
Louis-Claude de Saint-Martin, riconduce le idee del maestro in un
ambito più rigorosamente massonico, seppure con una forte
accentuazione cristianeggiante, dando luogo all’Ordine dei Cavalieri
Beneficenti della Città Santa o Rito Scozzese Rettificato. Per
quanto riguarda Louis-Claude de Saint- Martin, dopo aver avuto i
primi gradi massonici a partire dal 1765, nell’autunno del 1768 è
ricevuto da Martinès tra gli Eletti Cohen col grado di Commendatore
d’Oriente e nel 1772 è ordinato Rosa-Croce. Presto diviene il
segretario di Martinès e collaborerà alla stesura del Trattato sulla
Reintegrazione degli Esseri, opera fondamentale e primaria della
tradizione martinista del suo maestro, che poco e male conosceva la
lingua francese. Dopo la morte di Martinès, Saint-Martin seguirà a
Lione l’amico Willermoz partecipando all’educazione e formazione dei
componenti le logge di Willermoz, e scrivendo in questo periodo,
oltre alla sua famosa opera Degli Errori e della Verità varie opere
contenenti istruzioni di carattere massonico. Saint-Martin però,
avendo maturato, ancora vivente Martinès, l’intenzione di
abbandonare i cerimoniali teurgici, si distaccherà, fermo restando
il concetto di Reintegrazione, dagli insegnamenti ricevuti dal
maestro e al di là di ogni i t e r iniziatico che prevede la
manifestazione esteriore delle forze angeliche ultraterrene,
prevista dalla ritualità degli Eletti Cohen, si dedicherà alla
solitaria ricerca di una via interiore che possa permettere al
divino di manifestarsi nell’uomo come scintilla all’interno del sé
che anela a trasformarsi in fuoco. Lasciata Lione e l’amico Wi l l e
r m o z , Saint-Martin comincia il suo percorso personale ed
individuale viaggiando a lungo in Italia, in Inghilterra, in
Germania dove conoscerà, grazie all’amica Carlotta de Boecklin gli
scritti di colui che sarà il suo secondo grande maestro: Jacob Böhme,
scritti che gli rivelarono quanto, nei documenti di Martinès, aveva
soltanto intravisto. Molte sono le opere che Saint-Martin scriverà
durante la sua vita e da esse emerge che lo spiritualismo, di cui la
via gli era stata prima aperta da Martinès de Pasqually e poi
appianata da Jacob Böhme non è più la “scienza degli spiriti”, ma
quella di Dio; e a differenza dei mistici che si uniscono attraverso
la contemplazione al loro Principio, non è, per Saint-Martin,
solamente la facoltà affettiva che conosce in sé il proprio
principio divino, ma la facoltà intellettuale, attraverso
un’operazione attiva che è il germe della conoscenza.
Per distinguere il Martinismo moderno dovuto
all’insegnamento di Louis-Claude de Saint-Martin da quello di
Martinès, quest’ultimo è stato chiamato Martinezismo. Sempre dalle
sue opere si evidenzia come le tre facoltà animiche dell’uomo,
Pensare, Sentire e Volere siano lo strumento attraverso il quale
“l’Uomo di desiderio” (così lo chiama Saint-Martin) può penetrare
nei suoi più intimi recessi per conoscere se stesso, ovvero il suo
io, così come con i suoi sensi egli perviene alla conoscenza della
sua corporeità. Queste tre facoltà devono però necessariamente
essere educate affinché possano riacquistare, come dice Saint-Martin,
i “diritti della loro destinazione originale”, e pertanto essere
poste nella condizione di riacquistare quella verginità necessaria
perché la concezione e la nascita del “nuovo uomo” possa avvenire in
noi sostituendo così l’uomo antico. Vi è perché ciò possa avvenire
una grande difficoltà, a causa della perenne contraddizione in cui
l’uomo vive: egli infatti evita di essere l’io che sostanzialmente
è, pur facendo uso delle forze del proprio io per le sue necessità
esistenziali. Ma se guardando ciò che esiste, egli non sa darsi una
spiegazione; se osservando le proprie idee, i propri pensieri che
produce muovendosi incontro alle cose per conoscerle, sente che essi
giungono da una zona ignota, egli deve sapere che questa zona ignota
può essere scoperta. Essa è nell’uomo e sta a lui giungervi
indagando in se stesso, compiendo cioè la vera opera al nero della
tradizione ermetica, senza paura di superare con la forza del volere
e la bellezza del pensare, i limiti del pensiero stesso, per
aprirsi, una volta pervenuto al sentire del cuore a ciò che è oltre
i limiti, bruciando al fuoco ridestato nell’Atanor le scorie della
sua personalità, del sé individuato, volendo donarsi oltre esso per
amore del proprio essere, che è essere il mondo, le cose, gli altri,
il proprio io, la Saggezza fluente, la Luce, la Vita, il Logos
solare, l’Amore, per adempiere così il suo ministero. Saint-Martin
esponendo nelle sue opere le necessità dell’uomo di desiderio ci
espone in più occasioni le sue perplessità, oltre che per la via
teurgica , anche per tutte le altre vie tradizionali quali
