domenica 22 dicembre 2013

22 Dicembre 2013 - LEX AUREA 50




E' disponibile il numero 50 della rivista Lex Aurea


La Vergine e la Cripta
Il Vangelo di Maria Maddalena
Il Volto Verde
Psicomarte e il Cervello Emotivo
Il Perfezionamento negli Alti Gradi
Le Costellazioni: Capricorno
Libero e di Buoni Costumi
Mercurius Duplex
Convivium Gnostico Martinista
Aleister Crowley
Il Significato di Vitriolum

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lunedì 2 dicembre 2013

Carta per il XXI secolo degli ORDINI MARTINISTI



Carta per il XXI secolo degli ORDINI MARTINISTI [1]

Introduzione
Durante tutto il secolo scorso, la storia dell'Ordine e degli Ordini martinisti risulta ricca e movimentata. Se l'Ordine fondato da Papus si sviluppò in numerose ramificazioni, questa arborescenza fu il frutto del principio stesso dell'iniziazione martinista, iniziazione libera, con trasmissione, da individuo a individuo.
I circoli, gruppi, logge e ordini martinisti furono durante tutto il secolo scorso dei crogioli che permisero alle correnti illuministe, occultiste ed ermetiste di perdurare e di svilupparsi. La libertà, la tolleranza, lo spirito di ricerca che dominarono malgrado alcune inevitabili vicissitudini, il movimento martinista, permise a numerosi ricercatori di ritrovarsi, indipendentemente dai loro personali percorsi, in una vera Fratellanza sotto l'egida del Filosofo Incognito.
L'Ordine Martinista seppe anche accogliere nel suo seno altre correnti per preservarle ed aiutarle a conoscere un nuovo sviluppo.
Oggi affinchè questo spirito permanga, affinchè ciò che è vivente non si cristallizzi, vengono inscritti in questa CARTA PER IL XXI SECOLO DEGLI ORDINI MARTINISTI, i semplici principi che hanno contribuito al diffondersi del martinismo dopo il Papus.
L'adozione di questa Carta è libera, non conferisce alcun diritto, ma soltanto i doveri che scaturiscono dall'etica. Nessuno ne dovrà rendere conto, se non a se stesso e alla Provvidenza.
I - SECONDO SAINT-MARTIN
1
"La mia setta è la Provvidenza, i miei proseliti, sono io; il mio culto, è la giustizia"
"…. sono stupito che mi abbiate ritenuto così infatuato nei miei modesti meriti dall’aver potuto dare il mio nome alla mia antica scuola o a qualsiasi altra. Le istituzioni servono qualche volta a diminuire i mali dell'uomo, più spesso ad aumentarli, mai a guarirli."
"La sola iniziazione che cerco con tutto l'ardore della mia anima è quella attraverso cui possiamo entrare nel cuore di Dio e fare entrare il cuore di Dio in noi, per creare un matrimonio indissolubile, che ci renda l'amico, il fratello e lo sposo del nostro divino riparatore. Non c'è altro mistero per arrivare a questa santa iniziazione che immergerci sempre più nelle profondità del nostro essere e di non lasciare la presa fino a che non siamo pervenuti a sentire la vivente e vivificante radice, poichè allora tutti i frutti che dovevamo portare secondo la nostra specie si produrranno naturalmente in noi e fuori di noi, come vediamo accadere per i nostri alberi terrestri, perchè sono aderenti alla loro radice specifica da cui non cessano di estrarne i succhi”.
2
Louis-Claude de Saint-Martin dedicò una gran parte della sua vita agli ordini iniziatici che frequentò, non ne fondò alcuno e mantenne delle giuste riserve su tutti. Con la sua opera, diede inizio ad una corrente di pensiero illuministica-cristiana superiore ed invitò a riunirsi in fraternità di spirito. Al momento della morte, Louis-Claude de Saint-Martin "esortò tutti quelli che lo attorniavano a riporre la loro fiducia nella Provvidenza, e a vivere tra loro come fratelli secondo gli intendimenti evangelici".
II - SECONDO PAPUS
1
Papus fondò l'Ordine martinista in più riprese:
- 1884-1885: prime iniziazioni
- 1887: prima loggia
- 1887-1890: istituzione dell'Ordine martinista, creazione degli statuti e quaderni d'istruzione
- 1891: costituzione del primo Supremo Consiglio.
2
L'iniziazione del 1882 a cui fa riferimento Papus e quella che Augustin Chaboseau situa per quanto lo concerne nel 1886, iniziazioni che si sono reciprocamente trasmesse nel 1888, rimangono incerte nella loro natura ed in quanto alle circostanze. Rivestono una forma diversa ed affatto rituale. E' l'iniziazione di Papus, non di Papus-Chaboseau, che costituisce dalla fondazione dell'Ordine Martinista, l'iniziazione " martinista".
III -SECONDO L'ORDINE
1
Papus ha concepito e definito l'Ordine martinista sia come un Ordine iniziatico quanto come una scuola di cavalleria morale[2] e occultismo cristiano.
Il cristianesimo dell'Ordine martinista è caratterizzato sia dalla dottrina della Reintegrazione universale di Martines de Pasqually, quanto dalla via cardiaca di trasmutazione interiore di Saint-Martin, e l'occultismo è " l'insieme delle dottrine e delle pratiche basate sulla teoria secondo la quale ogni cosa appartiene ad un insieme unico e possiede con ogni altro elemento di questo insieme dei rapporti necessari, intenzionali, non-temporali, e non spaziali"[3], teoria detta delle corrispondenze.
2
Papus e i Compagni della Ierofania furono animati dallo spirito di ricerca, trovando nella speculazione non dogmatica le sue basi come i suoi esiti nell’operatività.
3
Fedele al suo titolo, l'Ordine Martinista si propone principalmente di studiare ed applicare l'insegnamento originale di Louis-Claude de Saint-Martin e di comprendere l'influenza dei suoi primi maestri, Martinès de Pasqually e di Jacob Bohme, sulla sua dottrina[4].
a) Prima conseguenza: l'Ordine Martinista è legato alla semplicità delle forme rituali, di cui l'Ordine Martinista primitivo dà l'esempio.
b) Seconda conseguenza: La fraternità ed il compagnonaggio sono al centro dell'esperienza martinista: "Non fatevi chiamare Maestro. Poichè non avete che un solo Maestro; e voi siete tutti fratelli"[5].
c) Terza conseguenza. Un Ordine Martinista è indipendente da ogni Chiesa come da ogni altro ordine iniziatico; i membri restano liberi di stabilire tutte le appartenenze compatibili nello spirito. Le equivalenze entro i gradi dell'Ordine Martinista e quelle di altri ordini iniziatici sono esistite. Esse sono prive di senso iniziatico.
d) Quarta conseguenza. L'Ordine Martinista invita i suoi membri a impegnarsi sul cammino della Reintegrazione. Ciò sottintende che li prepara a liberarsi da tutte le forme d'alienazione compresa l'appartenenza agli ordini iniziatici tra cui l'Ordine Martinista.

IV- DELLA FRATERNITA’
1
Dopo la morte del Papus l'Ordine Martinista si ramifica ed il processo non si è mai interrotto. Qualsiasi controversia tra Ordini Martinisti circa la precedenza dell'uno sispetto agli altri è sconveniente, con riserva che ogni Ordine qualificato come Martinista aderisca ai principi generali sopra enunciati. Tra gli Ordini Martinisti come tra i membri di ciascun Ordine Martinista, la fraternità è la regola e la concorrenza non è ammissibile che sotto il profilo delle virtù.
2
Dispensando gli Ordini Martinisti la stessa iniziazione, un membro di qualsiasi Ordine Martinista può e deve essere accolto come visitatore in una tornata condotta sotto gli auspici di un altro Ordine Martinista.
[1] Ordine Martinista significa ogni Ordine detto martinista, qualunque sia la sua qualificazione sussidiaria.
[2] Papus, Martinezismo, Willermozismo, Martinismo e Massoneria, Paris, Chamuel, 1899.
[3] Definizione di Robert Amadou, L’Occultisme, esquisse d’un monde vivat, Saint Jean de la Ruelle, Editions Chanteloup, 1987.
[4] “E’ a Martines de Pasqually che devo la mia entrata nelle verità superiori. E a Jacob Böhme che devo i passi più importanti che abbia fatto in quelle verità”  - Saint Martin, Portrait, n° 418.
[5] Mt. XXIII, 8.

venerdì 29 novembre 2013

Preghiera a Iod-He-Shin-Vav-He




Martinismo Russo 1758

Preghiera a Iod-He-Shin-Vav-He

Grande Artefice dei Mondi, ascoltaci!
Noi commettiamo errori con il pensiero, con la parola, con le azioni, perdonaci!
Abbiamo cuore, mente e anima deboli, fortificaci!
Insegnaci a pregare con la preghiera che ci unisce con la Divinità,
Insegnaci la fede che può fare miracoli,
Insegnaci l’amore che abbraccia tutto ciò che esiste,
Insegnaci un sacrificio gioioso nel Tuo Nome,
Infondi la pace nell’animo di tutti i nostri Fratelli,
Illumina con il Tuo Amore, tutte le creature della terra.
Raggio di Sole della Divinità, Iod-He-Vav-He, illumina con la Tua
Benedizione tutte le creature esistenti nei diversi piani e sfere dell’universo.
Illumina con la Tua Benedizione tutti i piani della scala mistica, Dal piano
degli Angeli Caduti, al piano dei Maestri Splendenti.
Signore Nostro Iod-He-Shin-Vav-He sia fatta la Tua Volontà su di noi.


