CARATTERI ESSENZIALI DELLA
METAFISICA
di René
Guénon
Mentre il punto di vista
religioso implica essenzialmente l'intervento di un elemento di ordine
sentimentale, il punto di vista metafisico è esclusivamente intellettuale; ma
questo, quantunque abbia per noi un significato nettissimo, a molti potrebbe
sembrare che non caratterizzi sufficientemente il punto di vista in questione,
poco familiare agli occidentali, se non ci dessimo la pena di precisarlo
ulteriormente. Anche la scienza e la filosofia, infatti, quali esistono nel
mondo occidentale, hanno pretese di intellettualità; se neghiamo che queste
pretese siano fondate e affermiamo che esiste una differenza delle più profonde
tra tutte le speculazioni di questo genere e la metafisica, è perché
l'intellettualità pura, nel senso in cui noi la consideriamo, è tutt'altra cosa
da quel che di solito s'intende, in modo più o meno vago, con tale parola.
Dobbiamo dire subito che quando usiamo il termine"
metafisica", come facciamo, poco ci importa la sua origine storica, che è
alquanto dubbia e che sarebbe puramente fortuita se si dovesse ammettere
l'opinione, peraltro poco verosimile ai nostri occhi, secondo la quale avrebbe
designato, in principio, semplicemente ciò che veniva "dopo la fisica" nella
raccolta delle opere di Aristotele. Ne dobbiamo curarci delle accezioni diverse
e più o meno abusive che taluni hanno creduto bene di attribuire alla parola nel
corso del tempo; questi non sono motivi sufficienti a indurci ad abbandonarla
perché, così com'è, essa è troppo adatta a quel che normalmente deve designare,
almeno per quanto può esserlo un termine desunto dalle lingue occidentali. In
effetti, il suo significato più naturale, anche etimologicamente, è quello
secondo cui designa ciò che è "al di là della fisica", intendendo per "fisica",
come sempre facevano gli antichi, l'insieme di tutte le scienze della natura,
considerato in una maniera del tutto generale, e non semplicemente una di queste
scienze in particolare, secondo l'accezione ristretta che è propria dei moderni.
Questa è dunque la nostra interpretazione del termine "metafisica" , e sia detto
una volta per tutte che se ci teniamo è unicamente per la ragione or ora
indicata e perché pensiamo che è sempre disdicevole ricorrere a neologismi se
non in casi di assoluta necessità.
Diremo ora che la metafisica, così intesa, è
essenzialmente la conoscenza dell'universale, o, se si vuole, dei princìpi di
ordine universale, che del resto sono gli unici a cui convenga propriamente il
nome di princìpi; ma non vogliamo dare con ciò una vera e propria definizione
della metafisica, cosa che, a rigore, è impossibile proprio a causa di questa
stessa universalità che consideriamo il primo dei suoi caratteri, quello da cui
tutti gli altri discendono. In realtà non è definibile se non ciò che è
limitato, e la metafisica è al contrario, nella sua essenza stessa,
assolutamente illimitata, ciò che non permette evidentemente di racchiuderne la
nozione in una formula più o meno stretta; in questo caso una definizione
sarebbe tanto più inesatta quanto più ci si sforzasse di renderla precisa.
È importante osservare che abbiamo detto
conoscenza e non scienza; vogliamo con ciò sottolineare la distinzione profonda
che bisogna necessariamente stabilire tra la metafisica da un lato e,
dall'altro, le differenti scienze nel senso proprio della parola, vale adire
tutte le scienze particolari e specializzate che hanno come oggetto di indagine
un certo aspetto delle cose individuali. Questa è dunque, in fondo, la
distinzione stessa tra l'universale e l'individuale, distinzione che non deve
essere intesa come un'opposizione, perché tra i suoi due termini non esiste
misura comune ne alcuna relazione di simmetria o di possibile coordinazione.