l’ermetismo, la cabala, l’alchimia, ed altre ancora, che vari
circoli nel suo tempo praticavano, al fine di stabilire un rapporto
tra l’uomo, Dio e l’universo. Da quanto finora detto vediamo che la
via che Saint-Martin indica è in alternativa alle antiche vie; in
una lettera all’amico Kirchberger del 19 giugno 1797, egli afferma
di avere da molto tempo abbandonato quelle iniziazioni attraverso
cui era passato nella sua prima scuola […] per darsi alla sola che
sia secondo il suo cuore. Nel suo romanzo Il Coccodrillo, scritto
tra il 1791 e l’agosto del 1792, Saint-Martin ci dà una perfetta
immagine della nuova via e del modo di operare. Nel Canto 81
l’autore ci narra come ad Eleazar, personaggio principale di tutta
la storia e che simbolicamente raffigura il suo primo maestro
Martinès de P a s q u a l l y, venga sottratta dai cattivi geni
del Coccodrillo la sua polvere magica ottenuta dalla radice, dal
fusto e dalle foglie della “viola doppia”, ossia dalla pansée o
viola del pensiero, e con la quale era sempre riuscito a sconfiggere
il male, per cui, privatone, viene a perdere la sua “forza
elementale”; ma gli rimane il “desiderio” intorno al quale ruota
tutta l’azione. Privato perciò dei poteri che gli conferiva la
polvere della “viola doppia”, il desiderio denudato da ogni egoismo
lo eleva al grado di un’altissima concentrazione da cui domina i
suoi nemici, essendo così rientrato in possesso delle forze delle
sue tre facoltà dell’anima, ossia del pensare, del sentire e del
volere. In questo modo ci viene rivelato che queste tre facoltà sono
il vero modello delle tre sostanze che compongono la polvere; ma
che, come Saint-Martin afferma , l’effluvio dei suoi desideri,
fortificato dalla “concentrazione” è più attivo ancora della polvere
salina racchiusa nella scatola. Ecco allora il nuovo prodigio,
all’uomo antico, E l e a z a r, subentra l’uomo nuovo, l’uomo del
pensiero, ovvero, simbolicamente, L.C. de Saint-Martin stesso, cioè
l’uomo che aveva abbandonato le antiche iniziazioni per quella
secondo il suo cuore …; e che pertanto sostituiva le vie antiche,
ormai prive di poteri, con la via nuova, la via dei tempi moderni,
ovvero la via del pensiero puro, del pensiero vivente. Quest’ultima
affermazione secondo il suo cuore ha indotto molti a considerare la
sua via, in quanto cardiaca, una via umida; niente di più sbagliato,
poiché dalla descrizione fatta risulta che si tratta di una via
cardiaca secca, giacché essa mediante la “concentrazione”, passa per
la testa dovendo, con le forze delle facoltà dell’anima pervenire
all’elevazione del pensiero. In tutte le sue opere L.C. de
Saint-Martin ha sempre insistito sulla necessità dell’elevazione del
pensiero per conquistare lo spirito, ed infatti ha sempre provato
una forte ripugnanza a conquistarlo con delle “operazioni fisiche” e
ciò è provato dal fatto che ancor prima della morte del suo primo
maestro, per il quale conserverà sempre una grande venerazione
avendogli egli aperto la carriera, ossia l’accesso alle verità
sovrannaturali, egli riprenderà la sua libertà per darsi alla sola
via che sia vera - mente secondo il suo cuore. Parlando del pensiero
nella sua opera Degli Errori e della Verità, cap. “Delle affinità
degli esseri pensanti”, l’autore afferma quanto segue: Quando l’uomo
al contrario, cessando di fissare gli occhi sugli esseri sensibili e
corporei, li riconduce sul suo proprio essere, e nell’intento di
conoscerlo fa uso con cura della sua facoltà intellettuale, la sua
vista acquista un’estensione immensa, concepisce e tocca, per così
dire, dei raggi di luce che sente essere fuori di lui, ma di cui
sente pure tutta l’analogia con se stesso; delle idee nuove
discendono in lui, ma è sorpreso, ammirandole, di non trovarle
estranee. Ora, vi vedrebbe egli tanti rapporti con se stesso, se la
loro sorgente e la sua non fossero simili? Si troverebbe così bene e
così soddisfatto alla vista dei barlumi di verità che gli si
trasmettono, se il loro principio ed il suo non avessero la stessa
essenza? È questo che ci fa riconoscere che, essendo il pensiero
dell’uomo simile a quello dell’Essere Primo e a quello della causa
attiva ed intelligente, deve esservi stato tra essi una
corrispondenza perfetta fin dal momento dell’esistenza dell’uomo. Ma
come operare per pervenire a questo pensiero che ci accomuna
all’essere primo? La chiave sta nell’uso che si fa del ternario
pensiero, volontà e azione a cui spesso fa riferimento il nostro
filosofo; con la concentrazione, in effetti, si sviluppa l’azione
generata dalla volontà e dal pensiero che si muovono incontro
all’oggetto del sentire nella zona cardiaca, determinando la
possibilità da parte nostra di varcare quella soglia del mentale che