www.martinismo.net

venerdì 15 novembre 2013

Corrispondenze sull'Albero della Vita - Francesco Brunelli

I Sephiroth sono connessi da 22 «Sentieri», e sono designati dalle 22 lettere  dell'alfabeto ebraico.
I ventidue sentieri, insieme con i dieci Sephiroth, formano le «Trentadue Vie»  attraverso le quali la Sapienza discende, in stadi successivi, sull'uomo. Del pari essi  consentono all'uomo di risalire sino alla Fonte della Sapienza, percorrendo in ascesa i  ventidue Sentieri.
La seguente tabella sintetizza le relazioni sin qui esposte:



lunedì 11 novembre 2013

Stanislas de Guaita:"Note sull'Estasi



"Se dunque tu aspiri a divenire un adepto,evoca il Rivelatore che parla nell'intimo del tuo essere;imponi al tuo Me il piu'religioso silenzio affinchè il Se' si possa far sentire ed allora,immergendoti nelle profondità della tua intelligenza,ascolta la voce dell'Universale,dell'Impersonale,di cio'che gli gnostici chiamano l'Abisso...
Ma bisogna essere preparati,e l'ufficio dell'Iniziatore umano sta nel sorvegliare questa preparazione,senza la quale l'Abisso non ha che una sola voce per lo stordito evocatore,voce terribile e che ha nome Vertigine.
Riassumendo,un grande e sublime Arcano è questo che: NESSUNO PUO'CONDURRE A PERFEZIONE LA PROPRIA INIZIAZIONE SE NON PER LA RIVELAZIONE DIRETTA DELLO SPIRITO UNIVERSALE,COLLETTIVO,CHE E'LA VOCE CHE PARLA AL DI DENTRO.
E'desso l'unico Maestro,il necessario Guru delle supreme iniziazioni. Noi conosciamo le diverse maniere d'entrare in rapporto con Lui e cioe': di andarlo a cercare,di farlo venire,di lasciarlo venire,di darsi a lui,o di prendere parte alla sua sovranità" 

(Stanislas de Guaita:"Note sull'Estasi").

Convivium Gnostico Martinista - PISA -




09 Novembre 2013



Nella città di Pisa viene affiliata al Convivum Gnostico Martinista  la loggia Il SESTANTE regolarmente e tradizionalmente costituita.

Il Convivum Gnostico Martinista è aperto a tutti i fratelli e le sorelle che intendono camminare lungo un percorso iniziatico tradizionale, teso alla reintegrazione dell'uomo nell'uomo, e dell'uomo nel Divino. Questo percorso di conoscenza interiore viene coadiuvato dagli  strumenti, l'arte e la scienza che il Convivum trasmette, e che hanno come radice gli insegnamenti del maestro  Louis Claude de Saint Martin, la Cabala Cristiana, e lo Gnosticismo.

Viene quindi richiesto a coloro che intendono associarsi al Convivum Gnostico Martinista, il sigillo del battesimo, il riconoscersi all'interno di un sistema filosofico e spirituale cristiano, e la volontà di operare tramite strumenti a tale perimetro riconducibili.

Che le parole del nostro Venerato Maestro siano sempre presente nei nostri cuori:

“Di questo  fuoco sacro, Egli invia in tutte le facoltà del nostro essere simili emanazioni che a loro volta, ripetendo incessantemente la loro azione in tutto ciò che ci compone, moltiplicano così continuamente la nostra attività spirituale, le nostre virtù e le nostre luci. Ecco perché è così utile elevargli un tempio nel nostro cuore. Oh uomini di desiderio! Uniamoci per contemplare in un santo tremore l’estensione dell’amore, delle misericordie e delle potenze del nostro Dio. “

 Louis Claude de Saint Martin

martedì 5 novembre 2013

La Regola di Willermoz completa in 9 punti (1782)

Prologo

O TU che stai per essere iniziato alle lezioni della saggezza! Figlio della virtù e dell’amicizia! Presta alle nostre parole un orecchio attento, e che la tua anima si apra ai precetti virili della verità! Ti insegneremo la strada che conduce ad una vita felice; ti insegneremo ad essere gradito al tuo Autore ed a sviluppare, con energia e successo, tutti i mezzi che la Provvidenza ti confidò per renderti utile agli uomini ed assaporare le delizie della beneficenza.

Art. I – DOVERI VERSO DIO E LA RELIGIONE
1. – Il tuo primo ossequio appartiene alla divinità. Adora l’Essere pieno di maestà che creò l’universo con un atto della sua volontà, che lo conserva per effetto della sua azione continua, che riempie il tuo cuore, ma che il tuo spirito limitato non può concepire, né definire. Compiangi il triste delirio di colui che chiude i suoi occhi alla luce e vaga nelle spesse tenebre del caso: che il tuo cuore, intenerito e riconoscente dei paterni benefici del tuo Dio, rigetti con disprezzo quei vani sofismi, che provano la degradazione dello spirito umano quando s’allontana dalla sua fonte. Eleva spesso la tua anima al di sopra degli esseri materiali che ti circondano e lancia uno sguardo pieno di desiderio nelle regioni superiori, che sono la tua eredità e la tua vera patria. Fai a questo dio il sacrificio della tua volontà e dei tuoi desideri, renditi degno dei suoi influssi vivificanti, adempi le leggi che ha voluto che tu compissi come uomo nel tuo percorso terreno. Essere gradito al tuo Dio, ecco la tua fortuna; essere per sempre riunito Lui, ecco tutta la tua ambizione, la bussola delle tue azioni.
2. – Ma come oserai sostenere i suoi sguardi, essere fragile! che trasgredisce ad ogni istante le sue leggi ed offende la sua santità, se la sua paterna bontà non ti avesse procurato un Riparatore infinito? Abbandonato agli smarrimenti della tua ragione, dove troverai la certezza di un consolante avvenire? Consegnato alla giustizia del tuo Dio, dove troveresti rifugio? Rendi dunque grazia al tuo Redentore; prosternati davanti al Verbo incarnato e benedici la Provvidenza che ti ha fatto nascere tra i cristiani. Professa in ogni luogo lo splendore dell’Altissimo e non arrossire mai di appartenergli. La sua Legge è la base dei nostri obblighi; se tu non vi credessi, cesseresti di essere un Templare. Comunica in tutte le tue azioni una pietà illuminata ed attiva, senza ipocrisia, senza fanatismo; il Templare non si limita a verità speculative: pratica tutti i doveri morali che insegna e sarai felice; i tuoi contemporanei ti benediranno e comparirai sereno davanti al trono dell’Eterno.
3. – Soprattutto, compenetrati di questo principio di carità e d’amore, base di questa spiritualità: compiangi l’errore senza odiarlo e senza perseguitarlo; lascia soltanto a Dio la cura di giudicare, ed accontentati di amare e di tollerare. Massoni! Figli di uno stesso Dio, che questo legame d’amore ci unisca strettamente e faccia scomparire ogni pregiudizio contrario alla nostra fraterna concordia.

Art. II – IMMORTALITA’ DELL’ANIMA

1. – UOMO! Re del mondo! Figlio di Dio e dio tu stesso! Capolavoro della vita che Dio animò col suo soffio! Medita il tuo sublime destino. Tutto ciò che vegeta intorno a te e non ha che una vita animale, perisce con il tempo ed è sottomesso al tuo dominio; la tua anima immortale soltanto, emanata dal seno della Divinità, sopravvive alle cose materiali e non perirà affatto. Ecco il tuo vero titolo di nobiltà; senti vivamente la tua fortuna, ma senza orgoglio; questo perse la tua razza e ti riporterebbe nell’abisso. Essere degradato! malgrado la tua grandezza primitiva e relativa, cosa sei al cospetto dell’Eterno? Adoralo nella polvere e separa con cura questo principio celeste ed indistruttibile da leghe aliene; educa la tua anima immortale e perfettibile, e rendila suscettibile di essere riunita alla fonte pura del bene, quando sarà liberata dai vapori grossolani della materia. È così che sarai libero anche se in catene, felice anche nella sventura, incrollabile negli uragani e morirai senza terrore.

2. – Templare! Se mai tu potessi dubitare della natura immortale della tua anima e del tuo alto destino, l’iniziazione sarebbe senza frutti per te; cesseresti di essere il figlio adottivo della saggezza e saresti confuso nella folla degli esseri materiali e profani che brancolano nelle tenebre.


Art. III – DOVERI VERSO LO STATO E VERSO LA PATRIA

1. – L’Essere supremo confidò in maniera più positiva i suoi poteri sulla terra ai reggitori dello Stato; rispetta e gradisci la loro legittima autorità nell’angolo della terra che abiti; il tuo primo ossequio appartiene a Dio; il secondo alla Patria.
L’Uomo errante nei boschi, senza cultura ed evitando i suoi simili, sarebbe poco adatto a compiere i disegni della Provvidenza, e ad afferrare tutto l’insieme della fortuna che gli è riservata. Il suo essere cresce in mezzo ai suoi simili; il suo spirito si fortifica nel conflitto di opinioni; ma una volta riunito in società, dovrebbe lottare senza tregua contro l’interesse personale e le passioni disordinate, e ben presto l’innocenza soccomberebbe sotto la sua forza o la sua astuzia. Occorsero dunque delle leggi per guidarlo e dei capi per mantenerle.