D'altronde, tra la metafisica e le scienze non può sussistere opposizione o
conflitto di sorta, precisamente perché i loro àmbiti rispettivi sono
profondamente separati; ed esattamente lo stesso avviene, del resto, in rapporto
alla religione. Tuttavia è opportuno capire bene che detta separazione non si
riferisce tanto alle cose in se quanto ai punti di vista da cui noi consideriamo
le cose; e ciò è particolarmente importante per quanto diremo più specificamente
sulla "fisica" e su come devono essere concepiti i reciproci rapporti dei
diversi rami della dottrina indù. E facile rendersi conto che uno stesso oggetto
può essere studiato da differenti scienze sotto aspetti diversi; allo stesso
modo, tutto quanto consideriamo da certi punti di vista individuali e specifici
può essere, per mezzo di una trasposizione adeguata, considerato anche dal punto
di vista universale - che non è d'altronde un punto di vista specifico - allo
stesso modo in cui può esserlo quanto non è suscettibile di essere inteso in
modo individuale. Così si può dire che il dominio della metafisica comprende
tutto, il che è necessario perché essa sia veramente universale, come deve
esserlo essenzialmente; e i dominii propri alle differenti scienze non restano
per ciò meno distinti da quello della metafisica, dal momento che quest'ultima,
non ponendosi sullo stesso terreno delle scienze particolari, in nessun modo può
essere un loro analogo, sicché non potrà mai darsi che si stabilisca alcuna
comparazione tra i risultati dell'una e quelli delle altre. Del resto il dominio
della metafisica non è per nulla, come pensano alcuni filosofi che al riguardo
sono piuttosto ottusi, quello che le diverse scienze lasciano da parte perché il
loro sviluppo attuale è più o meno incompleto, ma piuttosto quello che, per sua
stessa natura, sfugge a queste scienze e supera di gran lunga la portata a cui
possono legittimamente pretendere. Il dominio di ogni scienza è sempre
circoscritto dall'esperienza, in una qualunque delle sue diverse modalità,
mentre il dominio della metafisica è costituito essenzialmente da ciò per cui
non può esserci esperienza possibile: essendo "al di là della fisica", siamo
anche, e proprio per questa ragione, al di là dell'esperienza. Di conseguenza l'àmbito
di ogni scienza particolare può estendersi indefinitamente, se ne è
suscettibile, senza mai giungere ad avere il sia pur minimo punto di contatto
con quello della metafisica.
Consegue immediatamente da quanto precede che
parlando dell'oggetto della metafisica non si deve pensare a qualcosa di più o
meno analogo all'oggetto particolare di una certa scienza. Consegue anche che
tale oggetto deve essere sempre assolutamente lo stesso, che non può in alcun
modo essere qualcosa di mutevole e soggiacente alle influenze di tempo e di
luogo; il contingente, l'accidentale, il variabile appartengono in proprio all'àmbito
dell'individuale; sono anzi dei caratteri che condizionano necessariamente le
cose individuali in quanto tali, o, per esprimersi con più rigore, l'aspetto
individuale delle cose nelle sue molteplici modalità. Quindi, quando si tratta
di metafisica, con il tempo e il luogo possono cambiare solo i modi di
esposizione, vale adire le forme più o meno esteriori che la metafisica può
assumere e che sono suscettibili di adattamenti diversi, e anche, evidentemente,
lo stato di conoscenza o d'ignoranza degli uomini, o per lo meno della
maggioranza di loro nei confronti della vera metafisica; ma essa resta sempre,
in fondo, perfettamente identica a se stessa, il suo oggetto essendo
essenzialmente uno, o più esattamente "senza dualità" come dicono gli Indù, e
questo oggetto, sempre per il suo essere"al di là della natura", è anche al di
là del cambiamento: è quel che gli Arabi esprimono dicendo che "la dottrina
dell'Unità è unica".
