lunedì 11 aprile 2016

Riflessioni attorno al Rituale Giornaliero Martinista - Elenandro XI

Il rituale giornaliero di catena è la costante e laboriosa opera di edificazione del tempio martinista (Sovrano Ordine Gnostico Martinista)

1.         Introduzione

Ovviamente non è desiderio del presente lavoro di enunciare nello specifico l'esatta composizione e strutturazione del rituale giornaliero martinista, ed in particolare quello del N.V.O. Ciò in relazione sia all'evidenza pubblica che il presente scritto ha, quindi non circoscritta all'ambito iniziatico, sia per una certa varianza formale che il rituale giornaliero presenta in relazione ai vari ordini, raggruppamenti, o linee di liberi iniziatori.
E' sempre bene ricordare, ed è doveroso farlo in premessa, come l'Iniziatore martinista è comunque libero di riformulare l'espressione rituale in rapporto funzionale alla propria naturale inclinazione, seppur rimanendo sempre all'interno del perimetro tradizionale del martinismo. Avremo quindi che un iniziatore con un'impronta maggiormente legata alla cabala inserirà elementi di tale branca del sapere iniziatico all'interno del rituale, mentre colui che sarà maggiormente legato ad un patrimonio mistico cristiano, o gnostico, o ermetico, sempre nel rispetto del perimetro martinista, provvederà a dare un'impronta ad essi consona.
Risulta altrettanto ovvio, e questo non è in contraddizione con quanto sopra enunciato, che in quelle realtà che raccolgono più iniziatori vi è l'esigenza di avere un impianto comune di ritualistica, onde meglio esaltare il lavoro energetico individuale, di gruppo ed egregorico. In assenza di tale impianto comune, siamo in presenza di un’orchestra dove non solo manca il direttore, ma dove ognuno dei musici suona un diverso spartito.
L’iniziazione rituale, il rito di Luna Nuova e il rito giornaliero, sono gli elementi basilari e necessari dell’identità martinista. In assenza dei quali, nella loro complementarietà, assistiamo ad una virtualità che si estrinseca nella forma di una verbosa massoneria povera. Risulta implicito che quanto andremo ad esporre è rispondente a quelle realtà mariniste regolari. Dove con regolare correttamente dobbiamo intendere laddove l’iniziatore è tale in forza di un lineare e progressivo percorso che lo ha portato a formarsi doceticamente ed operativamente. Altrimenti siamo in presenza di fantasiose e rocambolesche investiture, spesso prezzolate, prive di ogni sostanzialità, che ci conducano fuori dall’ambito dell’iniziazione e dell’opera, per entrare in quello della carnevalata eogica.
In breve:
1.         La reale iniziazione martinista, conferita in virtù di un effettivo potere iniziatico, è condizione sostanziale ed inderogabile dell’essere martinista.
2.         Il rito di Luna Nuova consente l’indispensabile rinnovamento del patto con l’Egregore dell’Ordine Martinista. Tale rinnovamento perpetua le condizioni che consentono il riconoscimento e la conseguente accettazione dell’adepto da parte dell’Egregore.
3.         Il rito giornaliero è la pietra d’angolo su cui si basa l’operatività martinista. La sua funzione primaria è quella di "legare" tutti i membri dell’Ordine … “Ut unun sint” …, tramite la corrente magica e spirituale dell’Eggregore Martinista, supremo Ente e Vettore di unificazione.
Se la reale iniziazione martinista porta l’uomo di desiderio all’interno della fratellanza, e se il rito di luna nuova ne rinnova la comunione, è il rito giornaliero che dà senso e vita alla sua aspirazione spirituale.
Già da quanto sopra esposta si comprende come il rituale giornaliero sia parte integrante dell’identità martinista, e come questa sia composta da elementi  che riguardano la generalità del martinismo, come la particolarità della struttura in cui si opera.
In meritò all'identità generale il Martinismo diremo che esso è una scuola d'opera fattiva e non di speculazione. Ciò non significa ovviamente che il martinista è escluso da una dimensione filosofica, ma solamente come quest'ultima, nei giusti modi e giusti tempi, è tesa ad esaltare e contribuire alla pratica stessa. Lo studio deve fornire all'iniziato quei riferimenti culturali, simbolici, e immaginifici che gli permettono di riattivare la memoria spirituale, e fornire un proficuo indirizzo alla pratica stessa. Sempre rimanendo all'interno di una prospettiva generale, dobbiamo altresì ricordare la matrice evidentemente cristiana del martinismo. Louis Claude de Saint-Martin era un mistico ed esoterista cristiano, così il Papus, e gli altri padri storici della nostra scuola tradizionale. Quindi in tale ottica, volta a mantenere il martinismo ben connesso alla propria radice spirituale, è ovvio che il rituale giornaliero, così come ogni altro elemento strumentale e filosofico, debba mantenere traccia evidente della sua natura spirituale cristiana. Ciò per impedire il suo degenerare in una deriva relativistica tanto cara allo spirito dei tempi, causandone da un lato il completo snaturamento, e dall’altro la perdita di ogni qualsiasi sostanza e vitalità spirituale.
In merito all'identità particolare questa è frutto della specificità formale scelta dall’iniziatore per trasmettere l’iniziazione martinista, e predisporre e trasmettere gli strumenti di reintegrazione. Ecco quindi che il rituale, nella sua strutturazione complessiva o in alcune parti di esso, avrà l'impronta filosofico-operativa di colui che è il reggitore della catena. Gli iniziati ad esso collegati, in virtù dell'opera fattiva e del crisma iniziatico, disporranno strumenti affinati alla particolare cadenza e natura del lavoro che individualmente e collettivamente andranno a svolgere. Prendiamo ad esempio un elemento di cui non è mistero la presenza nei lavori di gran parte delle strutture mariniste, quale la croce cabalistica. Questa avrà valenza diversa in ragione della prospettiva data ai lavori rituali: “In un'ottica meramente cerimonialista sarà strumento di apertura-chiusura o di bando, oppure potrà avere impiego come attivatore di centri energetici, ed infine di "identificazione" dell'operatore con particolari attributi del divino sul piano della manifestazione. “