2. – UOMO sensibile! tu riverisci i tuoi genitori; onora allo stesso modo i padri dello Stato e prega per la loro conservazione; essi sono i rappresentanti della Divinità su questa terra. Se fuorviano, ne risponderanno al Giudice Supremo; ma la tua opinione potrebbe trarti in inganno e mai dispensarti dall’obbedire. Se tu venissi meno a questo sacro dovere, se il tuo cuore non trasalisse più al dolce nome della Patria, i templari ti ricaccerebbero dal loro seno come refrattario all’ordine pubblico, come indegno di partecipare ai vantaggi di un’associazione che merita la fiducia e la stima dei governi, in quanto uno dei suoi principali moventi è il patriottismo e che, gelosa di formare i migliori cittadini, esige che i suoi figli adempiano, con il maggior impegno e purezza d’intenti, tutti i doveri del loro stato civile. Il guerriero più coraggioso, il giudice più integro, il maestro più dolce, il servo più fedele, il padre più tenero, lo sposo più costante, il figlio più sottomesso deve essere il Templare, poiché i doveri ordinari e comuni del cittadino sono stati santificati e rafforzati dalle sue promesse libere e volontarie e che disattendendoli unirebbe alla debolezza l’ipocrisia e lo spergiuro.

Art. IV – DOVERI VERSO L’UMANITÀ IN GENERALE

1. – Ma se il circolo patriottico che ti apre una carriera così feconda e soddisfacente non riempie ancora tutta la tua attività; se il tuo cuore sensibile vuole varcare i limiti degli imperi ed infiammare di questo fuoco elettrico dell’umanità tutti gli uomini, tutte le nazioni; se, risalendo alla fonte comune, gradisci amare teneramente tutti quelli che hanno gli stessi organi, lo stesso bisogno di amare, lo stesso desiderio di essere utile ed un’anima immortale come te, vieni allora nei nostri templi ad offrire i tuoi omaggi alla santa umanità; l’universo è la patria del massone e nulla di ciò che concerne l’uomo gli è estraneo.

2. – Osserva con rispetto questo edificio maestoso, destinato a stringere i legami troppo rilassati della morale; ama teneramente un’associazione generale di anime virtuose, capaci di esaltarsi, diffusa in tutti i paesi, dove la ragione e le luci sono penetrate, riunita sotto il santo vessillo dell’umanità, retta da leggi semplici ed uniformi. Senti infine lo scopo sublime del nostro santo Ordine; consacra la tua attività e tutta la tua vita alla beneficenza; nobilita, epura e fortifica questa generosa risoluzione lavorando senza tregua alla tua perfezione, riunendoti più intimamente alla Divinità.

Art. V – BENEFICENZA

1. – Crea ad immagine di Dio che si è degnato di rivelarsi agli uomini e spargere su di loro la felicità; accostati a questo modello infinito con la volontà costante di versare incessantemente sugli altri uomini tutta la quantità di felicità che è in tuo potere; tutto ciò che lo spirito può concepire di bene è il patrimonio del massone.

2. – Osserva la miseria impotente dell’infanzia, essa reclama il tuo appoggio; considera l’inesperienza funesta della gioventù, essa sollecita i tuoi consigli; poni la tua felicità a preservarla dagli errori e dalle seduzioni che la minacciano; eccita in lei le scintille del fuoco sacro del genio, aiutala a svilupparle per il bene del mondo.

3. – Ogni essere che soffre o geme ha dei sacri diritti su di te; guardati dal misconoscerli, non aspettare che il grido penetrante della miseria ti solleciti; previeni e rassicura lo sventurato timido; non avvelenare, con l’ostentazione dei tuoi doni, le fonti di acqua viva dove lo sfortunato deve dissetarsi; non cercare la ricompensa per la tua beneficenza nei vani applausi della moltitudine; il massone la trova nella quieta approvazione della sua coscienza e nel sorriso fortificante della Divinità, sotto i cui occhi è sempre posto.

4. – Se la Provvidenza liberale ti ha accordato del superfluo, guardati dal farne un uso frivolo e criminale; essa volle che, con un impulso libero e spontaneo della tua anima generosa, tu rendessi meno sensibile la distribuzione ineguale dei beni, che era nei suoi piani; godi di questa bella prerogativa. Che mai l’avarizia, la più sordida delle passioni, avvilisca il tuo carattere, e che il tuo cuore si sottragga ai calcoli freddi ed aridi che suggerisce. Se mai dovesse inaridirsi al suo soffio tetro ed interessato, evita le nostre officine di carità; sarebbero prive di attrattive per te e non potremmo più riconoscere in te l’antica immagine della Divinità.

5. – Che la tua beneficenza sia illuminata dalla religione, dalla saggezza e dalla prudenza; il tuo cuore vorrebbe abbracciare i bisogni dell’umanità, ma il tuo spirito deve scegliere i più pressanti ed i più importanti. Istruisci, consiglia, proteggi, dona, dà sollievo a seconda dei casi; non ritenere mai di aver fatto abbastanza e non riposarti per le tue opere che per trarre nuove energie. Dedicandoti così agli slanci di questa sublime passione, una fonte inesauribile di gioie si prepara per te: avrai su questa terra l’anticipo della felicità celeste, la tua anima crescerà e tutti gli istanti della tua vita saranno riempiti.

6. – Quando infine senti i limiti della tua natura finita, e che non potendo essere sufficiente da solo a compiere il bene che vorresti fare, la tua anima si rattrista, vieni nei nostri templi; osserva l’insieme sacro dei benefici che ci unisce e concorrenti efficacemente, secondo tutte le tue facoltà, ai piani ed agli impieghi utili che l’associazione massonica ti presenta e che realizza, rallegrati di essere cittadino di questo mondo migliore; assapora i dolci frutti delle nostre forze combinate e concentrate per uno stesso obiettivo; allora le tue risorse si moltiplicheranno, aiuterai a fare mille felici invece di uno ed i tuoi voti saranno coronati.

Art. VI – ALTRI DOVERI MORALI VERSO GLI UOMINI

1. – Ama il tuo prossimo come te stesso e non fargli mai ciò che non vorresti si faccia a te. Serviti del sublime dono della parola, segno esteriore del tuo dominio sulla natura, per prevenire i bisogni altrui e per stimolare in tutti i cuori il fuoco sacro della virtù. Sii affabile e servizievole, edifica con l’esempio; condividi l’altrui felicità senza gelosia. Non permettere mai all’invidia di sorgere neanche per un istante nel tuo seno, essa turberebbe la fonte pura della tua felicità e la tua anima sarebbe in preda alla più cupa delle furie.

2. – Perdona al tuo nemico; non vendicartene che con opere buone; questo generoso sacrificio, di cui dobbiamo il sublime precetto alla religione, ti procurerà i piaceri più puri e più deliziosi; ritornerai l’immagine della Divinità che perdona con una bontà celeste le offese dell’uomo, e lo colma di grazie malgrado la sua ingratitudine. Ricordati dunque sempre che questo è il trionfo più bello, che la ragione prevalga sull’istinto, e che il massone dimentichi le ingiurie, ma mai i benefici.

Art. VII – PERFEZIONE MORALE DI SE STESSI

1. – Dedicandoti così all’altrui bene, non dimenticare il tuo perfezionamento e non trascurare di soddisfare i bisogni della tua anima immortale. Discendi spesso nel tuo cuore, per sondarne le pieghe più nascoste. La conoscenza di se stessi è il grande cardine dei precetti massonici. La tua anima è la pietra grezza che occorre sgrossare; offri alla Divinità l’omaggio delle tue inclinazioni regolate, delle tue passioni vinte.

2. – Che i costumi casti e severi siano tuoi compagni inseparabili e ti rendano rispettabile agli occhi dei profani; che la tua anima sia pura, retta, schietta ed umile. L’orgoglio è il nemico più pericoloso dell’uomo, lo mantiene nell’illusoria fiducia nelle sue forze. Non considerare il punto in cui sei giunto, rallenterebbe il tuo cammino; proponiti quello dove devi arrivare; la breve durata del tuo passaggio ti lascia appena la speranza di giungervi: togli al tuo amor proprio il pericoloso alimento del confronto con quelli che ti sono dietro; ascolta piuttosto lo stimolo di un’emulazione virtuosa, guardando dei modelli più compiuti davanti a te.

3. – Che la tua bocca non alteri mai i segreti pensieri del tuo cuore, che essa ne sia sempre l’organo schietto e fedele; un massone che si spogliasse del candore per assumere la maschera dell’ipocrisia e dell’artificio, sarebbe indegno di abitare con noi e, seminando la diffidenza e la discordia nei nostri quieti templi, ne diventerebbe ben presto l’orrore ed il flagello.

4. – Che la sublime idea dell’onnipresenza di Dio ti fortifichi, ti sostenga; rinnova ogni mattina la promessa di diventare migliore; veglia e prega; e quando sul far della sera il tuo cuore soddisfatto ti ricorda una buona azione o qualche vittoria ottenuta su te stesso, soltanto allora riposa tranquillamente nel seno della Provvidenza e riacquista nuove forze.

5. – Studia infine il senso dei simboli e degli emblemi che l’Ordine ti presenta. La Natura stessa vela la maggior parte dei suoi segreti; non vuole essere osservata, confrontata e spesso sorpresa nei suoi effetti. Di tutte le scienze di cui il vasto campo presenta i risultati più felici all’operosità dell’uomo ed a vantaggio della società, quella che ti insegnerà i rapporti tra Dio, l’universo e te, colmerà i desideri della tua anima celeste e ti insegnerà ad adempiere meglio ai tuoi doveri.

Art. VIII – DOVERI VERSO I FRATELLI

1. – Nella folla immensa di esseri di cui questo universo è popolato, hai scelto, con un voto libero, i Templari come tuoi fratelli. Non dimenticare dunque mai che ogni Templare, di qualunque, paese o condizione sia, presentandoti la sua mano destra, simbolo di sincera fratellanza, ha dei sacri diritti sulla tua assistenza e la tua amicizia. Fedele al voto della natura, che fu l’uguaglianza, il massone ristabilisce nei suoi templi i diritti originari della famiglia umana; non sacrifica mai ai pregiudizi popolari ed il livello sacro assimila qui tutti gli stati. Rispetta nella società civile le distanze stabilite o tollerate dalla Provvidenza; ve ne sarebbero tante da abolire e misconoscere. Ma guardati soprattutto dallo stabilire tra noi delle distinzioni fittizie che disapproviamo; lascia i tuoi gradi e le tue decorazioni profane sull’uscio e non entrare che con la scorta delle tue virtù. Qualunque sia il tuo rango nel mondo, cedi il passo nelle nostre Logge al più virtuoso, al più illuminato.

