venerdì 8 aprile 2016

Beatus vir, qui non abiit in consilio impiorum et in via peccatorum non stetit et in cathedra pestilentiae non sedit.

Non di rado capita di udire che il fine di una struttura iniziatica sia quello di “dare la luce”, oppure di accogliere gli “uomini di buona volontà o di desiderio”, e ancora di “raccogliere i fratelli”, oppure altri nobili proponimenti. Vi è molto di celato in queste frasi e brevemente vorrei spendere alcune riflessioni, che spero risulteranno utili malgrado la loro crudezza. 

Nelle parole “dare la luce” vi è una forte componente di arroganza ed automatismo, i quali dovrebbero essere estranei ad ogni contesto iniziatico. Nessuno è in grado di “dare la luce”, al massimo è in grado di “trasmettere” un novero di strumenti e di insegnamenti, che se adeguatamente compresi condurranno l’iniziato ad una serie di rivelazioni interiori e a un progressivo dissipamento delle tenebre che lo avvolgono. E’ tristemente vero che molti, fin troppi, ritengono che il percorso iniziatico sia esperito tramite il semplice conferimento iniziatico. Purtroppo sfugge loro che la reale acquisizione iniziatica è frutto di un’Opera Laboriosa, la quale ha inizio proprio nell'istante seguente alla catartica iniziazione. La quale per essere reale deve rispondere all'evidente requisito di coincidenza fra essa stessa e il ruolo/funzione che si andrà a ricoprire nell'Ordine o nell'Obbedienza. 

La volontà di accogliere tutti coloro che rispondono alla semplice volontà o desiderio di conoscenza nasconde un terribile inganno. Un Ordine realmente iniziatico non può essere aperto a chiunque manifesti un semplice desiderio di apprendere. In quanto l’Ordine deve preservare se stesso e i fratelli in esso armoniosamente raccolti, da coloro, che malgrado l’apparenza, sono privi delle qualifiche necessarie ad operare e ad integrarsi psichicamente ed energeticamente.  In un Ordine come il nostro dove il fratello è chiamato a compiere, in virtù del grado, rituali a carattere teurgico, preghiere, meditazioni, purificazioni, conformarsi ad una regola e accettare una serie di norme non è possibile accogliere colui che è sprovvisto delle adeguate qualificazioni psicologiche e spirituali. 
In questo non vi è discriminazione, ma solamente attenta volontà a 
Queste caratteristiche spirituali vivono nel corpo, nella mente e nel cuore dei fratelli. Qualora questi fratelli siano portatori di istanze, apparenti od occulte, sovversive rispetto all'identità della struttura in cui operano, è questa, e tutta la comunità, a ricevere danno e malanno. Non è il desiderio profano che deve animare colui che si accinge ad essere accolto, bensì la tensione ideale di colui che si riconosce in un’impostazione docetica, spirituale e rituale. 
Purtroppo è da sottolineare come molte strutture tendono ad esimersi a mostrare un proprio “manifesto”, impegnandosi a celare la propria identità e erigere cortine fumose composte da buonismo e superficialità. Non voglio qui scendere nelle motivazioni di tale omertose azioni, che comunque sono riconducibili a questioni fin troppo umane, mi limito solamente ad osservare che in assenza delle adeguate qualificazioni, in chi bussa e in chi apre, tutta l’impalcatura, docetica e rituale, determinerà lo slittamento dell’opera, in una parodia della medesima … sottoposta alla vorace e parassitaria azione del basso psichichismo.

Raccogliere in una comunità fratelli, è ben altro dalle fumose asserzioni che sovente si odono. La fratellanza, quella autentica, non deriva da eguale iniziazione formale, ma da sostanziale opera. Nell'antichità si era fratelli in virtù della nascita da stesso ventre di donna, per il sangue versato  nel comune cimento e per il patto stretto fra uomini che si riconoscono  come fratelli.
Non ho certo la pretesa di far versare sangue, anche perché per taluni sarebbe impossibile, ma  solamente sottolineare come anticamente nella parola fratello vi era un qualcosa di vitale e dinamico, che purtroppo sembra oggi andato in parte perduto.
Sui social si spreca la parola fratello, è un fiorire continuo di fraterni abbracci e uno sperticarsi di attestazioni. Salvo poi riscontrare un viscidume nauseante proprio in coloro che apparentemente più si dimostrano “aperti”,”tolleranti” e “paterni”. Ho l’impressione che il vuoto dell’anima, la solitudine nella vita di tutti i giorni e le frustrazioni del quotidiano, per taluni, trovino linimento in questa vuota fratellanza virtuale.
Vi è altro oltre l’esibizione e il desiderio di essere riconosciuti come qualcosa o qualcuno?
Oppure si comprende che la fratellanza è tale non in virtù dell’iniziazione, ma in forza di un riconoscimento di comune opera, di eguale tensione, e di comune prospettiva ?