3.         Rituale giornaliero di catena, e sua scomposizione nei singoli momenti (apertura, operatività, chiusura)

Il rituale giornaliero di catena, come tutti i riti di natura magico-operativa, si articola in tre distinti momenti: apertura, svolgimento operativo e chiusura dei lavori. Una tripartizione, questa, che sussiste solo a livello docetico-illustrativo, in quanto tale scomposizione non ha spazio nell’armonia operativa che non solo rende il rito come Ente in se indiviso, ma addirittura unisce l’operatore a tutti i fratelli e le sorelle in catena e quindi all’Egregore.
Le tre Croci cabalistiche di apertura hanno come finalità quella di creare uno spazio sacro, rimettendo l’operatore al mondo del Divino, dell’ultrasensibile. Le quattro Croci conclusive del rito indicano la chiusura dei lavori e la riconsegna al mondo profano del luogo che ha visto la celebrazione del rito. Lo strumento cabalistico è uno dei fondamentali linguaggi operativi ermetici, strumento di interazione e correlazione fra il martinista e l'Egregore. La Croce viene dal martinista stesso vivificata, in quanto è essa è tracciata sulla propria carne, mente ed anima.
La Croce quale simbolo di spazialità, ma anche di determinazione fra l’ascesa verticale dello Spirito e il dispiegamento orizzontale del fisico e della mente.
Il totale delle croci cabalistiche da il numero 7, simboleggiante la regola creativa (sette le note, sette i giorni, sette i colori, ecc..) che governa la nostra manifestazione. E’ questa regola che determina ogni relazione sussistente fra gli elementi della creazione.
Essa trova la sua massima espressione nella settima Lama degli Arcani Maggiori (Il Carro), dove l’auriga guida due cavalli dall’interno di un cocchio formato da quattro colonne (1+2+4=7) che richiamano il simbolismo dei quattro elementi fondanti la creazione. Elementi che il filosofo Empedocle di Agrigento (nato nel 492 a. C) chiama "radici" e afferma che sono quattro: fuoco, aria, terra e acqua. L’unione di tali radici determina la nascita delle cose, la loro separazione la morte. Si tratta perciò, sempre seguendo il pensiero di Empedocle, di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che l’Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in continua trasformazione che trova direzione solo attraverso la volontà che guida la forza positiva e la forza negativa. L’auriga guida consapevolmente il carro, domina i due cavalli (ragione e magia, conscio ed inconscio, ecc..), verso la conoscenza. Così è l’iniziato che consapevolmente esegue il rito nella sua duplicità formale e sostanziale. L’iniziato consapevole non subisce il rito, non rimane immobile; bensì ne comprende le dinamiche e le regole che lo formano e lo animano.
L’accensione della candela è crogiuolo di molteplici simboli. Essa è in primo luogo un autentico atto magico che investe la materia attraverso la discesa del fuoco vivificatore. E’ la luce della conoscenza che brilla nella notte dell’ignoranza, è testimonianza del fuoco mistico che tutto arde, è monito della spoliazione cui il martinista si consegna ed, infine, espressione dell’atto di volontà magica del martinista.
Passo successivo è il collegamento telepatico con gli altri fratelli, nelle ore prestabilite (in cadenza di sette), governate dalla potenza e dalla gloria dell’Angelo del giorno, quale tramite fra l’operatore e il mondo superiore.
La visualizzazione dei fratelli e la rappresentazione psichica e materiale del sigillo dell'Ordine collocano "volontariamente" l’operatore all’interno della fratellanza che lo ha accolto e di cui è membra congiunte. Unione in virtù della forza vitale eggregorica, sacro sangue che anima tutto l’Ordine e che assume la veste delle sacerdotesse che, assieme ad Iside, ricomposero il corpo mutilato di Osiride (in questo caso magnificamente rappresentato dalla continuità passata, presente e futura di tutto l’Ordine Martinista)
La visualizzazione e il tracciamento del sigillo sono dunque l’attivo ordinarsi all’interno della fratellanza, il consegnare spontaneamente la propria individualità ad un’Entità superiore.