ci separa dal mondo dell’ intuizione,del pensiero puro, del pensiero
vivente. (Incidentalmente faccio notare che la parola intuizione
viene da intuire, che a sua volta deriva dal latino inter ire cioè
andare dentro, ovvero essere nella cosa e pertanto essere nella
verità. Da ciò la differenza che vi è tra l’iniziato e lo
scienziato, il primo, varcando la soglia del mentale entra
direttamente nel mondo della conoscenza, il secondo invece, giunto
sul limite della soglia coglie qualche bagliore del mondo
dell’intuizione, ma come se ne fosse spaventato si ritrae al di qua
della soglia stessa e cerca di verificare mediante il pensiero
razionale la giustezza dell’intuizione colta). Come vediamo si
ripete l’eterno conflitto tra pensiero razionale e pensiero vivente
come se i due tipi di pensiero si annullassero a vicenda. Non
dimentichiamo la battaglia condotta da L.C. de Saint-Martin contro
la scienza del suo tempo che già allora minacciava con il
materialismo che portava con sé, ogni forma di rapporto con il mondo
divino. Oggi noi che viviamo totalmente in un mondo reso artificiale
dal pensiero razionale e in un tempo scandito da congegni
elettronici, avvertiamo in modo particolare la necessità di
ristabilire quell’equilibrio dato dal mondo dello spirito a queste
due forme di pensiero. Non a caso nell’albero sefirotico della
tradizione cabalistica, le forze che agiscono sulla testa, Chokmah,
ovvero la saggezza o piano dell’intuizione e Binah cioè intelligenza
o piano della razionalità, nate nell’universo ed ivi diffuse, si
equilibrano in essa, una proveniente da destra ed una da sinistra,
creando la base del triangolo che ha per vertice Keter ovvero ciò
che per gli antichi era l’incarnazione di tutto ciò che doveva
discendere negli uomini dal mondo spirituale. Per concludere, una
volta rigenerato il pensiero attraverso la concentrazione e la
meditazione, l’uomo di desiderio potrà operare su di sé quel
risveglio che gli farà ritrovare il più sublime dei suoi diritti che
consiste, come dice il nostro filosofo, nel far uscire Dio dalla sua
propria contemplazione, realizzando così quanto egli stesso afferma
nel cantico 202 della sua opera L’Uomo di desiderio: Non è affatto
all’uomo debole che la gloria del Signore è promessa; prima di
goderne bisogna che il pensiero dell’uomo abbia riacquistato la sua
elevazione. Perché è nel pensiero dell’uomo che si trova la gloria
del Signore. I cieli l’annunciano pure questa gloria, e Davide ce
l’ha detto nei suoi cantici; ma essi non fanno che annunciarla,
mentre il pensiero dell’uomo la giustifica, la prova e la dimostra.
Un giorno i cieli, la terra e l’universo cesseranno di essere e non
potranno più annunciare la gloria di Dio. Quando questo giorno sarà
giunto il pensiero dell’uomo potrà ancora giustificarla, provarla,
dimostrarla, e ciò per la durata di tutte le eternità. Pensate che,
se voi non abbandonaste un pensiero puro e vero che fosse stato
condotto ad un fine vivo ed efficace, vi ristabilireste, in modo
impercettibile ai sensi, nella vostra legge e diverreste fin da
quaggiù i rappresentanti del vostro Dio. Vorrei far notare qui, a
voi tutti, l’estrema importanza di quest’ultimo passo, in quanto
esso ci dice chiaramente quanto sia rilevante operare mediante il
pensiero vivente nel vivere di tutti i giorni, perché solo così si
diverrebbe capaci di far vivere nel cuore di ogni uomo quella forza
che ci renderebbe artefici del regno di Dio in Terra, compiendo in
questo modo il proprio Ministero. Per completare il quadro relativo
al Martinismo, ricordiamo che dopo la chiusura dei lavori e dei
templi avvenuta nel 1780 ad opera di Sebastiano de Las Casas, ultimo
successore di Martinès, continuò a circolare in Europa per tutto il
XIX° secolo, ma particolarmente in Francia, Germania e Russia il
termine Martinista, col quale venivano indicati gli amici e i
seguaci del pensiero di L.C. de Saint-Martin. Soltanto alla fine del
secolo e precisamente nel 1891, Gérard Encausse detto Papus ed
Augustin Chaboseau in virtù di una pretesa catena iniziatica
(non provata) che li legava a Saint-Martin fondano il cosiddetto
“Ordine Martinista”. Dopo la morte di Papus avvenuta nel 1916, si
succedono vari Gran Maestri tra cui Jean Bricaud (1881-1934) che
stabilì la non ammissione all’Ordine per i non massoni e per le
donne. Questa norma è poi decaduta. Attualmente l’Ordine Martinista
è diffuso in tutto il mondo, ed ogni Ordine è sovrano ed
indipendente; in genere quasi tutti hanno un indirizzo che segue
tendenzialmente la linea di Saint-Martin, qualcun altro ha forse una
maggiore propensione per il Martinezismo. Alla Gloria del Grande
Architetto dell’Universo.
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