Compito di una struttura iniziatica è quello di preservare se stessa e la “luce” che in essa alberga. Tale preservazione avviene attraverso la trasmissione iniziatica a coloro che hanno le adeguate qualifiche, per essere i successivi custodi del tempio. Solamente mantenendo aderenza alla propria radice spirituale tradizionale, che nel Martinismo autentico è il cristianesimo (cosa assai diversa dal cattolicesimo) è possibile preservare la vitalità e raccogliere le pure influenze sottili. Altrimenti, in caso di rescissione dall’autentica e particolare radice spirituale, l’intera struttura diverrà una vuota struttura di carta, nel migliore dei casi, e un guscio energivoro nel peggiore. 

Non possiamo pretendere che un uomo vada contro la propria natura per seguire un percorso spirituale, ma possiamo e dobbiamo pretendere che coloro che seguono un determinato percorso abbiamo in sé quelle caratteristiche che li rendono ad esso idonei. E' deleterio il fanatismo, ma non meno è deleterio l'universalismo. L'uno e l'altro sono il risvolto della stessa medaglia, in quanto l'uno e l'altro si fondano sulla convinzione che tutto va bene per tutti, o che tutti vanno bene per il tutto. Eppure la semplice osservazione delle cose di questo mondo ci insegna che ognuno di noi ha caratteristiche che lo rendono affine verso qualcosa, o refrattario verso altro. Ritengo che ciò sia un sommo bene. In quanto permette, e ha permesso, al martinismo di preservare se stesso dai tanti inquinamenti psichici ed operativi che ha subito nel corso della sua vita.



Laddove autenticamente la S di superiore è intesa come Servitore, e non come arrogante manifestazione di autoritaria (im)potenza.
Laddove chiaramente chi governa l’Ordine ha la capacità di porsi unicamente al servizio del martinismo, senza rispondere ad interessi partigiani, o subire pressioni da terze strutture.
Laddove si comprenda che non sussistono fratture, nella Tradizione, fra la sfera essoterica, quella mesoterica e quella esoterica.
Laddove chi pretende di fare docetica è capace di offrire reali strumenti di armoniosa opera.
Laddove sia chiara la collocazione della Maestranza, senza doppie o terze appartenenze ad altri Ordini Martinisti, con conseguente confusione eggregorica.
Laddove si dimostri di seguire i corretti cicli purificatori, senza covare, come galline gravide, rancore e fin troppo umani desideri di linimento.
Laddove gli strumenti di Opera siano regolarmente detenuti, e non siano il frutto di elemosina ricevuta.
Laddove il rapporto sia realmente iniziatico, e non una sublimazioni di appagamenti emotivi o psicologici.
Laddove non si sia consumato il tradimento ai danni di fratelli.
Laddove non si sventolino rituali, o parti dei medesimi, solamente per il gusto di mostrare ciò che non è fatto.
Laddove la legittimità della struttura non sia ridotta alla successione di qualche santino, ma incarni una reale cagione d’essere.
Laddove i fratelli e le sorelle utilizzino le forme e il linguaggio tradizionalmente consoni.
Laddove la fratellanza si intesa come di Laboriosa Opera, e non di senile e verbosa riproposizione di frustrazioni permutate da altri ambienti. 
Laddove la docetica è un qualcosa di integro a tale ordine, e non copiato da altre istituzioni, o sviluppato in negativo rispetto a quella altrui.  

Solamente quando è presente tutto ciò il martinismo può sperare di vivere e prosperare. In assenza di una sola di queste caratteristiche, è bene e salubre mantenere la più netta separazione, fedeli al monito: Beatus vir, qui non abiit in consilio impiorum et in via peccatorum non stetit et in cathedra pestilentiae non sedit.

Quindi amatissimi fratelli, e carissimi lettori, verificate con accuratezza la presenza di quanto sopra indicato, se vi aggrada e se lo ritenete adeguato al vostro livello dell’Essere, nelle strutture che si offrono a voi. Forse eviterete di cadere in una qualche confusione, che sembra ottenebrare anche taluni oratori, fra ciò che viene professato essere martinismo, e ciò che in realtà non lo è. Oppure fra ciò che è ancora integro e quanto è stato corrotto. 


www.martinismo.net 

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