Inoltrandoci nell'ordine delle conseguenze,
possiamo aggiungere che in metafisica non è assolutamente possibile fare
scoperte, perché, trattandosi di un modo di conoscenza che non ricorre all'uso
di mezzi speciali ed esteriori di investigazione, tutto ciò che è suscettibile
di essere conosciuto può esserlo stato in ugual modo da uomini diversi in tutte
le epoche; ed è ciò che risulta effettivamente da un esame approfondito delle
dottrine metafisiche tradizionali. D'altronde, quand'anche si ammettesse che le
idee di evoluzione e di progresso possano avere un qualche valore relativo in
biologia e in sociologia, la qual cosa è lungi dall'esser provata, non sarebbe
meno certo che esse non hanno alcuna applicazione possibile alla metafisica; è
così che queste idee sono del tutto estranee agli orientali, come del resto lo
furono, fin verso la fine del secolo XVIII, agli stessi occidentali che oggi le
reputano elementi essenziali dello spirito umano. Ciò implica, lo si noti bene,
la condanna formale di ogni tentativo di applicare il"metodo storico" a quanto
sia di ordine metafisico: lo stesso punto di vista metafisico si oppone in modo
radicale al punto di vista storico, o sedicente tale, e in questa opposizione
bisogna vedere non soltanto una questione di metodo, ma anche e soprattutto, il
che è molto più grave, una vera questione di principio, poiché il punto di vista
metafisico, nella sua immutabilità essenziale, è la negazione stessa delle idee
di evoluzione e di progresso; si potrebbe perciò dire che la metafisica non si
può studiare che metafisicamente. Non bisogna qui tenere conto di contingenze
quali possono essere le influenze individuali, che, a rigore, non esistono in
questo àmbito e non possono esercitarsi sulla dottrina perché essa, essendo di
ordine universale, dunque essenzialmente sovraindividuale, sfugge per forza di
cose alla loro azione; anche le circostanze di tempo e luogo, lo ribadiamo,
possono influire soltanto sull'espressione esteriore, e null'affatto
sull'essenza stessa della dottrina; e infine, in metafisica, non si tratta per
nulla, come invece nell'ordine del relativo e del contingente, di "credenze" o
di "opinioni" più o meno variabili e mutevoli in quanto più o meno dubbie, ma
esclusivamente di certezza permanente e immutabile.
In effetti, per il fatto stesso che la metafisica
non partecipa minimamente della relatività delle scienze, deve implicare, quale
carattere intrinseco, la certezza assoluta, e ciò vale anzitutto per il suo
oggetto, ma anche per il suo metodo, se tale parola può applicarsi qui, perché
altrimenti tale metodo, o comunque si voglia chiamarlo, non sarebbe adeguato
all'oggetto. La metafisica esclude quindi necessariamente qualsiasi concezione
di carattere ipotetico, donde risulta che le verità metafisiche, in se stesse,
hanno un'assoluta incontestabilità; di conseguenza, se talvolta può esserci
discussione e controversia, sarà sempre e soltanto per effetto di una
esposizione difettosa o di una comprensione imperfetta di tali verità. D'altra
parte, ogni possibile esposizione è qui necessariamente difettosa, perché le
concezioni metafisiche, per la loro natura universale, non sono mai del tutto
esprimibili, e neppure immaginabili, non potendo essere raggiunte nella loro
essenza che dall'intelligenza pura e" informale " ; esse oltrepassano
immensamente tutte le forme possibili e in particolare le formule in cui il
linguaggio vorrebbe chiuderle, formule sempre inadeguate che tendono a
restringerle e perciò a snaturarle. Queste formule, come tutti i simboli,
possono servire solo come punto di partenza, come "supporto" per così dire, per
aiutare a concepire ciò che in se rimane inesprimibile, ed è compito di ciascuno
sforzarsi di concepirlo effettivamente a misura della propria capacità
intellettuale, supplendo in tal modo, in questa stessa misura, alle fatali
imperfezioni dell'espressione formale e limitata; è del resto evidente che tali
imperfezioni raggiungeranno il loro massimo quando l'espressione dovrà avvenire
in lingue che, come quelle europee, soprattutto moderne, sembrano quanto mai
refrattarie all'esposizione delle verità metafisiche. Come appunto dicevamo più
sopra a proposito delle difficoltà di traduzione e adattamento, la metafisica,
in quanto si apre su possibilità illimitate, deve sempre riservarsi la parte
dell'inesprimibile, che in fondo è anche per lei del tutto essenziale.
