venerdì 21 luglio 2017

MARTINISMI E MARTINISTI - Algol S.I.I.



Molte volte in passato si è tentato, in Italia, senza, peraltro, mai riuscirvi, di trovare un punto di coesione fra diversi Ordini Martinisti. Il più noto, sulla spinta di quello che fu stipulato in Francia fra Papus (Encosse) e Aurifer (Ambelain), è stato quello che avvenne, immediatamente dopo, quando, al Convento di Ancona del 1962, l’Ordine Martinista e l’Ordine Martinista degli Eletti Cohen, nelle persone, rispettivamente, di Artephius (Zasio) e Nebo (Brunelli), sottoscrissero un protocollo, dei princìpi da rispettare, per la riunione dei due Ordini. Un secondo tentativo fu espletato, nel 1983, fra Libertus (Comin) G.M. dell’Ordine Martinista Antico e Tradizionale, successore di Nebo, e Vergilius (Caracciolo) G.M. dell’Ordine Martinista, successore di Aldebaran. Entrambi i tentativi fallirono, ufficialmente, per diversità insanabili di impostazione: una visione mistica, quella di Aldebaran (Ventura), successore di Artephius (Zasio), ed una teurgica, quella degli Eletti Cohen di cui era G.M. Nebo (Brunelli).
Quello che sta accadendo, all’indomani del Convento di Ancona, ripropone una certa riflessione, anche se molta acqua è passata sotto i ponti e, fortunatamente, oggi tutti sembrano pervasi dalla opportunità, se non dalla necessità, di creare un qualche cosa di comune che superi le diverse visioni di impostazione tradizionale, per riconoscersi in alcuni principi comuni a tutti i Martinismi di qualsiasi scuola.
Vi sono diversi modi di disporsi, per approcciarsi al mondo iniziatico. L’atteggiamento di coloro che vi si avvicinano con un atteggiamento completamente passivo e che reputano principalmente gratificante sentirsi parte integrante di un circolo, di una associazione, iniziatica, parainiziatica, esoterica o paraesoterica che sia.
Prendere parte, alle vicende dell’associazione, gli consente di sentirsi partecipi di un mondo esclusivo e misterioso, e ciò è sufficiente a farli sentire realizzati. Costoro realizzano il proprio obiettivo, nel far parte del mondo iniziatico, con il porsi in attesa, nella convinzione che otterranno la propria affermazione personale confidando nel destino, rivelando, in ciò, un atteggiamento completamente passivo.
Poi ci sono quelli che, sono convinti di dover fare qualcosa, sanno che, per ottenere una trasmutazione di se stessi, debbono costruire qualcosa. Costoro, avendo chiaro lo scopo, per cui hanno cercato l’appartenenza al mondo dell’iniziazione, pensano di raggiungerlo facendo ricorso alle più svariate tecniche che, al di la delle singole particolarità, possono essere identificate, nella loro generalità, secondo l’accezione più comune, usata dagli studiosi di esoterismo, come tecniche attive o passive.
Di questi, tuttavia, soltanto una piccola parte prende coscienza di come si deve attivare. Nasce allora, nell’affrontare il problema del come attivarsi, la necessità di considerare che non esistono particolari tecniche. In realtà, non esistono tecniche che possono essere definite attive o passive; ma, piuttosto, dobbiamo soltanto considerare che esistono, semplicemente, due atteggiamenti, uno è l’atteggiamento completamente passivo, l’altro è l’atteggiamento attivo, che dovrebbe essere favorito e dinamizzato.
Qualsiasi tecnica, si voglia seguire, sia essa una tecnica passiva od attiva, assume una valenza attiva, soltanto in forza della attività che si pone nel dinamizzarla e nel renderla viva, tanto da farla diventare operante.
Tuttavia, forse, è bene chiarire che tutte le dispute, sulla attività o sulla passività delle tecniche o degli atteggiamenti, come tutte le diatribe, su quale sia la scuola di pensiero più valida, se la corrente mistica, o la corrente solare, sono dispute, tanto ridicole quanto inutili.
Anche in relazione alla tecnica più attiva di questo mondo, come anche in relazione all’atteggiamento più attivo, fintanto che si continua a dissertare, su quale tecnica di realizzazione privilegiare in un futuro, che non si sa bene quando, e se, verrà, si resta sempre in un atteggiamento passivo.
Allora, è, forse, il caso di chiarire che tutte le tecniche di realizzazione, qualsiasi tecnica, diventa attiva, quando viene applicata, ed è inesorabilmente passiva quando non si utilizza.
Anche un atteggiamento attivo, relativo ad una tecnica tradizionale, se non è seguito da una consapevole attuazione, resta a livello di una mera espressione filosofica. E dunque, siccome, di queste discussioni, si sente sempre parlare, diremo, per coloro che vogliono approfondire il problema, dal punto di vista filosofico, che ci sono interi libri scritti, a questo proposito, cui è possibile rifarsi.