Movenze, queste, che devono essere compiute con la sacralità e il trasporto amoroso con cui lo Sposo e la Sposa si consegnano l’uno all’altro. A compimento dell’apertura dei lavori vi è la batteria e il segno. Essi altro non sono che il presentarsi del martinista all'Egregore. Leggiamo ciò come il voler essere riconosciuto, da parte del martinista, da chi è in grado di riconoscerlo, l’Egregore. Al contempo la batteria e il gesto simboleggiano il giungere ad una soglia sempre presente, ma non per tutti aperta. In assenza del riconoscimento e della coesistenza dei requisisti essenziali (iniziazione e purificazione), l’operatore è illuso o si illude di far parte della catena, mentre ne è realmente escluso.
Edificato lo spazio sacro, il martinista intona la recita dei tre salmi, dando così inizio alla fase operativa del rito.
Tradizionalmente ogni cerimonia magica si snoda in una fraterna unione, il primo salmo: Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!; a un’attestazione della condizione di grazia, il secondo salmo: Beatus vir, qui non abiit in consilio impiorum; ed, infine, da un’invocazione e/o evocazione, il terzo salmo: Ecce nunc benedicite Dominum.
Il martinista allontana da se ogni umana tribolazione e si compiace nell’unione con i fratelli d’Opera e nell’amore che essi lega. Assieme a loro si pone nudo innanzi al cospetto Divino, mostrandosi degno della sua Grazia ed, infine, ne chiede la Benedizione.
L’invocazione del Nome pentagrammatico rappresenta l’apice del rito giornaliero, espressione ultima del lavoro posto in essere, cui segue la chiusura del rituale. Senza voler entrare troppo nel merito di questa Parola di potere, possiamo dire che essa non solo simboleggia il Riparatore, nella sua funzione di tramite e di agente di reintegrazione, ma nella sua quintuplice combinazione ne raccoglie ogni qualità.
Il Nome pentagrammatico si ottiene introducendo al centro del tetragramma la scin (Lettera madre associata al Fuoco). Questo è un fuoco diverso dal fuoco primordiale della potenza creativa, rappresentato nel Tetragramma dalla iod o vau (a seconda dei sistemi), questo è il fuoco misurato e costante dell’amore che è in grado di agire come forza trasmutatrice dei vari elementi. Si noti che il nostro cuore, sede immaginaria dell’amore, è anch’esso, come la c al centro del nostro corpo fisico. E’ bene ricordare che sul questo piano quaternario della nostra esistenza, è proprio il fuoco fisico, dispensato nella giusta proporzione, che è capace di trasformare gli altri elementi nei vari stadi che colmano la distanza fra il grossolano e il fine (da stato solido a stato liquido - da stato liquido a stato gassoso).
Quanto sopra esposto è l’essenzialità del rituale giornaliero di catena. In esso, fra la recita dei tre salmi e la professione del nome pentagrammatico, è possibile (su espressa indicazione del proprio Iniziatore per i primi due gradi, e sull’assunzione di responsabilità per gli altri fratelli e sorelle elevati al terzo grado) di inserire un "qualche" elemento di personalizzazione (preghiera, meditazione, supplica, ecc... ). Ciò risponde a varie logiche, alcune legate alla contingenza del momento (catena terapeutica, ad esempio), altre in ragione di un particolare lavoro proposto, ed altre ancore per consolidare il rapporto egregorico. Ovviamente ognuno di questi inserimenti, che può essere vissuto anche come rito separato, deve rispondere a criteri di armonia, e complementarietà.
E’ bene ricordare, onde evitare scempi e pericolose contaminazioni, quanto segue:
1.         L’Ordine non è al servizio del martinista, ma è il martinista al servizio dell'Ordine. In quanto è il primo che conferisce al secondo la possibilità e l’utilità di operare, all’interno di una corrente magica ed attraverso strumenti tradizionali.
2.         La Tradizione vuole ed impone che vi sia concordanza e congruità fra lo strumento, il fine e l’operatore.
3. Ogni mutamento è una possibile perturbazione, che anche violentemente si può ripercuotere nella vita del singolo. L’Egregore non è espressione contingente di un momento, ma una eterna ed intelligente presenza.
4.  Ciò che differisce, è sempre responsabilità individuale.
5. Il fine essenziale del martinista, così come insegnatoci dai Nostri Maestri, è la reintegrazione dell'uomo nell'uomo, e dell'uomo nel divino.