2. – Non arrossire mai in pubblico di un uomo oscuro, ma onesto, che nei nostri consessi hai abbracciato come fratello qualche istante prima; l’Ordine arrossirebbe di te a sua volta e ti caccerebbe, con il tuo orgoglio, per esporlo sulle scene profane del mondo. Se tuo fratello è in pericolo, vola in suo soccorso e non temere di esporre la tua vita per lui. Se si trova nel bisogno, versa su di lui i tuoi tesori e rallegrati di poterne fare un uso così soddisfacente; hai giurato di esercitare la beneficenza verso gli uomini in generale, la devi preferibilmente al tuo fratello che geme. Se è nell’errore e si svia, va da lui con le luci del sentimento, della ragione, della persuasione. Riconduci alla virtù gli esseri che vacillano, e rialza quelli che sono caduti.

3. – Se il tuo cuore ulcerato da offese vere o immaginarie nutrisse qualche segreta inimicizia verso uno dei tuoi fratelli, dissipa all’istante la nube che si alza; chiama in tuo aiuto qualche arbitro disinteressato; richiedi la sua fraterna mediazione; ma non oltrepassare mai la soglia del tempio prima di aver riposto ogni sentimento di odio e di vendetta. Invocherai invano il nome dell’Eterno, perché si degni di abitare nei nostri templi, se non sono purificati dalle virtù dei fratelli e santificati dalla loro concordia.

Art. IX – DOVERI VERSO L’ORDINE

1. – Quando infine tu fossi ammesso alla partecipazione dei vantaggi che derivano dall’Ordine, abbandonerai, in tacito scambio di una parte della tua naturale libertà; adempi dunque rigorosamente gli obblighi morali che t’impone, conformati ai suoi saggi regolamenti e rispetta quelli che la pubblica fiducia ha designati per essere i guardiani delle leggi e gli interpreti del voto generale. La tua volontà nell’Ordine è sottomessa a quella della legge e dei superiori; saresti un cattivo fratello se non riconoscessi questa subordinazione necessaria in qualsiasi società e la nostra sarebbe costretta ad escluderti dal suo seno.

CONCLUSIONE

Se le lezioni che l’Ordine ti rivolge, per facilitare il tuo cammino di verità e di felicità, si imprimono profondamente nella tua anima docile ed aperta alle sensazioni della virtù; se le massime salutari, che impronteranno per così dire ogni passo che farai nel percorso massonico, diventano i tuoi stessi principi e la regola immutevole delle tue azioni; o fratello mio, quale sarà la nostra gioia! compirai il tuo sublime destino, ricoprirai quella somiglianza divina che fu l’eredità dell’uomo nel suo stato di innocenza, che è il fine del cristianesimo e di cui l’Iniziazione massonica fa il suo oggetto principale; ritornerai la creatura teneramente amata dal Cielo: le sue feconde benedizioni si tratterranno su di te; e meritando il titolo glorioso di consacrato, sempre libero, felice e costante, camminerai su questa terra alla stregua dei re, il benefattore degli uomini ed il modello dei tuoi fratelli.

martedì 15 ottobre 2013

La Preghiera dell'Iniziato



Verità eterna, tu mi circondi con i tuoi raggi, ma delle ombre scure s’alzano incessantemente dalla mia anima e m’impediscono di elevare il mio sguardo fino a te.
Tutti i giorni, alla sera e a mezzanotte, al mattino e a mezzogiorno, io t’invoco con ardore. I miei sforzi sono inutili e vani. Lo spesso velo delle mie affezioni materiali mi toglie la vista della tua luce.
Le immagini degli oggetti ai quali ho consegnato i miei sensi si mettono in massa tra la tua azione benedetta ed i deboli sforzi della mia volontà; esse mi smarriscono e mi trascinano con le loro illusioni ingannevoli. Tu mi sfuggi e perdo la speranza di raggiungerti.
O Verità senza la quale il mio essere non è niente, non cesserò d’invocarti. Finché non avrai esaudito il mio desiderio, i miei voti saranno la mia unica esistenza. Ascolta la mia voce, vieni ad azionare colui che ti chiama con tanto ardore. Io abiuro l’amore degli oggetti sensibili; è solo te che voglio amare e contemplare per sempre come mia unica vita. Poiché tu sei la vita dell’uomo, e so con certezza che il mio destino è di vivere sempre in te e con te.

Jean-Baptiste Willermoz

mercoledì 21 agosto 2013

Aforismi di Eliphas Lévi




"I Tarocchi sono una macchina filosofica, che evita alla mente di divagare, pur lasciandole iniziativa e libertà; si tratta di matematica applicata all'assoluto, l'unione di ciò che è logico con ciò che è ideale, come una combinazione di pensieri esatti tanto quanto i numeri, forse la concezione più semplice e più grande del genio umano."


"Una volontà lucida può agire sulla massa della luce astrale e, col concorso di altre volontà che essa assorbe e seco trascina, determinare grandi e irresistibili correnti..."

"È una fatica di Ercole che assomiglia ad un gioco da bambini" dicono i maestri della santa scienza

"Ogni intenzione, che non si manifesta per mezzo di atti, è una vana intenzione, e la parola che la esprime una parola inutile; è l'azione che dà la prova della vita ed è pure l'azione che prova e dimostra la volontà"

"Il Grande Maestro ha dunque rivelato un mistero della scienza magica positiva quando ha detto: Volete accumulare carboni ardenti sul capo di chi vi ha fatto del male? Perdonategli e fategli del bene!..."

"Chi si dedica alle opere della scienza deve giornalmente muoversi con moderazione, astenersi dalle veglie troppo prolungate e seguire un regime sano e regolare...deve soprattutto distrarsi tutti i giorni dalle preoccupazioni magiche con occupazioni materiali o lavorando sia in arte sia nell'industria, sia anche ad un mestiere. Mezzo per ben vedere è quello di non guardare sempre, e chi passasse tutta la sua vita a mirare sempre allo stesso scopo finirebbe per non mai raggiungerlo."

mercoledì 14 agosto 2013

Il Pantacolo Martinista


Il Pantacolo Martinista



Su tutti i documenti dell’Ordine Martinista, è stampato il Pentacolo Universale che confonde continuamente il profano che molto spesso lo scambia per la Stella di David.

Dio, il Principio Primo dell’Universo è rappresentato da un circolo, simbolo dell’eternità. L’effetto di eternità, passante dal potere latente all’azione, è simbolizzato dalla relazione mistica fra il centro e la circonferenza; è il Raggio proiettato sei volte all’interno del cerchio… che produce l’esagono..simbolo dei sei periodi di creazione.

Il Punto centrale forma il settimo periodo, quello del Riposo.E’ tra queste emanazioni creative (eoni) che la Natura evolve attraverso le sue due grandi correnti di Involuzione (triangolo nero discendente) ed Evoluzione (triangolo bianco ascendente)

Osserviamo che la Natura, simbolizzata dal Sigillo di Salomone, non arriva a Dio, ma solo alle forze creative da Lui emanate. Dal Centro dell’Universo a Dio stesso (Circolo) nasce il potere dell’uomo, unendo gli effetti della Divinità al fatalismo della Natura nell’Unità della sua libera volontà simbolizzata da un quaternario (la croce). Questa croce immagine dell’uomo, unisce il centro dell’Universo (l’Anima Umana) a Dio Stesso. Essa esprime l’opposizione alla forza della dualità da cui nasce la quintessenza. E’ l’immagine dell’azione dell’attivo sopra il passivo…lo spirito sopra la materia.

La linea verticale simbolizza l’Attivo; la linea orizzontale rappresenta il Passivo.
Il triangolo con la punta in alto rappresentante  tutto ciò che ascende, è in particolare il simbolo del fuoco, del calore. Quello con la punta in basso rappresenta ciò che discende ed è in particolare il simbolo dell’acqua, dell’umido. L’unione dei due triangoli rappresenta la combinazione di caldo e umido; del sole e della luna. Simbolizza il principio di creazione, la propagazione dal cielo alla terra. Questa figura (il Sigillo di Salomone) da la spiegazione delle parole di Hermes nella Tavola di Smeraldo: “ Esso sale dalla terra al cielo e, viceversa discende sulla terra e riceve  la forza delle cose inferiori e superiori”.

Sul Pantacolo Martinista, così, concludeva il  Papus: “ è la spiegazione della più completa figura di sintesi che il Genio umano abbia mai scoperto. Esso rivela TUTTI i misteri della Natura.  E’ applicabile nella fisica così come nella metafisica, nelle scienze naturali come in teologia. E’ il Sigillo che unisce la ragione alla fede, il materialismo allo spiritualismo, la religione alla scienza.”
Per quanto riguarda il Sigillo di Salomone con la Stella a Sei Punte, che è parte integrante del Pentacolo Martinista, Papus e Teder spiegano come segue:

“ Il Sigillo di Salomone rappresenta l’Universo ed i suoi due Ternari…Dio e Natura.
Per questa ragione viene chiamato “simbolo del Macrocosmo o Mondo Grandioso”, in opposizione alla Stella a Cinque Punte che è il simbolo del “microcosmo” o “piccolo mondo” o “Uomo”. La Stella di Salomone è composta da due triangoli; quello con la punta verso l’alto rappresenta tutto ciò che sale. Esso simbolizza il fuoco ed il calore. Psichicamente corrisponde alle aspirazioni dell’uomo che si innalza verso il suo creatore; materialmente  l’evoluzione delle forze psichiche dal centro della terra al nostro sistema terrestre, il sole. In una parola esprime il ritorno naturale di moralità e psichismo  al principio da cui essi emanano. Il triangolo con la punta verso il basso rappresenta tutto ciò che discende; esso è il simbolo ermetico dell’acqua e dell’umidità. Nel mondo spirituale simbolizza l’azione della Divinità sulle sue creature; nel mondo fisico rappresenta la corrente involutiva che parte dal sole, centro del nostro sistema terrestre ed arriva al centro della terra. Uniti, questi due triangoli esprimono non solo la legge di equilibrio ma anche l’attività  eterna di Dio e l’Universo. Essi rappresentano il movimento perpetuo, la costante generazione e ri-generazione attraverso il fuoco e l’acqua.
In altre parole “la putrefazione” termine usato nel passato al posto di quello più scientifico di “fermentazione”.