Ed allora, schierarsi per l’attività o per la passività o dibattere sulla via attiva, via passiva, via solare, via mistica, via umida, come si voglia chiamarla, non serve a niente. È l’attività del comportamento che, rendendole indistinguibili, determina la identificazione delle vie.
Tutto diventa attivo, quando lo si applica concretamente. Anche la contemplazione del proprio ombelico può essere attiva, se è realmente perseguita con continuità e serietà. Se non ci si applica concretamente, si otterrà soltanto una contemplazione di tipo orientale, che porta, tutt’al più, alla concentrazione.
Né si può fare discorso diverso, anche in relazione al massimo concetto dell’attività, rappresentata proprio dall’atteggiamento alla teurgia. Del tutto inutili si presentano le discussioni, sulla natura stessa della reintegrazione, di cui parla Martinez de Pasquallis; non vale certo la pena discutere, se dobbiamo integrarci o se dobbiamo reintegrarci, su cui si dividono molte scuole di pensiero. Per taluni non possiamo parlare di reintegrazione perché non è mai esistita una caduta, mentre altri naturalmente dicono l’opposto
Che cosa volete che importi, a colui che desidera veramente progredire, nel cammino della propria reintegrazione od integrazione, stabilire se siamo caduti da uno stato edenico primitivo ovvero se sorgiamo con la terra e vediamo maturare, piano piano, dentro di noi, il fiore d’oro.
In realtà il problema è uno solo. Quello della costruzione della propria personalità, del proprio Sé o della rivelazione del proprio Sé, già esistente.
Ma, dico! Per stabilire se costruirlo, ovvero per farlo risplendere se c’è già, c’è forse bisogno di discutere? C’è, soltanto, da operare una decantazione delle cose che opprimono o che impediscono la manifestazione di questo Sé, e basta.
E però, quando uno ha capito che deve assolutamente fare qualcosa, se vuole avviarsi verso la sua integrazione - o verso la sua reintegrazione, non importa – deve, anche, assolutamente, stabilire dei punti fermi da cui partire.
Prima, dobbiamo metterci di fronte allo specchio e studiare il nostro essere, qual è, in questo momento, e quale dovrebbe essere. Qual è il nostro essere, con i nostri misteri, i nostri istinti, i nostri desideri; tutta la nostra personalità, tutta insieme, così come è, e come dovrebbe essere, secondo modelli ideali, che ci siamo creati, facendo riferimento a coloro che ci hanno preceduto, o che si sono affacciati nella nostra vita.
Il secondo punto è studiare com’è il mondo in cui noi siamo - e ci accorgeremo, magari, che il mondo non è che una semplice rappresentazione - e poi stabilire quali sono i rapporti tra noi e il mondo, tra il microcosmo ed il macrocosmo.
È chiaro che ognuno di noi ambisce a divenire qualcosa di diverso da quello che è attualmente. Si debbono, quindi, studiare i mezzi per trasformarci, da come siamo a come desideriamo diventare; per studiare questi mezzi, bisogna cominciare con il valutare noi stessi, dove siamo in questo momento.
Si capisce, così, che gli atteggiamenti, da tenere, sono l’uno in funzione dell’altro; il momento della attività passiva non si disgiunge da quella attiva. È abbastanza noto che esiste un legame segreto, che ci unisce al mondo, che lega il microcosmo al macrocosmo.
Quando vogliamo intraprendere un iter iniziatico, quale esso sia, dobbiamo prendere coscienza di tre basi fondamentali: noi stessi, quali siamo; ciò che ci circonda ed i rapporti che intercorrono, tra noi e quello che ci circonda.
Superare la soglia dell’evidente, immergersi nell’esame delle nostre emozioni, fino alla contemplazione della soglia, in cui si fissano i pensieri, fino ad arrivare a riconoscere le varie forze che ci animano. Prendere coscienza delle forze che animano l’universo, la natura e la consistenza della manifestazione, per giungere ad una conferma, più o meno consapevole, che le forze, che ci animano, sono analoghe a quelle che pervadono la manifestazione.
Questo percorso, se effettivamente intrapreso, è, in linea di principio, lo stesso, sia che si affronti con una tecnica meditativa, sia che si affronti ricorrendo ad una qualunque tecnica teurgica.
La conseguenza è che si manifesta, come del tutto inutile, stabilire quale delle due vie sia migliore, e che non ha senso voler convincere qualcuno, sulla prevalenza dell’una sull’altra. Quello che conta è operare secondo la Tradizione.
Solo così potremo lavorare proficuamente per la nostra reintegrazione e, secondo l’indirizzo di Martinez de Pasquallis, per la reintegrazione di tutti gli esseri nelle loro primitive proprietà, virtù e potenza spirituali e divine.

Algol Superiore Incognito Iniziatore e decano del martinismo italiano

pubblicato sulla rivista martinista "ECCE QUAM BONUM"


www.martinismo.net
eremitadaisette@gmail.com

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