Questa conoscenza di ordine universale deve porsi
al di là di tutte le distinzioni che condizionano la conoscenza delle cose
individuali, e delle quali il tipo generale e fondamentale è la distinzione fra
soggetto e oggetto; ciò mostra una volta di più che l'oggetto della metafisica
non è assolutamente paragonabile all'oggetto specifico di qualsiasi altro genere
di conoscenza, e che non può neppure essere chiamato oggetto se non in un senso
puramente analogico, perché per poterne parlare bisogna pur attribuirgli una
qualche denominazione. Allo stesso modo, se si vuol parlare del mezzo della
conoscenza metafisica, esso non potrà che costituire un tutt'uno con la
conoscenza stessa, dove soggetto e oggetto sono unificati in modo essenziale;
come dire che tale mezzo, seppure è lecito chiamarlo così, non può esser nulla
di simile all'esercizio di una facoltà discorsiva quale è la ragione umana
individuale. Si tratta, come dicevamo, dell'ordine sovraindividuale e, di
conseguenza, sovrarazionale, che non significa affatto irrazionale: la
metafisica non può opporsi alla ragione, piuttosto è al di sopra della ragione,
che lì può intervenire solo in modo del tutto secondario per la formulazione e
l'espressione esteriore di quelle verità che vanno di là dalla sua sfera e dalla
sua portata. Le verità metafisiche possono essere concepite unicamente da una
facoltà che non è più dell'ordine individuale e che si può definire intuitiva
per il carattere immediato della sua operazione, purché, beninteso, si aggiunga
che non ha assolutamente niente in comune con ciò che certi filosofi
contemporanei chiamano intuizione, facoltà soltanto sensitiva e vitale, che è
propriamente al di sotto, e non più al di sopra, della ragione. Occorre dunque
dire, per maggior precisione, che la facoltà di cui stiamo parlando è
l'intuizione intellettuale, di cui la filosofia moderna ha negato l'esistenza
perché non la capiva, quando non preferì ignorarla puramente e semplicemente; si
può ancora designarla col nome di intelletto puro, seguendo l'esempio di
Aristotele e dei suoi continuatori scolastici, per i quali infatti l'intelletto
è ciò che possiede immediatamente la conoscenza dei princìpi. Aristotele
dichiara espressamente(1) che "l'intelletto è più vero della
scienza", vale a dire, in definitiva, della ragione che costruisce la scienza,
ma che "nulla è più vero dell'intelletto", il quale è necessariamente
infallibile proprio perché la sua operazione è immediata e perché, non essendo
realmente distinto dal proprio oggetto, si confonde con la verità stessa. Tale è
il fondamento essenziale della certezza metafisica; e da questo si vede che
l'errore può introdursi soltanto con l'uso della ragione, vale a dire nella
formulazione delle verità concepite dall'intelletto, e ciò perché la ragione è
evidentemente fallibile a causa del suo carattere discorsivo e mediato.
D'altronde, ogni espressione essendo necessariamente imperfetta e limitata,
l'errore, nella forma se non nella sostanza, vi è inevitabile: per quanto
rigorosa si voglia rendere l'espressione, quel che essa esclude è sempre molto
più di quel che può includere; ma un errore del genere può non avere nulla di
positivo in quanto tale, e tutto sommato essere solo una verità minore che
risiede unicamente in una formulazione parziale e incompleta della verità
totale.
Ci si può ora rendere conto di quale sia, nel suo
significato più profondo, la distinzione tra conoscenza metafisica e conoscenza
scientifica: la prima dipende dall'intelletto puro, il cui dominio è
l'universale; la seconda dipende dalla ragione, il cui dominio è il generale, in
quanto, come ha detto Aristotele, "non vi è scienza se non del generale". Non
bisogna dunque confondere l'universale e il generale come troppe volte fanno i
logici occidentali, i quali non si innalzano mai realmente al di sopra del
generale neppure quando gli attribuiscono indebita mente il nome di universale.