Il Sigillo di Salomone è allora la perfetta immagine della creazione e secondo Papus e Teder è con questo significato che Louis Claude de Saint-Martin lo ha incluso nel suo Pentacolo Universale.




[1]    Non riusciamo a trovare la fonte originale di questo lavoro sul web. All'autore sarà sufficiente scriverci una mail e provvederemo celermente a citarlo dandogli il rilievo che merita.

martedì 13 agosto 2013

PAPUS MISTICO CRISTIANO - di Phaneg

Arriviamo ai giorni ove la Chiesa visibile riprende le sue forze spirituali nella Comunione della Chiesa Invisibile del Cristo, ove la pietà dei vivi depone un fiore sulla tomba dei morti alla Terra… Che mi sia permesso di far fiorire, anch’io, il ricordo di un grande dimenticato: il dottor Papus. Che il suo Spirito , sempre vicino a noi, seguendo il suo cammino, accolga questo omaggio, con il sorriso indulgente che metteva una tempo un bagliore nel suo profondo sguardo a ognuna delle nostre domande d’ardenti ricercatori della Verità.

E qual più bel fiore potrò offrirgli che far rivivere per un istante, per tutti quelli che egli aiutò e che guardano ancora, nel fondo dei loro stessi ricordi, il vero amore che la nostra guida aveva per il Signore Gesù? Il Cristo è diventato per la gran parte dei più vecchi allievi di Papus, il fine definitivo dei loro sforzi, ma molti sembrano aver dimenticato che è lui che mostra loro per primo il divino splendore del Crocifisso. È per questo che io sono felice di rendere al mio Maestro questo omaggio pubblico e di piacere agli occhi dei lettori di Psyché. Questi due o tre passaggi dove Papus lascia intravedere a tutti che l’occulto lo condusse alla mistica e quanto profondamente egli comprese, che in Gesù solo si trova la Vera Luce, e nel suo Amore la Sola Via. Un pensiero tenero, uno slancio di riconoscenza, caro amico sconosciuto, e lo Spirito di Papus ne sarà fortificato. Papus ci disse:
“la prima via dell’illuminazione è la più rara: è quella che è seguita fino che l’Invisibile agisce direttamente sull’essere di sua scelta, senza che colui lo domandi o lo attenda. Il caso di Swedenborg e quello di Giovanna d’Arco sono tipici a questo soggetto. Dopo il primo choc stabilente i rapporti tra i due piani, la comunicazione si fa semplicemente, ma sempre sotto la direzione dell’Invisibile e senza che il soggetto perda, anche per un secondo, il controllo delle sue facoltà.
L’altra via dell’illuminazione è più facile, in quanto questa può essere seguita con metodo, sia solo, sia sotto la direzione dei maestri viventi. Quando diciamo più facile noi dovremmo aggiungere “d’accesso” poiché, come tutta la via mistica, essa è riempita di prove, d’umiliazioni, di sacrifici costanti che scoraggiano anche i più zelanti all’inizio. La storia degli amici di Gitchel è luminosa a questo punto di vista. Loro erano venti prima di decidere di fare di tutto per seguire questa via e, alle prime prove di rovina dei soldi, di salute e di perdita di speranze, diciannove lasciarono; Gitchel restò solo e arrivò alla fine.
Molte fraternità iniziatiche conducono i loro membri verso questa via. Si comincia per la purificazione corporale a mezzo del regime, in generale vegetariano, e la forza mentale. Là vi è questo piccolo debutto con il pericolo di egoismo che fa si che il soggetto si creda “più puro” che gli altri umani e a non voler insudiciare la sua “purezza” con delle frequentazioni astrali o fisiche di cattivo titolo. Gli sfortunati che si lanciano in queste idee si disorbitano, lasciano il piano cardiaco di Carità e Amore per il piano mentale farcito d’orgoglio e sono condotti nel soggiorno astrale ove il serpente Pantheo l’illude a sua facilità. Per un soggetto così uscito dalla via cardiaca, la ginnastica astrale è tutto, la preghiera e il piano di personalità divina non esistono affatto; poiché il suo orgoglio porta a negare tutto quello che non percepisce. È un debuttante che bisogna piangere e aiutare se possibile, senza giudicarlo, poiché è vietato giudicarlo se non si vuole esserlo noi stessi. Se si è superato questo primo passo e se si trionfa delle illusioni del serpente astrale, ciò non può essere che per il soccorso di una potenza invisibile del piano divino; chiamiamola: angelo guardiano, ricevitore di luce, inviato dalla vergine celeste o anche altrimenti. Questo importa poco; il fatto solo è interessante. La nozione della sua umiltà reale, fortificata dalla nozione esatta degli altri esseri non demonizzati come noi, spinge il soggetto a gettarsi “verso la preghiera ardente” nelle braccia del Riparatore che è tutto, poiché lui non fa nulla per trascinare e per non sparlare dei suoi poveri fratelli né a giudicarli; ancora meno a condannarli. Allora si sviluppa sia l’audizione diretta per il cuore, sia la visione diretta per la ghiandola pineale e i suoi annessi,sia il tocco a distanza per i centri del plesso solare; tutte le facoltà sconosciute dei nostri fisiologisti “del torrente” come diceva Saint Martin.”
“l’essere così sviluppato non teme di perdere la sua purezza in mezzo agli impuri. Così come il Cristo ha mostrato la via vivendo in mezzo i sofferenti e gli umili, come l’illuminato cristiano si mescola ai malati, ai disperati e ai poveri. Ed è per lo sforzo costante verso la divisione di quello che gli si è donato con quelli che non hanno niente, che si fortificano le sue aspirazioni e i suoi meriti, allo stesso tempo anche le sue facoltà. Allora la percezione delle personalità divine divengono più acute, gli avvertimenti sono costanti e il soggetto può abbandonarsi senza temere alla direzione del Padre che gli dona la vita, del Figlio che gli dona il processo intellettuale per il Verbo e per l’Amore, e dello Spirito che l’illlumina.” (Papus: vita di Louis Claude de Saint-Martin)
(…) “come riprendere la lettura dell’imitazione, del Vangelo o anche dei libri di morale buddista, come pervenire alla certezza quando vi sono là dei fatti così positivi che i fatti occulti; come infine aprire il suo essere morale alla preghiera e alle influenze dell’Alto, quando si crede qualcuno, quando ci si è fatti “centro nell’Universo”? Non vi è che una sola via: l’umiltà e il ritorno al piano di comunione universale dove la pietra, la pianta e tutte le modalità dell’anima del mondo si uniscono nello stesso e totale ringraziamento. Cessate di credervi qualcuno; abbiate il sentimento che, davanti l’immensa potenza dell’Alto, voi siete appena qualche cosa; fraternizzate con gli inferiori che soffrono, andate dietro i poveri di cuore, di spirito o di corpo, fate loro capire di benedire le prove e non più a odiare e lentamente, la vostra libera ragione , la vostra orgogliosa volontà s’inclineranno con benevolenza senza perdere nulla delle loro qualità, e la vita di cuore si sveglierà in voi. Allora, i fatti si cancellano davanti le idee che rivelano e che traducono: le divisioni delle religioni e delle sette spariranno nell’amore universale dei peccatori e dei deboli e l’anima, circondata per l’estasi e l’infinito, fa poco a poco queste basi terrestri sulle quali deve esercitare la sua attività. L’illuminato diviene un solitario, un mistico; è la via di Swedenborg e di Claude de Saint-Martin, è la strada che indicano i cavalieri spirituali di cui il Martinismo è un esempio.
Ma l’essere umano non è completo che per l’unione delle anime sorelle separate durante l’incarnazione fisica; così l’Essere spirituale non nasce nell’uomo in tutto il suo splendore che per un nuovo e più considerevole sforzo, l’uomo realizza l’unione del cervello e del cuore, del fatto e della legge per sviluppare l’unità del principio.
Questa scienza illuminata per la fede, questa fede coagulata per la Scienza, bisogna consacrarle all’elezione dei deboli e degli oppressi, e l’azione spirituale, più ancora che naturale, devono ora essere il fine di colui che aspira alle sofferenze coscienti del terzo stadio.
Sempre sconosciuto, egli deve salvare questi stessi che lo scherniscono e lo ingiuriano, egli deve evitare loro il dolore e prenderlo su di lui al bisogno. E mai si arroghi il diritto di fare sfoggio dei suoi poteri reali, egli non può dire che egli è superiore agli altri uomini, al più ignorante e al più peccatore degli uomini, poiché egli è nel piano dove tutta la superiorità è sparita davanti la necessità della devozione universale.
È la via indicata nell’ordine degli illuminati della Rosa-Croce; è la via del pneumatico ed è la strada che Gesù rivela a quelli che vogliono seguirlo. Non si raggiunge mai il sentiero dei maestri della vita e della sofferenza con il corpo astrale; solo il corpo spirituale è capace di arrivarvi.