4.  Finalità del Rituale giornaliero di catena

Il rituale giornaliero di catena sviluppa una serie di interazioni fra il martinista e se stesso, e il martinista e gli altri fratelli. Possiamo suddividere queste relazioni in due categorie:
a) Interne
Il rituale, nella sua giornaliera ripetizione, è un incentivo e al contempo un ostacolo, che permette al martinista "anche" di lottare contro la propria pigrizia. E’ bene sempre ricordare che come sussistono ed insistono agenti che premono per la rovina dell’uomo celeste, sussiste ed insiste nell’uomo l’inerzia, forza opponente ad ogni compimento intimo.
Inutili sono i propositi di cimento, se non si è in grado di imporre a noi stessi la volontà che predichiamo di avere.
La continua proposizione di "identici" gesti e parole nel corso del tempo, richiede un impegno in attenzione e presenza da parte dell'operatore, affinché la pratica non divenga monotonia da evitare o espletare in malavoglia. Tale obiettivo è conseguibile solamente alla presenza di due elementi. Il primo è da ricercarsi nella vivificazione del rituale, nell’auspicio che dalle parole, in se morte, si giunga ad un riverberarsi delle stesse nella sfera intima dell'operatore. Il secondo è la capacità del martinista di divenire parte integrante della catena, componente del pulsare della corrente psichica dei fratelli e delle sorelle.
E’ attraverso il necessario raccoglimento e separazione dal flusso del tempo e dello spazio profano, che il martinista ha la possibilità di osservare come la propria psiche reagisce all’operazione posta in essere. Attraverso l’individuazione degli stati d’animo e del proprio spettro emozionale ed energetico, egli può valutare il proprio equilibrio, e le mancanze su cui operare. E', infatti, possibile, con la dovuta capacità di percezione e analisi, determinare corrispondenze fra le fasi del rito, e la composizione occulta del corpo. In quanto il rito è tale, in virtù del martinista che è esso stesso rito.
b) Esterne
Il rituale permette, come accennato, al martinista di essere parte integrante della catena, attraverso il collegamento egregorico.
La catena non deve essere percepita nella "ridotta" della loggia o dell’Ordine, ma quale continuo "giammai" interrotto con i fratelli passati, e futuri, in virtù della presenza unificatrice dell’Egregore.
La funzione di questa realtà psichica, consolidata nel tempo, è quella di ricevere dai mille rivoli rappresentati dalla persistenza dei fratelli. Essi si forgiano in un’unica "corrente" intelligente e possente, che ovviamente travalica la sfera del singolo.
E’ quindi per rinnovare il collegamento  con via di comunicazione e comunione, che è necessario il rito di purificazione durante la fase della Luna Nera. E’ solo attraverso il retto pensare, l’abluzione nell’acqua e nei fumi dell’incenso che il martinista espelle da se le scorie psichiche accumulate nel corso del suo transito, e rinnova volontariamente il patto con l’Egregore.
Altresì è necessario che il martinista ricordi il sacro impegno di ricercare la reintegrazione con la propria sfera divina, in ogni momento della sua vita, affinché il sentiero di rettitudine sia un atto di volontà. La comunione con i fratelli permette all’operatore di godere di un’intensificazione dello spazio, degli strumenti, e dell'attitudine magici, agevolandolo nelle parti preparatorie ed operative del rito.