Abbiamo detto che il punto di vista delle scienze è di ordine individuale;
infatti il generale non si oppone all'individuale, ma soltanto al particolare, e
anzi altro non è che un'estensione dell'individuale; ma l'individuale può
estendersi anche indefinitamente senza perciò perdere la sua natura e
travalicare le proprie condizioni restrittive e limitative; e per questo
affermiamo che la scienza potrebbe estendersi indefinitamente senza mai
raggiungere la metafisica, dalla quale rimarrà sempre separata nel modo più
profondo, perché solo la metafisica è la conoscenza dell'universale.
Pensiamo di aver caratterizzato a sufficienza la
metafisica; molto di più non potremmo dire senza entrare nell'esposizione della
dottrina vera e propria, che qui sarebbe fuori luogo; d'altronde questi dati
saranno completati nei capitoli che seguiranno, e in particolare quando
parleremo della distinzione tra la metafisica e ciò che nell'Occidente moderno
viene generalmente chiamato col nome di filosofia. Tutto quanto abbiamo detto si
applica, senza alcuna restrizione, a una qualunque delle dottrine tradizionali
dell'Oriente, nonostante le grandi differenze di forma che possono nascondere
l'identità di fondo a un osservatore superficiale: tale concezione della
metafisica è vera per il taoismo, per la dottrina indù e anche per l'aspetto
profondo ed extrareligioso dell'islamismo. Esiste qualcosa di simile nel mondo
occidentale? Se si esamina solo ciò che esiste attualmente, si potrebbe
sicuramente dare a questa domanda una risposta negativa, perché ciò che il
pensiero filosofico moderno si compiace talvolta di abbellire col nome di
metafisica non corrisponde in alcun modo alla concezione che abbiamo esposto;
ritorneremo comunque su questo punto. Tuttavia quanto abbiamo detto su
Aristotele e sulla dottrina scolastica mostra che vi fu, se non la metafisica
totale, almeno della metafisica in una certa misura; e nonostante questa riserva
necessaria, si trattò di qualcosa di cui la mentalità moderna non offre più il
minimo equivalente, e la cui comprensione le sembra preclusa. D'altra parte, se
la riserva che abbiamo or ora fatto si impone, è perché esistono, come dicevamo
in precedenza, delle limitazioni che sembrano davvero inerenti a tutta
l'intellettualità occidentale, almeno a partire dall'antichità classica; e a
questo proposito abbiamo notato come i Greci non avessero punto l'idea di
Infinito. Del resto, perché mai gli occidentali moderni, quando credono di
pensare all'Infinito, si rappresentano quasi sempre uno spazio, il quale non può
essere che indefinito, e perché confondono immancabilmente l'eternità, che
risiede essenzialmente nel "non tempo", se così possiamo esprimerci, con la
perpetuità, che non è se non un'estensione indefinita del tempo, mentre in
simili confusioni non incorrono mai gli orientali? Il fatto è che la mentalità
occidentale, volta quasi esclusivamente alle cose sensibili, fa costante
confusione tra concepire e immaginare, al punto che ciò che non è suscettibile
di rappresentazione sensibile le pare veramente impensabile; e già presso i
Greci le facoltà immaginative erano soverchianti. Le quali, evidentemente, sono
l'esatto opposto del pensiero puro; così stando le cose, non può esserci
intellettualità nel vero senso della parola, ne, di conseguenza, metafisica. Se
a queste considerazioni si aggiunge poi l'altra confusione abituale tra
razionale e intellettuale, non si tarderà ad accorgersi che la pretesa
intellettualità occidentale non è in realtà, soprattutto nei moderni, che
l'esercizio di quelle facoltà meramente individuali e formali che sono la
ragione e l'immaginazione; e si capirà allora tutto ciò che la separa
dall'intellettualità orientale, per la quale non c'è conoscenza vera e valida se
non quella che ha le proprie radici profonde nell'universale e nell'informale.
(1)Analitici, II
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