mercoledì 31 luglio 2013

Introduzione a la Metafisica del Numero di René Guénon


Introduzione a la Metafisica del Numero 

René Guénon



Benché il presente studio sembri, almeno a prima vista, avere un carattere alquanto "speciale", ci è parso utile intraprenderlo per precisare e spiegare più completamente certe nozioni da noi richiamate nelle diverse occasioni in cui ci siamo serviti del simbolismo matematico, e questa ragione basterebbe a giustificarlo senza insistere oltre. Tuttavia, dobbiamo dire che vi si aggiungono altre ragioni secondarie, che concernono soprattutto quel che si potrebbe chiamare l'aspetto "storico" della questione; questo, in effetti, non è interamente privo di interesse per il nostro punto di vista, nel senso che tutte le discussioni che sono state sollevate sulla natura e sul valore del calcolo infinitesimale offrono un sorprendente esempio di quella assenza di principi che caratterizza le scienze profane, cioè le sole scienze che i moderni conoscono e anzi concepiscono come possibili. Abbiamo spesso fatto rilevare che la maggior parte di queste scienze, anche nella misura in cui ancora corrispondono a qualche realtà, non rappresentano nulla di più di semplici residui naturali di alcune delle antiche scienze tradizionali: è la parte più inferiore di quelle che, avendo cessato d'esser posta in relazione coi principi, e avendo perduto per ciò il suo vero significato originale, ha finito per assumere uno sviluppo indipendente e per essere ritenuta come una conoscenza sufficiente a se stessa, benché, in verità, il suo valore peculiare come conoscenza si trovi precisamente ridotto con ciò stesso quasi a nulla. La qual cosa è soprattutto evidente quando si tratta delle scienze fisiche, ma, come abbiamo già spiegato altrove (1), la stessa matematica moderna non fornisce sotto questo aspetto una eccezione, se la si confronta a quel che erano per gli antichi la scienza dei numeri e la geometria; e, quando qui parliamo degli antichi, bisogna comprendervi anche l'antichità "classica", come il minimo studio delle teorie pitagoriche e platoniche basta a dimostrare, o almeno lo dovrebbe se non si dovesse tener conto della straordinaria incomprensione di coloro che oggi pretendono di interpretarle; se questa incomprensione non fosse così completa, come si potrebbe sostenere, per esempio, l'opinione di una origine "empirica" delle scienze in questione, quando, in realtà, appaiono al contrario tanto più lontane da ogni empirismo quanto più si risalga lontano nel tempo, così come accade d'altronde per ogni altra branca della conoscenza scientifica?
I matematici, nell'epoca moderna, e più particolarmente ancora nell'epoca contemporanea, sembrano essere arrivati ad ignorare quel che è il numero veramente; e noi non intendiamo parlare sol tanto del numero preso in senso analogico e simbolico come lo intendevano i Pitagorici e i Kabbalisti, cosa che è troppo evidente, ma anche, cosa che può sembrare più strana e quasi paradossale, del numero nella sua accezione semplicemente e propriamente quantitativa. In effetti essi riducono ogni loro scienza al calcolo, secondo la più ristretta concezione che se ne possa avere, cioè considerato come un semplice insieme di procedimenti più o meno artificiali e che non valgono insomma che per le applicazioni pratiche alle quali danno luogo; in fondo, ciò significa dire che essi sostituiscono il numero con la cifra, e, del resto, questa confusione del numero con la cifra è così estesa oggi che si potrebbe facilmente ritrovarla ad ogni piè sospinto persino nelle espressioni del linguaggio corrente (2). Ora la cifra non è, in tutto rigore, niente di più che il vestito del numero; non diciamo anche il suo corpo, perché è piuttosto la forma geometrica che, sotto certi aspetti, può essere legittimamente considerata come costituente il vero corpo del numero, come dimostrano anche le teorie degli antichi sui poligoni e sui poliedri, messi in rapporto diretto con il simbolismo dei numeri; e ciò si accorda d'altronde con il fatto che ogni "incorporazione" implica necessariamente una "spazializzazione". Noi non vogliamo, tuttavia, che le cifre stesse possano dirsi segni interamente arbitrari, la cui forma non sarebbe stata determinata che dalla fantasia di uno o più individui; deve valere per i caratteri numerici ciò che vale per i caratteri alfabetici, dai quali d'altra parte i primi non si distinguono affatto in certe lingue (3), e si può applicare agli uni come agli altri la nozione di una origine geroglifica, cioè ideografica o simbolica, che vale per tutte le scritture senza eccezioni, per quanto dissimulata questa origine possa essere in certi casi dalle deformazioni o dalle alterazioni più o meno recenti.
Ciò che c'è di certo, è che i matematici impiegano nella loro notazione dei simboli di cui non conoscono più il senso, e che sono come delle vestigia di dimenticate tradizioni; e quel che è più grave, è che non solamente essi non si domandano quale possa essere questo senso, ma anche sembra che non vogliano che ve ne sia uno. In effetti, essi tendono sempre di più a considerare ogni notazione come una semplice "convenzione", con il che intendono qualche cosa che è data in maniera del tutto arbitraria, ciò che, in fondo, è una vera impossibilità, perché non si fa mai una qualsiasi convenzione senza aver qualche ragione di farla, e di fare precisamente quella piuttosto che ogni altra possibile; è soltanto a coloro che ignorano questa ragione che la convenzione può apparire arbitraria, come non è che a coloro che ignorano le cause di un avvenimento che questo può sembrare "fortuito"; è ciò che accade in questo caso, e vi si può vedere una delle conseguenze più estreme dell'assenza di ogni principio, che arriva fino a far perdere alla scienza, o alla sedicente tale, poiché allora essa non merita più veramente questo nome sotto nessun riguardo, ogni significato plausibile. D'altra parte, per il fatto stesso della concezione attuale di una scienza esclusivamente quantitativa, questo "convenzionalismo" si estende poco a poco dalla matematica alle scienze fisiche nelle loro teorie più recenti, che così si allontanano sempre più dalla realtà che pretendono di spiegare; abbiamo insistito su ciò sufficientemente in un'altra opera e ci dispensiamo dal parlarne ancora, tanto più che è della sola matematica che ora ci dobbiamo occupare più particolarmente. Sotto questo punto di vista, aggiungeremo soltanto che, quando si perde così completamente di vista il senso di una notazione, è poi facilissimo passare dall'uso legittimo e valido di quella ad un uso illegittimo, che non corrisponde più effettivamente a nulla, e che può anche essere talvolta del tutto illogico; ciò può sembrare abbastanza straordinario quando si tratta di una scienza come la matematica, che dovrebbe avere con la logica legami particolarmente stretti, e tuttavia è talmente vero che si può rilevare una molteplicità di illogismi nelle notazioni matematiche come sono comunque concepite nella nostra epoca.
Uno degli esempi più notevoli di queste notazioni illogiche, proprio quello che dovremo esaminare qui prima di tutto, benché non sia il solo che incontreremo nel corso della nostra esposizione, è quello del preteso infinito matematico o quantitativo, che è la fonte di quasi tutte le difficoltà che sono state sollevate verso il calcolo infinitesimale, o, forse più esattamente, contro il metodo infinitesimale, poiché qui c'è qualcosa che oltrepassa la portata di un semplice "calcolo" nel senso ordinario di questa parola, checché ne possano pensare i "convenzionalisti"; non vi sono eccezioni da fare che per quelle di queste difficoltà che provengono da una concezione erronea o insufficiente della nozione di "limite", indispensabile per giustificare il rigore di questo metodo infinitesimale e per farne un'altra cosa che un semplice metodo di approssimazione. C'è d'altra parte, come vedremo, una distinzione da fare tra i casi in cui il cosiddetto infinito non esprime che una pura e semplice astrusità, cioè una idea contraddittoria in se stessa, come quella del "numero infinito", e quei casi in cui esso è semplicemente impiegato in maniera abusiva nel senso di indefinito; ma non bisognerebbe credere per questo che la stessa confusione dell'infinito e dell'indefinito si riduca ad una semplice questione di parole, poiché veramente essa si basa sulle idee stesse Quel che è singolare, è che questa confusione, che sarebbe stato sufficiente dissipare per eliminare tante discussioni, sia stata commessa da Leibnitz stesso, che è generalmente ritenuto come l'inventore del calcolo infinitesimale, e che chiameremmo piuttosto il suo "formulatore", poiché questo metodo corrisponde a certe realtà, che, come tali, hanno una esistenza indipendente da colui che le concepisce e che le esprime più o meno perfettamente; le realtà dell'ordine matematico non possono, come tutte le altre, che essere scoperte e non inventate, mentre, al contrario, è di "invenzione" che si tratta allorché, come pure accade troppo spesso in questo dominio, ci si lascia trascinare, effettivamente da un "gioco di notazione", nella pura fantasia; ma sarebbe sicuramente ben difficile far comprendere questa differenza a dei matematici che si immaginano volentieri che tutta la loro scienza non è e non deve essere niente altro che una "costruzione dello spirito umano", cosa che, se bisognasse credere a loro, la ridurrebbe certo a non essere in verità che ben poca cosa! Comunque, Leibnitz non seppe mai spiegarsi chiaramente sui principi del suo calcolo, e ciò ben dimostra che qui vi era qualcosa che lo oltrepassava e che gli si imponeva in una qualche maniera senza che egli ne avesse coscienza; se se ne fosse reso conto, non si sarebbe sicuramente impegnato in una disputa di "priorità" con Newton, e d'altra parte tali dispute sono sempre perfettamente vane, poiché le idee, in quanto sono vere, non potrebbero essere proprietà di qualcuno, nonostante l'"individualismo moderno", e non v'è che l'errore che possa essere propriamente attribuito agli individui umani. In seguito non ci dilungheremo su questa questione, che ci potrebbe trascinare molto lontano dall'oggetto del nostro studio, benché può darsi che non sia inutile, sotto certi punti di vista, far comprendere che il ruolo di coloro che si chiamano "grandi uomini" è spesso, per una buona parte, un ruolo di "recettori", sebbene essi siano generalmente i primi a illudersi della loro "originalità".
Ciò che ci concerne più direttamente per il momento, è questo: se dobbiamo constatare tali insufficienze in Leibnitz, e delle insufficienze tanto più gravi in quanto esse vertono soprattutto sui problemi dei principi, che ne potrà essere degli altri filosofi e matematici moderni, ai quali egli è malgrado tutto sicuramente molto superiore? Questa superiorità, egli la deve, da una parte, allo studio che aveva fatto delle dottrine scolastiche del medioevo, benché egli non le abbia sempre interamente comprese, e, d'altra parte, a certi dati esoterici, di origine o di ispirazione principalmente Rosicruciana (4), dati evidentemente molto incompleti e anche frammentari, e che d'altra parte gli accadde talvolta di applicare assai male, come ne vedremo qualche esempio proprio qui; è a queste due "fonti", per parlare come gli storici, che conviene riferire, in definitiva, quasi tutto ciò che c'è di realmente valido nelle sue teorie, e è ciò che anche gli permise di reagire, benché imperfettamente, contro il cartesianismo, che rappresentava allora, nel doppio dominio filosofico e scientifico, tutto l'insieme delle tendenze e delle concezioni più specificatamente moderne. Questa nota è sufficiente insomma a spiegare, con qualche parola, tutto quel che fu Leibnitz, e, se si vuol comprenderlo, non bisognerebbe mai perdere di vista queste indicazioni generali, che noi abbiamo creduto sia stato, per questa ragione, bene formulare all'inizio; ma è tempo di lasciare queste considerazioni preliminari per entrare nell'esame delle questioni stesse che ci permetteranno di determinare il vero significato del calcolo infinitesimale.
Note
1. Vedere Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi.
2. La stessa cosa accade ai "pseudo-esoteristi" i quali sanno così poco di ciò di cui vogliono parlare che non mancano mai di commettere questa stessa confusione nelle elucubrazioni fantasiose che essi hanno la pretesa di sostituire alla scienza tradizionale dei numeri!
3. L'ebraico e il greco ricadono in questo caso, ed anche l'arabo prima dell'introduzione dell'uso delle cifre indiane, le quali, in seguito, più o meno modificandosi durante il Medioevo passarono in Europa; si può notare, a tale proposito che la stessa parola cifra non è altro che la parola araba çifr, sebbene quest'ultima sia in realtà la designazione dello zero. è vero che in ebraico, d'altra parte, saphar significa "contare" o "numerare" come anche "scrivere", da cui sepher, "scrittura" o "libro" (in arabo sifr, che designa particolarmente un libro sacro), e sephar, "numerazione" o "calcolo"; da quest'ultima parola proviene anche la designazione dei Sephiroth della Kabbala, che sono le "numerazioni" principali assimilate agli attributi divini.
4. Il marchio innegabile di questa origine si trova nella figura ermetica posta da Leibnitz all'inizio del suo trattato De arte combinatoria: è una rappresentazione della Rota Mundi, nella quale al centro della doppia croce degli elementi (fuoco e acqua, aria e terra) e delle qualità (caldo e freddo, secco e umido), la quinta essentia è simboleggiata da una rosa a cinque petali (corrispondente all'etere considerato in se stesso e quale principio degli altri quattro elementi); naturalmente, questo "disegno" è passato completamente inosservato a tutti i commentatori universitari.