5.  Rapporti fra il Rituale giornaliero, natura e qualità del martinista.

Se è vero che quella martinista è un’iniziazione reale, è altrettanto vero che il rituale giornaliero è la basilare operatività del martinista. L’iniziazione è il deporre un seme e l’operatività il lento germogliare dello stesso, fino al compimento della propria natura. L’essenza del rito giornaliero, come si è visto, risiede in un vero e proprio atto magico, tradizionalmente tripartito (fratellanza, testimonianza, invocazione ed evocazioni), la qualità quindi richiesta al martinista è quella sacerdotale, per i fratelli che hanno tale ruolo all’interno dell’Ordine, e coadiuvatori del sacerdote per i primi due gradi. La capacità di purificare e consacrare il tempio (il martinista stesso) e porvi in essere la celebrazione del rito, differenziano la recita teatrale, dalla vera Cerimonia, la pantomima dall’Opera, la farsa dalla Realtà, e l’improvvisazione dalla Tradizione.
Per ottenere questa naturale inflessione del proprio essere, è richiesto l’integrale compartecipazione dei tre corpi del martinista.
Il corpo fisico che deve essere non sottoposto all’azione perturbatrice di sostanze che lo rendono schiavo.
La mente deve essere erudita sulla tradizione martinista,  sempre attenta e ricettiva verso l’operazione che si sta compiendo.
L'anima consacrata alla purificazione e redenzione, non deve essere straziata dai clamori del mondo profano.
E’ utile quindi che il martinista approfondisca lo studio dello gnosticismo, della cabala, della mistica, e del significato di reintegrazione. Riesca ad abbattere i propri condizionamenti culturali e psicologici nei confronti della preghiera, che non deve essere vista come passivo atto devozionale, ma sollecitazione dell’uomo verso il Divino. Deve il martinista interrogarsi sul perché della nascita del martinismo stesso, e del messaggio di conoscenza che esso incarna. Inoltre il martinista deve preservare il proprio corpo, avendo la consapevolezza che esso è involucro necessario al suo agire su questo piano denso e grossolano.
Ancora la mente deve essere educata, tramite la meditazione e l’esercizio dell’attenzione.  L’armonia, l’erudizione e l’intuito sono le condizioni necessarie per il mago, come per il sacerdote.
Il rito giornaliero non deve essere quindi visto come atto dovuto ed impaccio, ma, tenendo presente quanto detto, come espressione finale di una preparazione costante e profonda.

6. Conclusioni

Il rituale giornaliero, nella sua armonica strutturazione, consiste in un'apertura, una fase operativa, e una chiusura. Dove elementi simbolici, sonori, e gestuali trovano una fusione che investe, o dovrebbe investire il martinista, in ogni espressione del suo essere: sfera fisica, psicologica, ed energetica. La presenza a noi stessi, e l'attenzione sull'Opera che si sta compiendo, oltre ovviamente ad una congruità ideale e spirituale alle radici tradizionali del martinismo, porteranno l'iniziato a non vivere il rituale giornaliero come una parentesi più o meno ostica all'interno del transitare del tempo, ma ad organizzare la propria vita attorno al rituale giornaliero stesso. Così come una ruota trova il proprio centro e ragion d'essere nel perno. La comprensione delle dinamiche che legano ogni elemento del rituale, porteranno a considerarlo non come una sequela di elementi fra loro misteriosamente ed artatamente connessi, bensì come unica e sempre fruttuosa espressione dove lo stesso martinista è elemento di volontà e d'opera, parte integrante ed indistinta di un rituale che non è più posto esternamente a sè, ma ne rappresenta una simbiotica risonanza.
Il rituale giornaliero è uno dei capisaldi dell'identità martinista, che continuamente ripeto essere di fattiva opera e non di sterile filosofia, e l'iniziato trova in esso quel nutrimento supersostanziale. Nutrimento che investe ogni bisogno del proprio essere magico, in virtù della prospettiva operativa che lo guiderà attraverso l'esercizio della docetica impartita da propri superiori viventi, e sotto l’influsso benefico dei Maestri che hanno passato il velo ma che sono sempre presenti.
E’ mia profonda convinzione che il bene e la longevità dell'Ordine da una maggior comprensione delle sottili dinamiche e degli strumenti che ci legano, pur nella nostra specificità, l'un con l'altro. Tale funzione di "legato" è simboleggiata in massima espressione proprio dal rituale giornaliero, che assomma in se ogni aspetto dell’opera martinista.

Concludo con l'auspicio che ogni fratello e sorella abbia sempre attenzione allo studio e alla pratica, alla comprensione dei sottili dinamismi dell'operatività martinista, affinché il suo operare sia nobile, e non un mero involucro senza sostanza.

www.martinismo.net

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