venerdì 26 luglio 2013

TAVOLA DI SMERALDO



«
 Verum, sine mendacio certum et verissimum,
quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius. Et sicut omnes res fuerunt ab uno, mediatione unius; sic omnes res natae fuerunt ab hac una re, adaptatione. Pater eius est sol, mater eius luna; portauit illud ventus in ventre suo: nutrix eius terra est. Pater omnis telesmi totius mundi est hic. Vis eius integra est, si versa fuerit in terram. Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio. Ascendit a terra in coelum, iterumque descendit in terram, et recipit vim superiorum et inferiorum. Sic habebis gloriam totius mundi. Ideo fugiat a te omnis obscuritas. Hic est totius fortitudinis fortitudo fortis; quia vincet omnem rem subtilem, omnemque solidam penetrabit. Sic mundus creatus est. Hinc erunt adaptationes mirabiles, quarum modus hic est. Itaque vocatus sum Hermes Trismegistus, habens tres partes philosophiæ totius mundi. Completum est quod dixi de operatione solis. »
Traduzione:
« Il vero senza menzogna, è certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l'ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande industria. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l'oscurità fuggirà da te. È la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui. È perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Completo è quello che ho detto dell'operazione del Sole. »

Spirito nel corpo o corpo nello spirito? di René Guénon



Spirito nel Corpo o Corpo nello Spirito? 

René Guénon



La concezione corrente, secondo cui lo spirito risiede in qualche modo nel corpo, non può che sembrare molto strana a chiunque possieda anche soltanto le più elementari nozioni di metafisica, non solo perché lo spirito non può essere «localizzato », ma perché, anche se si tratta solo di un «modo di dire» più o meno simbolico, è evidente in esso l' illogicità ed il capovolgimento dei rapporti normali. In effetti, lo spirito non è altro che Atma, il principio di tutti gli stati dell' essere in tutti i gradi della sua manifestazione; orbene, tutte le cose sono necessariamente contenute nel loro principio, e in realtà non possono in alcun modo esserne fuori, né tanto meno rinchiuderlo nei loro limiti; sono dunque tutti questi stati dell' essere, e per conseguenza anche il corpo che è semplicemente una modalità d' uno di questi, a dover essere in definitiva contenuti nello spirito, e non viceversa: Il «meno» non può contenere il «più », né tanto meno produrlo, il che è d' altronde applicabile a diversi livelli, come vedremo in seguito; ma consideriamo per il momento il caso estremo, quello che concerne il rapporto tra il principio stesso dell' essere e la modalità più ristretta della sua manifestazione individuale umana. A tutta prima si potrebbe essere tentati di concludere che la concezione corrente sia dovuta unicamente ad ignoranza da parte della grande maggioranza degli uomini, e corrisponda ad un semplice errore di linguaggio ripetuto senza riflettere per la forza dell'abitudine; ma la questione non è cosi semplice, e questo errore, se errore esiste, ha ragioni ben più profonde di quanto a prima vista si potrebbe credere.

A queste considerazioni, bisogna premettere che l' immagine spaziale del «contenente» e del «contenuto » non deve essere presa alla lettera, poiché uno solo di questi due termini, il corpo, possiede effettivamente il carattere spaziale, lo spazio non essendo niente altro che una delle condizioni proprie dell' esistenza corporea. L' impiego del simbolismo spaziale e di quello temporale, come abbiamo ripetutamente spiegato, non solo è legittimo, ma anche inevitabile, in quanto necessariamente dobbiamo servirci d' un linguaggio il quale, essendo quello dell' uomo corporeo, è anch' esso sottoposto alle condizioni determinanti l' esistenza di quest' ultimo come tale: basta aver sempre presente che tutto quanto non appartiene al mondo corporeo non può essere, in realtà, né nello spazio né nel tempo... Secondo la dottrina indù, si sa infatti che jivatma, il quale è in realtà Atma stesso, ma considerato nel suo rapporto con l' individualità umana, risiede nel centro di questa ed è rappresentato simbolicamente dal cuore; ciò non vuole affatto dire che jivatma sia racchiuso nell' organo corporeo che porta questo nome, o in un organo sottile corrispondente; implica invece che, in un certo senso, sia situato nell' individualità, e più precisamente nella parte più centrale di questa. Atma non può essere veramente né manifestato né individualizzato e, a maggior ragione, non può essere incorporato; e tuttavia, in quanto jivatma, appare come se fosse individualizzato e incorporato; evidentemente questa apparenza non può essere che illusoria riguardo ad Atma, e nondimeno ha una sua esistenza da ,un certo punto di vista, quello stesso punto di vista, proprio della manifestazione individuale umana, per cui jivatma sembra essere distinto da Atma. È dunque da questo punto di vista che si può dire che lo spirito è situato
nell' individuo; e inoltre si potrà dire che è situato nel corpo, a condizione di non scorgervi una «localizzazione» in senso letterale, se lo si considera dal punto di vista più particolare della modalità corporea di tale individualità; non si tratta dunque d' un vero e proprio errore, ma solamente dell' espressione d' una illusione che, pure essendo tale se riferita alla realtà assoluta, corrisponde tuttavia ad un certo grado della realtà, quello stesso degli stati di manifestazione ai quali detta illusione si riferisce, e che diventa errore solo quando si ha la pretesa di applicarla alla concezione dell' essere totale, come se il principio stesso di quest' ultimo potesse essere influenzato o modificato da uno dei suoi stati contingenti.

Abbiamo finora fatto una distinzione tra la modalità corporea dell' individualità e l' individualità integrale, quest' ultima comprendente anche tutte le modalità sottili; e, a questo proposito, possiamo aggiungere un' osservazione la quale, benché accessoria, aiuterà senza dubbio a comprendere ciò che principalmente abbiamo in vista. All' uomo ordinario, la cui coscienza è in qualche modo «sveglia» unicamente nella modalità corporea, tutto ciò che più o meno oscuramente viene percepito delle modalità sottili, appare come incluso nel corpo, perché questa percezione corrisponde solo al rapporto che quelle hanno con questo, piuttosto che a ciò che sono in se stesse; in realtà, le modalità sottili non possono essere contenute nel corpo e venir condizionate dai suoi limiti, anzitutto perché è proprio in esse che si trova il principio immediato della modalità corporea, e poi perché esse sono suscettibili d' una estensione incomparabilmente maggiore, per la natura stessa delle possibilità che comportano. Queste modalità, inoltre, se effettivamente sviluppate, appaiono come «prolungamenti» estendentisi in ogni senso al di là della modalità corporea, cosicché questa viene interamente a trovarsi, per così dire, «avvolta» da esse; sotto questo aspetto, per chi abbia realizzato l' individualità integrale, avviene una specie di «rivolgimento », se così ci si può esprimere, rispetto al punto di vista dell' uomo ordinario. In questo caso, del resto, le limitazioni individuali non sono ancora superate, ed è per ciò che all' inizio parlammo d' una possibile applicazione a diversi livelli; fin d' ora però si potrà comprendere, per analogia, che un «rivolgimento» si opera ugualmente, in un altro piano, quando l' essere sia passato alla realizzazione sopra-individuale. Fin quando l' essere non raggiungeva Atma, altro che nei suoi rapporti con l' individualità, cioè come jivatma, questo gli appariva come incluso nell' individualità e non poteva di certo apparirgli altrimenti poiché era incapace di oltrepassare i limiti della condizione individuale; ma quando egli raggiunge Atma direttamente ed in sé stesso, l' individualità, e con essa tutti gli altri stati individuali e sopra-individuali, gli appaiono invece compresi in Atma, com' è effettivament,e dal punto di vista della realtà assoluta, poiché essi non sono nient' altro che le possibilità stesse di Atma, al di fuori del quale niente può avere un grado qualsiasi di realtà.

Abbiamo così precisato i limiti entro i quali, da un punto di vista relativo, si può dire che lo spirito è contenuto sia
nell' individualità umana che nel corpo; e, inoltre, ne abbiamo indicato la ragione, ragione che in definitiva è inerente alla condizione stessa dell' essere per il quale questa prospettiva è legittima e valida. Ma non è tutto: bisogna ancora tener presente che lo spirito si considera situato non solo nell' individualità in generale, ma in un suo punto centrale, al quale corrisponde il cuore nell' ordine corporeo; ciò richiede altre spiegazioni, le quali permetteranno di conciliare i due punti di vista, apparentemente opposti, riferentisi rispettivamente, alla realtà relativa e contingente dell' individuo ed alla realtà assoluta di Atma. È facile rendersi conto che queste considerazioni devono basarsi essenzialmente su una applicazione del senso inverso dell' analogia, applicazione che nello stesso tempo dimostra, in modo particolarmente chiaro, le precauzioni che si richiedono nella trasposizione del simbolismo spaziale, in quanto, contrariamente a quello che avviene nell' ordine corporeo, cioè nello spazio inteso nel senso proprio e letterale, si può dire che nell' ordine spirituale è l' interno a comprendere l' esterno, ed il centro a contenere tutte le cose. Una delle migliori «illustrazioni» dell' applicazione del senso inverso, è data dalla rappresentazione dei diversi cieli, corrispondenti agli stati superiori dell'essere, mediante altrettante circonferenze o sfere concentriche come se ne ha un esempio in Dante. In una simile rappresentazione sembra a tutta prima che i cieli siano tanto più vasti, cioè meno limitati, quanto più sono elevati e quindi anche più «esteriori », nel senso che figurano più distanti dal centro, quest' ultimo essendo allora costituito dal mondo terrestre; è questo il punto di vista
dell' individualità umana, rappresentato precisamente dalla terra, punto di vista che corrisponde ad una verità relativa, la quale è tale nella misura in cui l' individualità è reale nel suo ordine, e per il fatto che bisogna necessariamente partire da
quest' ultima per passare agli stati superiori. Ma quando l' individualità venga superata e si operi il «rivolgimento» di cui abbiamo parlato (che in realtà è un « raddrizzamento» dell' essere), tutto l' insieme della rappresentazione simbolica viene ad essere in qualche modo rovesciato; è allora il cielo più elevato ad essere nello stesso tempo il più centrale, poiché in esso risiede il centro universale stesso; e, per contro, il mondo terrestre viene in questo modo a situarsi all' estrema periferia. In questo «rivolgimento» di posizione, bisogna inoltre osservare che il cerchio corrispondente al cielo più elevato deve tuttavia rimanere il più ampio e comprendere tutti gli altri (infatti, secondo la tradiziòne islamica, il «Trono» divino abbraccia tutti i mondi); e deve essere così perché, nella realtà assoluta, è il centro che contiene tutto.

L' impossibilità di raffigurare materialmente questo punto di vista, secondo cui il più vasto è nello stesso tempo il più centrale, non fa che esprimere le limitazioni alle quali il simbolismo geometrico è inevitabilmente sottoposto per il fatto stesso
d' essere il linguaggio della condizione spaziale, cioè di una delle condizioni proprie del nostro mondo corporeo, e quindi esclusivamente inerenti all' altro punto di vista, quello dell' individualità umana.

Per quanto riguarda il centro, si vede nettamente qui che, per il rapporto inverso esistente tra il centro effettivo (quello
dell' essere totale oppure dell' Universo, a seconda che si considerino le cose dal punto di vista «microcosmico» o «macrocosmico») e il centro dell' individualità o del suo particolare dominio d' esistenza, il primo, che è il più grande
nell' ordine della realtà principiale, diventa in certo qual modo (senza venir per nulla alterato o modificato in sé stesso) l' ultimo ed il più piccolo nell' ordine delle apparenze manifestate. Si tratta dunque, continuando a servirci del simbolismo spaziale, del rapporto esistente tra il punto geometrico e ciò che potremmo analogicamente chiamare il punto metafisico: quest' ultimo è il vero centro primordiale, che contiene in sé tutte le possibilità, ed è quindi quanto v' è di più grande; non è assolutamente «situato », poiché nulla lo può contenere o limitare, mentre sono tutte le cose a situarsi rispetto ad esso (va da sé che anche ciò deve intendersi simbolicamente, perché qui non si tratta unicamente delle possibilità spaziali). Il punto geometrico poi, che come tale è situato nello spazio, è evidentemente ciò che v' è di più piccolo anche in senso letterale perché privo di dimensioni, il che vuol dire che non occupa rigorosamente nessuna estensione; ma questo «niente» spaziale corrisponde direttamente al «tutto» metafisico, e questi, si potrebbe dire, sono i due aspetti estremi dell' indivisibilità considerata rispettivamente nel Principio e nella manifestazione. Per quel che riguarda le considerazioni circa il «primo» e l' «ultimo », è sufficiente aver presente, come abbiamo già spiegato, che il punto più alto ha il suo diretto riflesso nel punto più basso; ed a questo simbolismo spaziale si può aggiungere un simbolismo temporale, per il quale ciò che è primo nel dominio principiale, e quindi nel «non-tempo », appare come ultimo nello sviluppo della manifestazione.

Tutto ciò è facilmente applicabile a quanto abbiamo preso in considerazione all' inizio: in effetti è proprio lo spirito (Atma) il centro universale che contiene ogni cosa; ma esso, riflettendosi nella manifestazione umana, appare appunto per ciò come «localizzato» al centro dell' individualità e, più precisamente ancora, al centro della sua modalità corporea, poiché
quest' ultima, in quanto termine della manifestazione umana, ne è anche la modalità «centrale », ed è quindi appunto il suo centro, per quanto riguarda l' individualità, ad essere propriamente la rappresentazione ed il riflesso diretto del centro universale. Questo riflesso non è che un'apparenza, così come lo è la stessa manifestazione individuale; ma fintantoché
l' essere è limitato dalle condizioni individuali, questa apparenza è per lui la realtà e non può essere altrimenti, perché è esattamente dello stesso ordine della sua coscienza attuale. Solo quando l' essere ha superato questi limiti, l' altro punto di vista diventa per lui reale, cosi com' è (ed èsempre stato) in modo assoluto; il suo centro è allora nell' universale, e
l' individualità (ed a più forte ragione il corpo) non è più che una delle possibilità contenute in questo centro; per il «rivolgimento» che si è così effettuato, i veri rapporti tra tutte le cose si trovano ristabiliti, quali non hanno mai cessato
d' essere per l' essere principiale. Aggiungeremo che questo «rivolgimento» è in stretta relazione con il cosiddetto «spostamento delle luci» del simbolismo cabalistico, ed anche con la seguente espressione che la tradizione islamica attribuisce agli awliya: «I nostri corpi sono i nostri spiriti, ed i nostri spiriti sono i nostri corpi» (ajsamna arwahna, wa arwahna ajsamna), la quale, non solo indica che tutti gli elementi dell' essere sono completamente unificati nella «Identità Suprema», ma anche che il «nascosto,» è diventato l' «apparente» ed inversamente. Sempre secondo la tradizione islamica, l' essere che è passato dall' altra parte del barzakh è in qualche modo l' opposto degli esseri ordinari (e questa è ancora una stretta applicazione del senso inverso dell' analogia tra l' « Uomo Universale» e l' uomo individuale): «se cammina sulla sabbia, non lascia tracce; se cammina sulla roccia, i suoi piedi vi lasciano l' impronta [1].
Se è al sole, non proietta ombra; nell' oscurità, una luce emana da lui».



1- Ciò ha un evidente rapporto con il simbolismo delle «impronte di piedi» sulle rocce, che risale alle epoche «preistoriche» e che si ritrova in quasi tutte le tradizioni; senza abbordare considerazioni troppo complesse su questo soggetto, possiamo dire che, in generale, queste impronte rappresentano la «traccia» degli stati superiori nel nostro mondo.